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Marcus Cittadino Fascista-Gruppo ADMIN
Età: 49 Registrato: 02/04/06 11:27 Messaggi: 2613 Località: Palermo
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Inviato: Mer Gen 27, 2010 6:04 pm Oggetto: Articoli tratti dal mensile GERARCHIA...molto interessanti! Descrizione: |
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Grazie alla passione bibliofila del nostro AquilaLatina, abbiamo la possibilità di riprodurre fedelmente questi interessanti articoli apparsi in pieno secondo conflitto mondiale sul mensile GERARCHIA, che ricordiamo fu fondato dallo stesso Mussolini. Temi molto interessanti quelli trattati nei due scritti, giacché si parla di Civiltà Fascista, e della sezione dedicata al Lavoro varata proprio in quegli anni nel nuovo Codice Civile fortemente voluto dal Duce...buona lettura!
VALORE UNIVERSALE DELLA CIVILTÀ FASCISTA
di RENZO PANDOLFO
Tra le parole che più vengono usate oggi non solo nei discorsi comuni, ma anche da studiosi e pubblicisti, vi è la parola « civiltà ». Durante la grande guerra se ne fece addirittura scempio: e anche noi Italiani tratti nell'inganno di una demagogia esagerata, non esitammo a darle un significato pericoloso. Oggi è lecito chiedersi quale sia il suo esatto valore: ma per avere una risposta esauriente, non vale tanto rifarsi ai vocabolari e alle enciclopedie, quanto invece porre il problema dell'esigenza, della portata, dell'estensione del concetto: impresa certo non facile, quando si pensi alle trasformazioni, alle origini e alle varie interpretazioni del concetto di civiltà nella storia della cultura. Che cos'è la civiltà? Che cos'è una civiltà? In queste due domande è già posta una formidabile questione. Il concetto astratto di civiltà, insomma, è irriducibile al concetto di una determinata civiltà o no? Una sommaria indagine storica del concetto può essere utile. Presso gli antichi il concetto di civiltà è in relazione inversa a quello di barbarie. Così i Greci come i Romani esprimevano con tale idea i costumi delle genti pervenute ad un certo grado di cultura, di organizzazione politica e sociale, di cognizioni di vita, in opposizione alle genti non ancora colte e, soprattutto, non ancora stanziate. Naturalmente non sempre in tali espressioni vi era una esatta valutazione storica dei vari popoli e l'orgoglio nazionale vivo nei Greci come nei Romani faceva sovente attribuire la qualifica di barbare a genti che lo erano fino ad un certo punto. Tuttavia è sintomatico come l'origine etimologica della parola « civiltà » presso gli antichi Romani risenta dell'ideale del cittadino statuale; e cioè come civiltà (da civis) serva ad indicare piuttosto una relazione con lo Stato, con l'organizzazione politica, giuridica e sociale di un popolo. La stessa idea del resto era espressa nella parola urbanitas che, sorta dapprima ad indicare il carattere non rozzo dell'abitante di ritta (da urbs), significò in seguito gentilezza, cortesia, raffinatezza. Tuttavia civiltà significava un determinato aspetto della vita politica, esprimeva un'esigenza particolare dello spirito politico sino a coincidere quasi con il concetto di cittadinanza: nascere in civiltà romana, per esempio, si diceva per indicare il particolare stato non solo giuridico, ma morale, e politico di coloro che erano cittadini di Roma. Ancora nel Medio Evo in Italia si parlava di civiltà a ricordo dell'Impero, a ricordo cioè di un'epoca non solo di cultura e di grande elevamento morale, ma di una potente organizzazione politica e sociale. Il concetto ad ogni modo esprimeva anche quello speciale atteggiamento del mondo antico, distinto in tanti circoli chiusi, ognuno avente un suo modo di vita, costituendo ognuno un mondo a parte. Col Cristianesimo il concetto si allarga. Abbattute tutte le barriere che dividevano il mondo antico, il Cristianesimo proclama la esigenza di un modo di vita, unico per tutti i paesi. Il senso dell'umanità si allarga, straripa. Quando nel basso Medio Evo la cultura romanticistica si innesta su quella cattolica, il concetto di civiltà romana s'allea a quello di umanità e la humana civiltas esprime l'anelito dell'instaurazione di un ordine universale dove la concordia, la pace, l'amore non fossero disgiunti da una potente organizzazione politica unitaria. È il sogno di Dante, che pure definì la civiltà come lo svolgimento delle umane facoltà. Avvenuto il crollo dell'utopia, civiltà esprime soltanto un modo di vivere, la maniera di vita ingentilita, cittadina. È col secolo XVIII che si inizia il nuovo orientamento, decisivo anche per i nostri tempi. Specialmente la filosofia francese ha una influenza immensa sulla formazione della nuova ideologia. L'illuminismo infatti ha voluto significare un'era nuova nella storia dell'umanità, con la sua fiducia a rischiarare il mondo da tutte le tenebre di origine medioevale; con la sua fede a voler fondare un'era di benessere universale, che segnasse netto il distacco dai tempi dell' oscurantismo, delle barbarie, delle guerre, dei dispotismi, delle ambizioni. Qual'è lo spirito nuovo? La pace borghese, la tolleranza, il cosmopolitismo, lo sviluppo dei traffici e delle lettere, nel senso dell'umanità. Condorcet racchiude in tre parole la divisa dei tempi nuovi, raison tolèrance humanité. Voltaire dice che l'uomo della ragione è al di sopra di tutte le nazionalità. La borghesia — esponente tipico Voltaire — afferma la sua supremazia ed intona ai suoi ideali la filosofia, la politica, la religione, la scienza, la storia. L'ideologia del progresso s'instaura. Che cos'è questa ideologia? Come la ragione è qualche cosa che sta al di sopra degli uomini, che li deve guidare e reggere, così il processo rappresenta l'accumulazione delle esperienze, la vittoria della ragione, la sintesi delle cause e dei fatti. Non è tuttavia il passato, ma l'avvenire: non è la tradizione, ma la scienza del perfezionamento, del miglioramento, della felicità dell'umanità. L'Enciclopedia è il suo monumento. Si vuol fondare una società nuova, una vita nuova, senza contrasti, senza lotte, senza divisioni. E' la fede del tempo.
Non solo Voltaire rappresenta questo ideale: ma anche Rousseau col suo richiamo alla natura, al semplicismo, al selvaggismo vuol segnare il distacco da un'era di ferocia, di lotte, di asprezze. La nuova epoca incomincia lì. La storiografia ha uno slancio nuovo: ora essa non narra più le guerre e le storie delle monarchie, ma si sofferma a dire delle ragioni degli avvenimenti, a descrivere condizioni di vita sociale, politica e morale. Il mondo è visto nel suo insieme, criticato nei suoi difetti, nel suo irrazionale svolgimento, come insegnamento ad una nuova storia che deve sorgere. Questa nuova storia dovrà essere la storia della nuova civiltà, anzi, della civilizzazione. Qualche cosa di simile era già avvenuto nel '400, il secolo primo della borghesia illuminata. Ma ora, distinti i due concetti di civiltà e di civilizzazione o incivilimento, si opera una disintegrazione fatale: civilizzazione vuol dire volontà di imborghesimento, proiezione nella vita di un ideale, non già più nemmeno semplicemente umanitario, ma cosmopolita, ove la storia è messa al servizio della ragione. Il barone d'Holbach può dire verso la fine del secolo XVIII che l'incivilimento. è opera dei secoli, lo sforzo continuo dello spirito umano, delle esperienze continue della società. Il secolo XIX ha sviluppato l'eredità lasciatagli dal secolo dei lumi. La civiltà è il nuovo mito. Mentre, anzi, per il secolo XVIII la civiltà era specialmente una realizzazione delle arti, della filosofia, delle lettere, per il secolo XIX civiltà è tutto. La storia è vista come storia della civilizzazione, dei progressi cioè conseguiti in tutti i campi dello scibile. Accanto alla storiografia civilizzatrice, la politica, la letteratura, il diritto, la scienza sono considerati sotto questo nuovo profilo. Tranne rare eccezioni, la politica edonistica del '700 si perfeziona sulla stessa pregiudiziale ottimistica, considerata come mezzo per migliorare i popoli. Il colonialismo è visto come mezzo per apportare la civiltà agli incivili, il parlamentarismo è considerato come mezzo per dare e fare esprimere al popolo la sua volontà e cioè per farlo capace dei suoi destini di civiltà. La scienza è messa al servizio della civilizzazione dei popoli; il diritto perfino è interpretato dai romantici come l'aspetto saliente della civilizzazione dei paesi, che, realizzando forme di civiltà superiori, esprimono un diritto più perfetto. Non si nega più la storia, non si disprezza più il passato, ma l'esperienza vuole essere messa a profitto, vuole indicare le vie nuove da seguire, vuole, ora, significare che è necessario l'avvento di una società nuova. Ower parla di sistema nuovo, di mondo nuovo da fondare. Fourier vuol liberare il genere umano dal caos barbaro e selvaggio. Lassalle distingue tre tappe nella storia della civiltà, come Comte; Marx stesso vuol fondare la nuova società dalle rovine della vecchia. È l'ora della filosofia della storia. Vico è interpretato come il filosofo dei corsi e dei ricorsi e cioè come il filosofo della civiltà. I teorici della borghesia e del socialismo, dunque, finiscono con lo stare sullo stesso piano! La nuova religione domina. Senz'accorgersene, tutti, nel secolo XIX, sono ossessionati da questo mito. Guai, però, a domandare ai filosofi, ai teorici, agli scrittori che cosa fosse la civiltà! Anche Ferguson, in un'opera scritta a questo scopo, non seppe dirlo. Ancora in Guizot essa è un mito: mira al perfezionamento della società e dell'umanità, in qualche altro si identifica con la storia. I riflessi dell'illuminismo francese si dispiegano potentemente non solo sulla cultura, ma sui modi stessi di interpretazione politica, giuridica, sociale del mondo. Anche in Italia la filosofia dell'incivilimento trova un grande interprete, G. D. Romagnoli, il quale, tuttavia, sa darle un'impronta caratteristica. Tentativi di reazione vi furono in Italia, in Germania. In Italia la formidabile tradizione nazionale si opponeva al mito universaleggiante, progressista creato dall'illuminismo. Dal Gioberti al Balbo l'ideale di civiltà è inscindibilmente connesso alla tradizione italiana, è sul tronco dello sviluppo del pensiero, della cultura italiana. Lo stesso tentativo di Cesare Balbo di dar vita ad una civiltà cristiana è senza dubbio in relazione al suo vasto disegno storico e politico di individuare una tradizione, mediterranea, cattolica, latina, romana. Civiltà per lui comprende la cultura intellettuale ed i costumi di un dato popolo, di un dato gruppo di popoli. In Germania il concetto di civiltà è assorbito da quello di Kultur. Ma cultura non significa, per la tradizione storica, acquisizione scientifica soltanto, bensì un duplice rapporto con le manifestazioni spirituali di un dato popolo, e, soprattutto, con l'esistenza di un popolo determinato, organizzato, con lo Stato, cioè. È stato Novalis per primo che questa esigenza del rapporto tra cultura e Stato ha messo in rilievo; finchè con Bluntschli il rapporto diventa identità; il concetto di civiltà si realizza nello Stato, e cioè in dato Stato. Sulle orme di Fichte e di Hegel si è poi arrivati a quella idea della missione dello Stato tedesco nel mondo, che è stata una molla potente nella storia degli ultimi anni del secolo scorso e nei primi di questo; tuttavia tale idea va considerata nel suo valore universale e non particolare, in opposizione al mito borghese, pacifista, illuminista, di schietta marca francese. L'iniziatore di questo movimento ideale è stato Goethe. La cultura, la civiltà rappresentano un modo di vivere e di pensare di un dato popolo, che s'è formato attraverso lotte, conquiste, lavoro. Questa idea Goethe ebbe per la prima volta — e sviluppò poi ampiamente — quando, venuto in Italia, vide di che cosa era stata capace la tradizione morale, intellettuale, civile di un popolo che, quantunque politicamente disunito, aveva dato al mondo un esempio caratteristico di unità spirituale, irradiantesi dai secoli ai secoli. La frase di Mirabeau : « La civiltà non sarà perfetta se non quando gli uomini cesseranno di uccidere gli uomini » è ancora una bandiera che è sventolata dai sostenitori dell'indirizzo borghese, illuministico; come il pensiero di Fichte, di Hegel, di Treitschke è ancora una molla potente per teorizzare il principio del predominio di una data civiltà di un dato popolo. Le più recenti manifestazioni del pensiero per esempio francese, sono sempre agli antipodi delle più recenti concezioni tedesche: e, per tutti, Spengler insegni. Insomma si potrebbe ancora oggi dire, come venti anni fa, che intorno a queste due concezioni antitetiche si polarizzi un contrasto colossale, se non s'appalesasse viva una concezione nuova, reale, umana che potrà essere veramente risolutiva. Contro, infatti, le concezioni borghesi di una civiltà quantitativa che, per dirla con un economista dei nostri giorni, viene considerata alla stregua ed in rapporto « alla diminuzione dei pericoli che minacciano la vita e la prosperità » ; contro le concezioni particolaristiche che intendono per civiltà solo una data civiltà; contro una concezione razionalista, universaleggiante, cosmopolita, che tenta trovare nei sociologi i suoi sacerdoti, perchè ne teorizzino le leggi, gli indici misuratori, i massimi, i minimi; contro una concezione irrazionalista, antiborghese, esteticheggiante, un'altra ne sorge: quella italiana, fascista. Come per tutti i grandi problemi che si riferiscono alla valutazione del mondo, della vita sociale, politica, etica, così il Fascismo ha un suo concetto di civiltà: di civiltà, s'intende, non in quanto al contenuto, ai modi di espressione, alle forme di manifestazione, ma in quanto al contenuto stesso dell'idea, al valore intrinseco del concetto. Civiltà, per il Fascismo, non è nè quel senso razionalista universaleggiante, che è caratteristico nella dottrina francese; nè quel senso troppo nazionalistico della dottrina tedesca; ma un senso nuovo, che non è esclusivamente meccanico, nè esclusivamente estetico, nè soltanto teologizzante nè soltanto immanentista. Per il Fascismo civiltà significa insieme la conquista che un popolo compie dei valori supremi dello spirito e che trovano pertanto forma di espressione nella sua vita politica, civile, giuridica, morale, sociale; e, perciò, il modo di vivere, di operare, di pensare, di creare; il modo suo, particolare, intrinseco di esistenza; come, contemporaneamente, significa possibilità di espansione, volontà di dare al mondo il frutto delle conquiste raggiunte. L'universalismo e il particolarismo vengono superati, in questa concezione, da un'interpretazione unitaria del concetto stesso di civiltà, intesa come processo creatore, che, adeguando il particolare all'universale, e viceversa, pone il popolo, il quale grazie al lavoro della mente e del braccio s'è conquistato un modo originale, geniale, di vita, sul terreno dell'umanità; processo, cioè, di eterno umanizzamento di una facoltà particolare, elevamento all'universale di conquiste particolari. Non c'è qui il destino, il quale può orientare questo processo, ma la forza stessa della vittoria operata dallo spirito; non c'è il vago universalismo astratto, ma l'umanità concreta, considerata in tutta la tragica sita contraddizione. Si fonde così quella che era la tradizione romana, per cui l'idea di civiltà supponeva una conquista da parte dello Stato e da parte dell'uomo, con la tradizione cattolica, che interpreta la civiltà come una teologia della storia del mondo. La civiltà fascista è un moto creatore della vita, cui dona contenuto, forma, sfera d'azione, ordine. Ma non basta. E’ soprattutto un atto perenne di conquista dello spirito sulla natura, del genio di un popolo sui tempi, delle facoltà di una nazione sulla storia. Questa conquista si realizza sul terreno dell'arte e del pensiero, della scienza e dei rapporti sociali: ed esplode. naturalmente, nella forma, nel sistema dello Stato, espressione ultima dell'ordine morale, civile, intellettuale di un popolo. Come tale la civiltà fascista è storia, oggetto principale della storia contemporanea per questo non si è localizzata, ma è esplosa nella guerra, facendosi universale, umana. Per questo suo valore universale e umano, la civiltà fascista svolgerà la sua influenza decisiva e non soltanto teorica, sugli orientamenti spirituali dell'umanità. Perché il concetto della civiltà fascista si svolge dall'individuo al mondo, sale dall'uomo all'universo, a Dio.
(Estratto da Gerarchia, anno XXI n. 4, aprile 1942 – XX, pp. 155 – 158)
CODIFICAZIONE FASCISTA : "LIBRO DEL LAVORO"
di BRUNO BIAGI
Con la recente pubblicazione del Libro del lavoro il nuovo unitario Codice Civile è oramai completo nei suoi sei libri: Delle persone e della famiglia. Delle successioni e delle donazioni, Della proprietà, Delle obbligazioni, Del lavoro, Della tutela dei diritti. Il Ministro Grandi ha così fedelmente eseguito il comando del Duce. Nel Codice Civile tutti gli istituti del diritto privato, non più in contrapposizione col diritto pubblico, trovano la loro integrale unitaria disciplina, che ha tratto impulso ed indirizzo dalla legge che stabilisce costituire le dichiarazioni della Carta del Lavoro principi generali del diritto. Questa unità di disciplina giuridica discende dal concetto che il Fascismo ha dell'individuo, non più considerato in modo astratto e con criterio atomistico, ma in modo concreto e cioè nei suoi rapporti familiari, sociali, politici ed economici. Scompare, senza rimpianto, il vecchio Codice di commercio che apparteneva ad un'epoca lontana e superata e considerava un solo settore dell'economia, quello mercantile. Il nuovo ordine corporativo ha carattere totalitario e comprende e disciplina tutta l'attività economica nazionale. Non era quindi più concepibile che alcune forme di attività, quella agricola, per esempio, trovassero disciplina nel Codice Civile ed altre (commerciale e industriale) nel Codice di commercio. L'attività agricola — è oramai riconosciuto da economisti e giuristi — ha assunto, in Regime Fascista, un'organizzazione che non solo può stare alla pari con quelle delle attività commerciali ed industriali ma che, sotto alcuni aspetti, le ha superate. Anche per questo si imponeva un'unità di disciplina giuridica per tutte le forme di attività produttiva, per tutti i settori dell'economia, in un Codice Civile unitario, che sanzionasse in modo definitivo la cessazione dei motivi che avevano giustificato il distacco della legge commerciale dalla legge civile. Il Libro del lavoro costituisce del nuovo Codice Civile la parte tipicamente originale: l'avere accolto, trasformato in senso corporativo, l'antico diritto commerciale non toglie al libro stesso la sua impronta nuova in quanto non è più il commerciante o l'atto di commercio oggetto della disciplina del Codice ma il lavoro soggetto dell'economia, considerato secondo un concetto unitario, nei suoi elementi fondamentali e cioè nei lavoratori, imprenditori e prestatori di lavoro, nell'esercizio della loro solidale attività produttiva e quindi nel loro stato professionale. La disciplina giuridica del lavoro, integrale ed unitaria, non parte da un concetto restrittivo e frammentario come quello del vecchio Codice di commercio, né assume il carattere di un diritto aziendale che del lavoro consideri solo la prestazione subordinata. È il lavoro, nella originale ed ampia concezione mussoliniana, che trova una disciplina nuova, tipicamente fascista, quindi profondamente rivoluzionaria. Tutto il lavoro, anche quello intellettuale, che si esprime non solo attraverso l'esercizio di una libera professione e di un'arte, ma anche con l'opera dell'ingegno, inventiva e creatrice, che apporta un contributo essenziale, tecnico ed economico, all'attività produttiva. Tutto il lavoro, anche quello autonomo che costituisce non solo un modo iniziale di superamento delle forme subordinate, ma anche, talora, il mezzo per la formazione di nuove energie produttive. Tutto il lavoro, anche quello personale e domestico, che con spirito di alta umanità è tutelato, oltre che da un legame più stretto, per la collaborazione che si attua nell'ambito dello casa, da precise norme destinate a garantire una vita sana, dignitosa e tranquilla. Il lavoro è considerato in tutti i suoi aspetti ed in tutti i suoi coordinati sviluppi: nella iniziativa, nella organizzazione, nella direzione delle imprese, siano esse ,grandi, medie ed anche piccole, — che tutte debbono sottoporsi ad una comune disciplina, pur consentendo che questa aderisca alle diverse esigenze delle diverse forme di attività economica, — nella subordinata attività di collaborazione nell'impresa dei dirigenti, amministrativi o tecnici, degli impiegati e degli operai, il cui apporto di lavoro trova nelle norme del Codice Civile una disciplina organica e tipicamente fascista, che si è avvalsa dei fecondi risultati della elaborazione legislativa, giurisprudenziale e contrattuale di quindici anni di intensa attività corporativa. Il Libro del lavoro ha come sua premessa la indicazione delle fonti nell'ordine corporativo. Esso trae dal nostro ordinamento, elaborato nelle leggi fondamentali del 1926, del 1930, del 1934, gli elementi essenziali e stabilisce quali sono le fonti di disciplina del lavoro e quali quelle per il coordinamento della produzione e degli scambi; stabilisce cioè che oltre alle norme del Codice, delle leggi e dei regolamenti, esistono oggi nell'ordine giuridico fascista le ordinanze corporative, gli accordi economici collettivi e le sentenze della Magistratura del Lavoro nelle controversie collettive, nonché le tariffe emanate dalle associazioni professionali per la disciplina delle attività economiche, che costituiscono nel loro complesso una innovazione originale della costruttiva rivoluzione di Mussolini. In questa innovazione è uno degli aspetti particolarmente interessanti della trasformazione dello Stato operata dal Fascismo. Il decentramento della funzione normativa, pur sotto la vigile azione unitaria esplicata dal Governo fascista, costituisce un mezzo per far sempre meglio aderire la norma alle esigenze della realtà economica e sociale spesso mutevole. Lo stesso Codice Civile, nel Libro del lavoro, mentre fissa i principi e delinea nettamente gli istituti giuridici fondamentali, lascia sempre adito ad uno sviluppo, ad un'integrazione, anche ad un perfezionamento attraverso le fonti produttive di norme giuridiche proprie del nostro ordinamento corporativo, in particolare l'ordinanza corporativa ed i contratti collettivi di lavoro. È così confermato ed applicato il concetto mussoliniano che sono le stesse categorie professionali ed economiche a stabilire, in un rapporto di effettiva collaborazione, nonché di subordinazione agli interessi generali espressi e garantiti dallo Stato, la disciplina unitaria ed integrale dell'economia. Di questa disciplina, unitaria ed integrale, il Libro del lavoro considera gli aspetti e gli istituti fondamentali e nel suo articolo l' afferma: « Il lavoro è tutelato in tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali secondo i principi della Carta del Lavoro ». Quindi non tutela solo del lavoro subordinato, aziendale, ma di ogni forma di lavoro, anche non dipendente, anche direttivo, anche attinente alla stessa organizzazione e direzione dell'impresa: lavoro quindi dell'imprenditore, cioè di colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata ai fini della produzione e dello scambio di beni o di servizi. Il Codice introduce, accanto alla normale figura dello imprenditore, quella del piccolo imprenditore (coltivatore diretto del fondo, artigiano, piccolo commerciante e, in genere, chi esercita un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia) e pur esonerandolo da taluni obblighi lo assoggetta alla comune disciplina corporativa e sociale, seguendo anche in ciò il concetto unitario tipicamente fascista, imposto ad ogni forma di regolamentazione giuridica. L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. Per questa sua condizione è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Nell'ordine corporativo la responsabilità è tanto maggiore quanto più è alta la posizione gerarchica; e perciò all'imprenditore, in particolare, che incombe di uniformarsi nell'esercizio dell'impresa ai principi dell'ordinamento corporativo e agli obblighi che ne derivano ed è l'imprenditore che risponde verso lo Stato dell'indirizzo della produzione e degli scambi, in conformità della legge e delle norme corporative. Il Codice Civile di Mussolini pone questa norma e stabilisce le sanzioni nell'ipotesi di sua inosservanza, da cui derivi grave danno alla economia nazionale: stabilisce precisamente che gli organi corporativi, dopo aver compiuto le opportune indagini e richiesto all'imprenditore i chiarimenti necessari, possono disporre la trasmissione degli atti al pubblico Ministero presso la Corte di Appello di cui fa parte la Magistratura del Lavoro competente per territorio. La Magistratura del Lavoro, se accerta che l'inosservanza perdura, fissa un termine entro il quale l'imprenditore deve uniformarsi agli obblighi suddetti. Qualora l'imprenditore non vi ottemperi nel termine fissato, la Magistratura del Lavoro può ordinare la sospensione dell'esercizio dell'impresa, o, se la sospensione è tale da recare pregiudizio dell'economia nazionale, può nominare un amministratore che assuma la gestione dell'impresa scegliendolo fra le persone designate dall'imprenditore, se riconosciute idonee, e determinandone i poteri e la durata. Se si tratta di società, la Magistratura del Lavoro, anziché nominare un amministratore. può assegnare un termine entro il quale la società deve provvedere a sostituire gli amministratori in carica con altre persone riconosciute idonee. È questa la conclusione logica e lo sviluppo necessario della dichiarazione VII della Carta del Lavoro: « La organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l'organizzatore dell'impresa è responsabile dell'indirizzo della produzione di fronte allo Stato ». In Regime Fascista alla gerarchia fa riscontro la responsabilità, alla inosservanza degli obblighi nascenti da questa, responsabilità segue l'applicazione tempestiva ed equa della relativa sanzione. Il lavoro dei collaboratori dell'imprenditore trova una fondamentale tutela nel Codice: nelle leggi speciali, nelle norme corporative e nel contratto collettive, di lavoro questa tutela ha adeguato sviluppo. Il Codice fissa anzitutto il concetto di prestatore di lavoro subordinato, che è colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione del l'imprenditore. Il prestatore di lavoro può essere dirigente, amministrativo o tecnico, impiegato e operaio: per il suo rapporto di lavoro, nella formazione di esso, nei diritti e negli obblighi delle parti, nelle forme di previdenza e di assistenza, nella prestazione di lavoro a domicilio o di lavoro a cottimo e nel tirocinio il Codice Civile fissa un regolamento che non solo si ispira ai principi della Carta del Lavoro, intesa non con criterio statico e tanto meno preclusivo, ma trae dalle leggi del Regime fascista e dalla elaborazione contrattuale e giurisprudenziale ulteriori elementi per dare al rapporto di lavoro un carattere ed una finalità di effettiva collaborazione. Anche le particolari forme di prestazione di lavoro nell'impresa agricola trovano una sistemazione giuridica; il Codice fissa anzitutto il concetto di imprendi toro agricolo, che esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e alle attività connesse, volte alla trasformazione o alla alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura. Nel Codice stesso trovano disciplina anche le forme di imprese agricole associate ed in particolare la mezzadria, la colonia parziaria e la soccida. L'attività produttiva agricola, in qualunque forma si organizzi, trova così nel Codice Civile la sua disciplina aderente alle necessità della vita agricola e dei suoi particolari rapporti. Con criterio innovatore, è anche disciplinato il lavoro di coloro che si obbligano verso un corrispettivo a compiere un'opera od un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione: disciplina nuova ed originale che è attinente alla prestazione della materia, alla esecuzione dell'opera, al corrispettivo, alla difformità e ai vizi dell'opera, al recesso unilaterale dal contratto, alla impossibilità sopravvenuta della esecuzione dell'opera stessa. In modo analogo sono tutelate le prestazioni intellettuali il cui esercizio è di norma subordinato alla iscrizione in appositi albi od elenchi la tenuta dei quali è demandata alle associazioni professionali legalmente riconosciute, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente. Anche i particolari rapporti di lavoro subordinato, che non siano inerenti all'esercizio di una impresa, sono disciplinati dal Codice: in particolare, il rapporto di lavoro che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico. Il Codice fissa con criterio equo ed umano gli obblighi inerenti non solo alla retribuzione in denaro, ma anche al vitto, all'alloggio e alle infermità di breve durata, alla cura e alla assistenza medica, ed aggiunge che il prestatore di lavoro, oltre al riposo settimanale, secondo gli usi, ha diritto, dopo un anno di ininterrotto lavoro, ad un periodo di ferie retribuito, che non può essere inferiore agli otto giorni. Ed infine precisa che in caso di cessazione del contratto è dovuto al prestatore di lavoro domestico una indennità di anzianità proporzionale agli anni di servizio, salvo il caso di licenziamento per colpa di lui o con dimissioni volontarie. L'ammontare della indennità è determinato sulla base dell'ultima retribuzione in denaro, nella misura di otto giorni per ogni anno di servizio. Ove gli usi lo stabiliscano, la indennità è dovuta anche nel caso di dimissioni volontarie. Nessun rapporto, autonomo o subordinato, è pertanto escluso dalla disciplina giuridica del Codice Civile ed il lavoro trova così una tutela ispirata al concetto mussoliniano del lavoro dovere sociale e soggetto dell'economia. Impresa, azienda, ditta, marchio, istituti del diritto commerciale, sono considerati in funzione ed in dipendenza del lavoro, soggetto dell'economia e nel Codice trovano una disciplina aderente al nuovo ordine corporativo., ma ciò che sta in primo piano nel sistema giuridico fascista è l'imprenditore, considerato nella sua funzione di produttore e quindi di lavoratore. Il Codice non definisce l'impresa: essa è attività organizzata ai fini della produzione e degli scambi ed il suo carattere, normalmente individuale e privato, non fa mai venir meno l'interesse pubblico che è insito nell'impresa. Le imprese si distinguono per la loro qualifica, per la loro disciplina organica e per quella particolare in imprese commerciali ed in imprese agrarie. Sono imprese commerciali tutte quelle che hanno per oggetto un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi, un'attività intermediaria nella circolazione dei beni, un'attività di trasporto, per terra, per acqua o per aria, un'attività bancaria o assicurativa od altre attività ausiliarie delle precedenti. L'impresa commerciale è soggetta a registrazione ed è sottoposta alla procedura di fallimento e di concordato. Debbono però sottostare alla stessa disciplina tutte le società costituite secondo i tipi regolati dal Codice e le società cooperative anche se non esercitano un'attività commerciale poiché l'adozione della veste di società commerciale o di società cooperativa rende la società, e con essa l'impresa, commerciale, anche se la sua attività non abbia caratteristiche commerciali. Una netta distinzione è fra impresa, azienda — che il Codice definisce come « il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa » — e ditta, istituti che rappresentano momenti ed aspetti diversi della stessa organizzazione, ma che mai si confondono in modo pieno ed assoluto. Pubblicità attraverso la iscrizione nel registro delle imprese, obbligo di assoggettarsi a precise formalità per quanto riguarda la tenuta del libro giornale e del libro degli inventari ed obbligo di conservare per dieci anni le scritture contabili, le fatture, le lettere ed i telegrammi ricevuti e le copie delle scritture contabili, delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti, rappresentano gli aspetti principali dell'impresa commerciale. Le imprese si possono organizzare in società, nel tipo cioè della società semplice, della società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, in società a responsabilità limitata, a capitale non inferiore a lire cinquantamila — nuovo tipo di società introdotto ora nel nostro Codice dopo un'utile esperienza in altri Paesi —, in società per azioni — che debbono costituirsi con un capitale non inferiore ad un milione — e in società cooperative che hanno finalmente una unitaria regolamentazione aderente alla loro mutata posizione e funzione. Né il Codice dimentica !a associazione in partecipazione e la mutua assicuratrice che hanno anch'esse una nuova disciplina adeguata alle esigenze della loro funzione economica e sociale. L'impresa agraria ha invece sue particolari caratteristiche e una sua disciplina che prescinde dagli obblighi della registrazione e dei libri contabili a meno che non si organizzi in una delle forme di società dal Codice considerate. Essa però è sottoposta alle superiori regole corporative e sociali, eguali per tutte le imprese, anche se di piccoli imprenditori. La responsabilità e le eventuali sanzioni hanno la stessa natura e lo stesso carattere poiché non è l'ampiezza, ma la funzione dell'imprenditore oggetto della disciplina giuridica stabilita dal Codice. Le stesse norme del libro « del lavoro » si applicano agli Enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali ed anche alle imprese degli Enti pubblici non inquadrati, salvo le diverse disposizioni di legge. Il Libro del lavoro disciplina anche la concorrenza ed i consorzi disponendo che la concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge e dalle norme corporative. Sono ammesse le limitazioni contrattuali della concorrenza quando il patto, che deve essere provato per iscritto, sia limitato ad una determinata zona o ad una determinata attività.
L'imprenditore che esercita un'impresa in condizione di monopolio legale ha l'obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento.
Sono inoltre date norme per reprimere eventuali atti di concorrenza sleale, per stabilire le sanzioni ove questi siano compiuti, per disporre il risarcimento del danno ed anche per consentire che quando gli atti di concorrenza sleale pregiudichino gli interessi di una categoria professionale, l'azione per la repressione della concorrenza sleale possa essere promossa dalle associazioni professionali e dagli Enti che rappresentano la categoria. Ma particolarmente interessanti sono le norme relative ai consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi. Tutti i contratti tra più imprenditori esercenti una medesima attività economica o attività economiche connesse, i quali abbiano per oggetto la disciplina delle attività stesse mediante un'organizzazione comune, trovano una precisa regolamentazione sia per quanto riguarda il funzionamento interno del consorzio e la rappresentanza in giudizio, sia per quanto riguarda l'istituzione di uffici destinati a svolgere un'attività con i terzi, sia per quanto riflette i rapporti fra i consorziati, i loro obblighi, i loro diritti, il fondo consortile e la responsabilità verso i terzi. Con provvedimento dell'autorità governativa, sentite le corporazioni interessate, può essere disposta, anche per zone determinate, la costituzione di consorzi obbligatori fra esercenti lo stesso ramo o rami similari di attività economica, qualora la costituzione stessa risponda alle esigenze dell'organizzazione della produzione. Nello stesso modo, ricorrendo le ricordate condizioni, possono essere trasformati in obbligatori i consorzi costituiti volontariamente. Ed è anche stabilito che quando la legge prescrive l'ammasso di determinati prodotti agricoli, la gestione collettiva di questi sia fatta per conto degli imprenditori interessati a mezzo di consorzi obbligatori, secondo le disposizioni delle leggi speciali. I controlli dell'autorità governativa sono estesi a tutti i contratti che hanno per oggetto il coordinamento della produzione e degli scambi se sono tali da influire sul mercato generale dei beni in essi contemplati; tali contratti sono soggetti ad approvazione da parte dell'autorità governativa, sentite le corporazioni interessate. L'attività poi dei consorzi è sottoposta alla vigilanza dell'autorità governativa la quale, quando l'attività del consorzio risulti non conforme agli scopi per cui è stato costituito, può procedere alla sostituzione degli organi del consorzio o, nei casi più gravi, allo scioglimento del consorzio stesso. Il Codice, evidentemente fissa solo le linee fondamentali della disciplina giuridica del fenomeno consortile; verranno le norme di attuazione e più ancora le leggi speciali a precisare, integrare. sviluppare questa disciplina, con criterio di aderenza alle varie necessità dell'ordine corporativo. La stessa relazione del Ministro Guardasigilli non potrà non chiarire i rapporti fra patti limitativi di concorrenza, consentiti entro determinati limiti di durata, di zona e di attività economica ed i contratti consortili, sottoposti ad approvazione, se siano tali da influire sul mercato generale dei beni in esso contemplati. E’ evidente la necessità che in un aspetto tanto delicato della vita economica moderna non siano consentite elusioni alla disciplina che ha nelle corporazioni lo strumento più idoneo e più sensibile, anche perchè costituito sotto l'egida dello Stato. con l'intervento essenzialmente, politico del Partito, dalle stesse categorie professionali interessate. Il Codice Civile di Mussolini, in questo libro del lavoro, ultimo per ordine cronologico, non certo per importanza giuridica, elaborato sotto la guida appassionata ed intelligente del Ministro Grandi e con la fattiva collaborazione delle stesse associazioni sindacali, ha posto una nuova disciplina del lavoro, la quale costituisce un alto contributo alla soluzione di problemi comuni a tutti i Paesi d'Europa e del mondo. È una disciplina nuova, di impronta fascista, di indirizzo corporativo, che si illumina di un contenuto politico e morale espresso nelle dichiarazioni della Carta del Lavoro, costituenti principi generali del diritto e come tali premesse al Codice Civile. Questo contenuto politico e morale attiene alla solidarietà che sale dalle categorie professionali, alle categorie economiche, alla Nazione, nell'intento di costruire un ordine nuovo che ha contenuto economico e finalità politiche e si concreta in norme giuridiche. Questo ordine nuovo è già delineato nell'atto di audacia di Mussolini fin dal 1914, è riaffermato negli enunciati fini interni di guerra, è precisato nella dichiarazione programmatica del 23 marzo 1919. È particolarmente significativo che Roma, maestra di diritto, mentre i soldati combattono per dare all'Europa un nuovo ordine politico ed economico, abbia posto, con la riforma fascista dei Codici, gli elementi per creare il nuovo ordine giuridico. Come l'ordine politico ed economico. anche l'ordine giuridico deve adeguarsi ai diversi ambienti nazionali: l'opera mussoliniana costituisce un'anticipazione di alto interesse europeo ed universale e di grande portata rivoluzionaria. Come per prima l'Italia pose le premesse politiche ed economiche, che sono a fondamento della guerra che oggi si combatte contro tutte le forme, disgregatrici e negatrici, della plutocrazia e del bolscevismo, era necessario e fatale e derivava dalla nostra stessa tradizione, esperienza e capacità, dare l'esempio e l'insegnamento per la risoluzione nel difficile settore del diritto di quei problemi che hanno angustiato per oltre un secolo i Paesi dell'Europa e del mondo coi contrasti tra le categorie economiche.
(Estratto da Gerarchia, anno XX n.10, ottobre 1941 – XIX, pp. 505 – 510) _________________ " Forse che non conoscendo a fondo il pensiero del Duce si può affermare di essere fascisti? Noi diciamo di no! Che il fascismo non è istinto ma educazione e perciò è conoscenza della sua mistica,che è conoscenza di Mussolini" (N. Giani) |
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Il Littore
Età: 34 Registrato: 05/09/08 21:34 Messaggi: 452 Località: Italia del Littorio
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Inviato: Mer Gen 27, 2010 6:33 pm Oggetto: Descrizione: |
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Vorrei aver potuto discutere lo scritto sul Codice davanti ai vari professori in alcuni esami da me fatti. |
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AquilaLatina
Registrato: 07/05/07 21:34 Messaggi: 1482 Località: Stato Nazionale Fascista
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Inviato: Mer Gen 27, 2010 8:16 pm Oggetto: Descrizione: |
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Grazie mille Marco per averli "riprodotti", spero risultino interessanti a tutti gli utenti del Covo |
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