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I discorsi di Mussolini
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Giovanni




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MessaggioInviato: Mar Feb 17, 2009 2:34 pm    Oggetto:  
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AI LEGIONARI FIUMANI

Parole pronunciate a Milano, nel ridotto del teatro « Lirico », la mattina del 23 gennaio 1921, durante un ricevimento in onore dei legionari fiumani organizzato dal Fascio Milanese di Combattimento.

Ero riluttante a parlare, perché non sapevo se voi avreste ascoltato volentieri un discorso.
(Grida unanimi di « Parli! Parli! » interrompono Mussolini).
Il mio ritegno era anche originato dal fatto che voi tutti avete avuto l'invidiabile onore d'ascoltare i discorsi più belli che siano mai stati pronunciati in lingua italiana.
La marcia di Ronchi segna una delle più gloriose pagine della nostra storia. Voi avete avuto l'onore di « agire » in essa e di costruire con la vostra opera e colla vostra fede la storia nuova. La marcia di Ronchi è il simbolo dello spirito dell'Italia vittoriosa.
I nuovi confini d'Italia sono stati conquistati in virtù dell'opera vostra e di quella mirabilmente ardita del vostro Comandante. L'Italia deve a voi il Nevoso ed il confine giulio. E voi avete anche consacrato per l'avvenire il diritto d'Italia sull'Adriatico e sulla Dalmazia tutta, da Zara a Cattaro. (Applausi scroscianti).
Noi ora non vi rivolgiamo parole seducenti. Voi siete perfettamente coscienti e saprete scegliere l'aggruppamento politico verso il quale orientarvi. I fascisti sono stati i soli a difendervi, ma non intendono con questo di ritenervi obbligati verso di loro.
Noi vi diciamo una sola parola: mantenete perennemente accesa la stupenda fiamma ideale che fino ad oggi avete alimentato col vostro eroismo e con la vostra fede.
Per essa sola l'Italia potrà raggiungere la sua vera grandezza e ritornare degna del suo grande passato e della sua recente vittoria, dominatrice del Mediterraneo, faro di civiltà per tutte le genti.
Per l'Italia, per il Comandante d'Annunzio, ora e sempre: « alalà! ».
(Il discorso di Mussolini, incisivo, tagliente, pieno di forza, viene accollo da uno scrosciante applauso e da un triplice « alalà! »).


Discorso del 6 febbraio 1921 Secondo discorso di Trieste

Per delineare quali direttive debba seguire la politica estera dell'Italia, nell'immediato e mediato futuro, è opportuno gettare, preliminarmente, uno sguardo d'insieme, sulla situazione mondiale, sulle forze e correnti che vi agiscono e prospettare quali possano esserne gli sbocchi e i risultati. Tutti gli Stati del mondo si trovano fra di loro in un rapporto fatale d'interdipendenza, il periodo della splendide isolation è passato per tutti. Si può ben dire che colla guerra e dalla guerra, la storia del genere umano ha acquistato un ritmo mondiale. Mentre l'Europa dissanguata, stenta a ritrovare il suo equilibrio, economico, politico e spirituale, già si annunciano, oltre i confini del vecchio continente, formidabili antitesi d'interessi. Alludo al conflitto fra Stati Uniti e Giappone i cui episodi recenti, che vanno dalla faccenda del "cavo" al "bill" contro l'immigrazione gialla in California, sono nella cronaca dei giornali. Il Giappone conta oggi 77 milioni di abitanti; gli Stati Uniti 110 milioni. Che la coscienza della inevitabilità di un urto fra questi due Stati esista, può trovarsi in questo particolare significantissimo: il libro che ha avuto ed ha a Tokio la maggiore diffusione in tutte le zone della popolazione, s'intitola: La nostra prossima guerra cogli Stati Uniti. Quella che si profila è la guerra dei continenti per un dominio del Pacifico. L'asse della civiltà mondiale tende a spostarsi. Fu, sino al 1500, nel Mediterraneo; dal 1492 in poi, scoperta dell'America, passò nell'Atlantico: da oggi, si annuncia il suo trapasso al più grande oceano del pianeta.
Dissi altra volta che ci avviciniamo al secolo "asiatico". Il Giappone è destinato a funzionare da fermento di tutto il mondo giallo, mentre non è detto che Isaac Rufus, diventato lord Reading e viceré delle Indie, riuscirà a salvare in quelle terre l'imperialismo britannico.
Spostandosi l'asse della civiltà da Londra a New York (che fa già 7 milioni di abitanti e sarà, fra poco, la più grande agglomerazione umana della terra) e dall'Atlantico al Pacifico, c'è chi prevede un graduale decadimento economico e spirituale della nostra vecchia Europa, del nostro continente piccolo e meraviglioso, che è stato, sino ad ieri, guida e luce per tutte le genti. Assisteremo a questo oscurarsi ed eclissarsi del "ruolo" europeo nella storia del mondo?
A questa domanda inquietante e angosciosa rispondiamo: è possibile. La "vita" dell'Europa, specialmente nelle zone dell'Europa Centrale, è alla mercé degli americani. D'altra parte l'Europa ci presenta un panorama politico ed economico tormentatissimo, un groviglio spinoso di questioni nazionali e di questioni sociali e talvolta accade che il comunismo sia la maschera del nazionalismo e viceversa. Non sembra vicina realtà quella di una "unità" europea. Egoismi ed interessi di nazioni e di classi si accampano in fieri contrasti. La Russia non è più un enigma dal punto di vista economico. In Russia non c'è comunismo e nemmeno socialismo, ma una rivoluzione agraria a tipo democratico, piccolo-borghese. Rimane l'enigma dal punto di vista politico. Quale politica estera persegue in realtà la Russia? E' una politica di pace o di guerra? La varietà dei fatti a nostra conoscenza ci porta ad oscillare perennemente, fra l'una e l'altra ipotesi. In altri termini: sotto l'emblema falce e martello, si nasconde o non si nasconde il vecchio panslavismo, che, oggi sarebbe inoltre dominato da una ferrea necessità "rivoluzionaria" che è quella di allargare la rivoluzione nel resto d'Europa per salvare il Governo dei Soviety in Russia?
Se la Russia farà una politica di guerra la sorte degli Stati baltici (Lituania, Lettonia, Estonia) appare segnata. Incerto anche il destino della Polonia, che potrebbe essere schiacciata al muro ostile tedesco dell'eventuale straripare dei russi. Ci sono in quelle plaghe dell'Europa nord-orientale, punti di dissidio, fra gli Stati. C'è un dissidio polacco-lituano-russo a proposito di Wilna 263.000 polacchi, 118.000 lituani, 8.000 bianco-ruteni, 83.000 israeliti. Le stesse cifre proporzionalmente si hanno per Grodno. Quanto all'Alta Slesia che tiene agitatissimo il mondo tedesco e quello polacco, le statistiche tedesche danno queste cifre: 1.348.000 polacchi; 588.000 tedeschi. L'Alta Slesia è, dunque, polacca, ma il suo destino sarà deciso dal plebiscito convocato pel 15 Marzo.
La grande guerra si è conclusa con sei, finora, trattati di pace: Versailles, S. Germano, Trianon, Neuilly, Sevres, Rapallo. Nessuno di questi trattati, ha accontentato in tutto i vincitori: nessuno di questi trattati, nemmeno quello di Rapallo, che si volle definire un trionfo delle negoziazioni amichevoli e pacifiche, è stato accettato dai vinti. Ognuno di questi trattati ha dei punti controversi o di difficile realizzazione. Per quello che riguarda il "trattatissimo" di Versailles, è in piedi, proprio in questo momento, la grossa questione dell'indennità che la Germania dovrebbe pagare: è una cifra che dà le vertigini. L'ultima parola non è stata ancora detta. Tutto quello che si fa, specie dai diplomatici, è un definitivo che ha sempre un ironico carattere di provvisorio. I tedeschi che hanno realizzato l"union sacrèe" del non pagare, annunciano che faranno delle controproposte e se ne parlerà a Londra, presenti gli stessi tedeschi, fra qualche settimana. La nostra opinione è che se i tedeschi possono pagare, devono, sino al grado della loro possibilità, pagare. I "tecnici" stabiliscano questa loro possibilità. Non bisogna dimenticare, prima di abbandonarsi a compiangere i tedeschi, che se vincevano, la indennità che noi avremmo dovuto pagare, era già stata fissata in 500 miliardi d'oro; che i tedeschi hanno scatenato la guerra e che il primo irredentismo inscenato dai tedeschi è diretto contro l'Italia, per la loro minoranza calata abusivamente nell'Alto Adige.
Dal trattato di S. Germano è uscita l'attuale repubblica austriaca. Può vivere così com'è formata? Generalmente si opina di no. Rimane l'ipotesi di una confederazione danubiana sull'asse Vienna-Budapest ma la "Piccola Intesa", composta dagli eredi, vigila a che non si ritorni, sotto una forma o l'altra, all'antico.
Noi pensiamo che, per forza di cose, a una Confederazione economica danubiana, presto o tardi, ci si arriverà e allora le condizioni dell'Austria e in particolar modo quelle di Vienna, ne verrebbero migliorate sino ad attenuare il movimento annessionistico pro-Germania. Dal punto di vista della giustizia, e quando ci fosse una manifesta e chiara volontà di popolo, l'Austria avrebbe diritto di "alienarsi" alla Germania. Questa ipotesi non ci può lasciare indifferenti, per via del confine al Brennero, questione di vita o di morte, per la sicurezza della valle padana. Un'Austria affamata ed elemosinante, non può scatenare un'irredentismo pericoloso contro di noi; unita alla Germania, la questione dell'Alto Adige si farebbe certissimamente più acuta. Quanto all'Ungheria essa può attendere una ragionevole revisione del Trattato che la mutilava da ogni parte. Bisogna però aggiungere che il capitolo "Fiume" è definitivamente sepolto nella storia ungherese. In tutto il mondo balcanico esistono focolai d'infezione di nuove guerre. Citiamo: Montenegro, Albania. Siamo per la indipendenza del primo e della seconda, se dimostrerà di saperla godere. Macedonia che è bulgara (1.181.000 bulgari, di fronte a 499.000 turchi ed a 228.000 greci). La Bulgaria ha diritto a un porto sull'Egeo. E' questo di un interesse capitale per l'espansione economica italiana in Bulgaria. Il trattato di Sèvres ha massacrato la Turchia per iperbolizzare la Grecia di Venizelos e di Costantino che ha dato alla guerra europea il sacrificio di ben 787 "euzoni". Pensiamo che per ciò che riguarda il Mediterraneo Orientale, l'Italia debba seguire una politica piuttosto turcofila.
A suo tempo, immediatamente dopo la firma del trattato, il Comitato Centrale dei Fasci diede il suo giudizio sul trattato di Rapallo, trovandolo "accettabile per il confine orientale, inaccettabile e deficiente per Fiume, insufficiente e da respingere per Zara e la Dalmazia". A tre mesi di distanza quel giudizio non appare smentito dagli avvenimenti successivi. Il trattato di Rapallo è un compromesso infelice, contro il quale sul Popolo furono elevate pagine di critica che è, ora, inutile riesumare. Si tratta di spiegare come l'Italia vittoriosa sia giunta a Rapallo. E la spiegazione non richiede eccessivi sforzi mentali. Siamo arrivati a Rapallo, come conseguenza logica della politica estera - fatta o impostaci - prima della guerra, durante la guerra e dopo la guerra. Per spiegare Rapallo, bisogna pensare agli alleati, due dei quali, essendo mediterranei per posizione geografica (Francia) o per interessi e colonie (Inghilterra) non possono vedere di buon occhio il sorgere dell'Italia in potenza mediterranea. onde si spiegano, in loro, lo zelo e tutte le manovre più o meno oblique con cui sono riuscite a creare nell'Adriatico Superiore e Inferiore, il contraltare marittimo - jugoslavo e greco - dell'Italia. Rapallo si spiega pensando a Wilson e ai suoi cosiddetti "experts"; alla mancanza assoluta di propaganda italiana all'estero; alla stanchezza mortale e perfettamente comprensibile della popolazione. Rapallo si spiega col convegno delle Nazionalità oppresse tenutosi nell'Aprile del 1918 a Roma e quel convegno si riattacca all'infausta pagina di Caporetto. Tutto si paga nella vita. Il 12 Novembre del 1920 abbiamo pagato a Rapallo la rotta del 24 Ottobre 1917. Senza Caporetto, niente Patto di Roma. In quel congresso i jugoslavi ci vendettero del fumo, poiché in realtà essi nulla, assolutamente nulla, fecero per disintegrare dall'interno la duplice monarchia, della quale furono fedelissimi servitori sino all'ultimo, con lealismo tradizionalmente croato. Non per niente, dopo il suo decesso, la monarchia d'Absburgo tentava regalare ai jugoslavi la sua flotta di guerra. Ma nell'Aprile del 1918 si creava - consenzienti tutte le correnti dell'opinione pubblica italiana, compresa la nostra e la nazionalista - l'irreparabile; si elevavano, cioè, al rango di alleati effettuali e potenziali i nostri peggiori nemici e si capisce, che a vittoria ottenuta, costoro non hanno accettato il ruolo dei vinti, ma hanno insistito sul loro ruolo di collaboratori e hanno rivendicato anche nei nostri confronti la relativa quota-parte del bottino comune. Dopo il Patto di Roma, non si poteva piantare il ginocchio sul petto alla Jugoslavia: questa la verità. Così è accaduto che il popolo italiano, stanco ed impoverito, snervato da due lunghi anni di inutili trattative, demoralizzato dalla politica di Cagoia e dalla tremenda ondata di disfattismo postbellico alla quale solo i Fasci hanno potentemente reagito, ha accettato o subito il trattato di Rapallo, senza manifestazioni di gioia o di rammarico. Pur di finirla, una buona volta, molta gente avrebbe trangugiato anche la linea terribile di Montemaggiore. Tutti i partiti, di tutte le gradazioni di destra o di sinistra, hanno accettato il trattato come un "meno peggio". Noi lo abbiamo subìto considerandolo soprattutto come una cosa effimera e transitoria (c'è mai stato nel mondo e specialmente sulle sabbie mobili della diplomazia qualche cosa di definitivo?) e, nell'intento di preparare tutte le forze affinché la prossima o lontana, ma fatale revisione, migliori il trattato e non lo peggiori; porti il nostro confine alle Dinariche, ma non porti mai più il confine jugoslavo all'Isonzo. La sorte toccata alla Dalmazia ci angoscia profondamente. Ma la colpa della rinuncia non è da attribuirsi tutta ai negoziatori dell'ultima ora: la rinuncia era già stata perpetrata nel Parlamento, nel giornalismo, nell'Università stessa, dove un professore ha stampato libri - naturalmente tradotti a Zagabria - per dimostrare - a modo suo - che la Dalmazia non è italiana !
La tragedia dalmata è in questa ignoranza, malafede e incomprensione, colpe alle quali speriamo di riparare colla nostra opera futura, intesa a far conoscere, amare e difendere la Dalmazia italiana.
Firmato il trattato, si poteva annullarlo con uno o l'altro di questi due mezzi: o la guerra all'esterno o la rivoluzione all'interno. L'una e l'altra assurde ! Non si fa scattare un popolo sulle piazze contro un trattato di pace, dopo cinque anni di calvario sanguinoso. Nessuno è capace di operare tale prodigio !
Si è potuta fare in Italia una rivoluzione per imporre l'intervento, ma nel Novembre 1920 non si poteva pensare a una rivoluzione per annullare un trattato di pace, che, buono o cattivo, era accettato dal 99 percento degli italiani ! Io non tengo, fra tutte le virtù possibili e pensabili, alla coerenza; ma testimoni esistono e documenti stenografici fanno fede, che, dopo Rapallo, io ho sempre dichiarato che due cose mi rifiutavo di fare contro il trattato: la guerra all'esterno e la guerra all'interno. Pensavo anche che era pericoloso imbottigliarsi in un'opposizione armata al trattato, rimanendo in un punto periferico della Nazione, come Fiume.
Due mesi di polemiche e note quotidiane dei mesi di Novembre e Dicembre, stanno a testimoniare trionfalmente la mia opera di solidarietà colla causa di Fiume e la mia aperta e recisa opposizione al Governo di Giolitti. Gran peccato che l'oblio cada così rapidamente sugli scritti di un quotidiano; nè io ho l'abitudine melanconica di riesumare ciò che pubblico. Ma la realtà indistruttibile è che giorno per giorno ho battagliato perché il Governo di Roma riconoscesse quello di Fiume; perché al convegno di Rapallo fossero invitati i rappresentanti della Reggenza; perché da parte del Governo di Roma si evitasse ogni attacco armato contro Fiume. A Tragedia iniziata ho bollato come un enorme delitto l'attacco della vigilia di Natale e ho segnato all'indomani i "titoli d'infamia" del Governo di Giolitti e sempre ho esaltato lo spirito di giustizia, di libertà e di volontà che è lo spirito immortale della legione di Ronchi.
Accade per gli avvenimenti della storia, come talvolta a teatro: ci sono delle platee ringhiose che, avendo pagato il biglietto, pretendono che la rappresentazione, a qualunque costo, vada a termine. Così oggi in Italia incontrate due categorie d'individui: gli uni, tipo Malagodi e Papini, che rimproverano a D'Annunzio di essere sopravvissuto alla tragedia fiumana e altri che rimproverano a Mussolini di non aver fatto quella piccola cosa leggera, facile, graziosa, che si chiama una "rivoluzione". Io ho sempre disdegnato gli alibi vigliacchi, coi quali e pei quali, in Italia - deficienza, impotenza, rancori e miserie - ci si sfoga su teste di turco reali o immaginarie. I Fasci di Combattimento non hanno mai promesso di fare la rivoluzione in Italia, in caso di un attacco a Fiume, e specialmente dopo la defezione di Millo. Io poi, personalmente, non ho mai scritto o fatto sapere a D'Annunzio che la rivoluzione, in Italia, dipendeva dal mio capriccio. Non faccio bluff e non vendo del fumo. La rivoluzione non è una boite à surprise che scatta a piacere. Io non la porto in tasca e non la portano nemmeno coloro che del suo nome si riempiono la bocca rumorosamente e all'atto pratico non vanno oltre al tafferuglio di piazza, dopo la dimostrazioncella inconcludente, magari col provvidenziale arresto che salva da guai peggiori. Conosco la specie e gli uomini. Faccio la politica da vent'anni. A guerra iniziata fra Caviglia e Fiume, o c'era la possibilità di scatenare grandi cose o altrimenti, per un senso di pudore, bisognava evitare l'eccessivo vociare e le sparate fumose, dileguate subito senza traccia e senza sangue.
La storia raccolta di fatti lontani insegna poco agli uomini; ma la cronaca,storia che si fa sotto gli occhi nostri, dovrebbe essere più fortunata. Ora la cronaca ci dice che le rivoluzioni si fanno coll'esercito, non contro l'esercito; colle armi, non senza armi; con movimenti di reparti inquadrati, non con masse amorfe, chiamate a comizi di piazza. Riescono quando le circonda un alone di simpatia da parte della maggioranza; se no, gelano e falliscono. Ora, nella tragedia fiumana, esercito e marina non defezionarono. Certo rivoluzionarismo fiumano dell'ultima ora non si definiva; andava da taluni anarchici a taluni nazionalisti. Secondo taluni "emissari", si poteva mettere insieme il diavolo e l'acqua santa; la nazione e l'anti-nazione; Misiano e Delcroix. Ora io, dichiaro che respingo tutti i bolscevismi, ma qualora dovessi, per forza, sceglierne uno, prenderei quello di Mosca e di Lenin, non fosse altro perché ha proporzioni gigantesche, barbariche, universali. Quale rivoluzione allora? La nazionale o la bolscevica ? Una grande incertezza - complicata da tante cause minori - confondeva gli animi, mentre la nazione più che in un senso di rivolta per ciò che accadeva attorno a Fiume, si raccoglieva in un senso di dolore e una sola cosa auspicava: la localizzazione dell'episodio e la sua rapida, pacifica conclusione.
Delle due l'una, nel caso che ci fosse stata e non c'era assolutamente, dato il contegno delle forze armate di cui disponeva il governo, la possibilità di un moto insurrezionale da parte nostra: o la disfatta o la vittoria. Nel primo caso tutto sarebbe andato perduto irreparabilmente nel baratro di una inutile guerra civile. Facciamo pure per amore di polemica, la seconda ipotesi; l'ipotesi della vittoria colla caduta del governo e del regime. E nel secondo tempo? Dopo la più o meno facile demolizione, quale direzione avrebbe avuto la rivoluzione? Sociale, come volevano taluni bolscevizzanti - quelli della formula "sempre più a sinistra", equivalente della grottesca "corsa al più rosso" - o nazionale e dalmatica e reazionaria come la volevano altri?
Non possibilità di conciliazione fra le due correnti. Per una rivoluzione socialoide, che significato avrebbero potuto avere ancora le questioni territoriali e precisamente dalmatiche? Nell'altro caso di una rivoluzione nazionale, contro il trattato di Rapallo, il tutto si sarebbe limitato ad un annullamento formale del trattato e a una sostituzione di uomini, per poi addivenire a un altro trattato, in un'altra Rapallo qualsiasi, poiché un giorno o l'altro, la nazione avrebbe dovuto finalmente avere la sua pace. Non si sanava un episodio di guerra civile, scatenando più ampia guerra, in un momento come quello che si attraversava, e nessuno è capace di prolungare e di creare artificiosamente situazioni storiche conchiuse e superate. A chi sa elevarsi al disopra delle meschine passioni e sa trarre una sintesi del vario cozzare degli elementi, e scernere il grano puro dal loglio equivoco, è concesso il privilegio dell'anticipazione sul Natale fiumano che può essere chiamato il punto d'incrocio tragico fra la ragione di Stato e la ragione dell'Ideale; il convegno terminale di tutte le nostre deficienze e di tutte le nostre grandezze !
Il primo è quello di Fiume. Non sentiamo il bisogno di accumulare frasi per ripetere la nostra solidarietà colla città olocausta. Abbiamo dato, proprio in questi giorni, le prove più tangibili della nostra solidarietà al Fascio Fiumano di Combattimento, per rimetterlo in condizioni tali da impegnare la lotta contro la croataglia che ritorna a farsi viva. L'azione dei fascisti deve tendere a realizzare, per il momento, l'annessione economica di Fiume all'Italia. Sollecitare governo e privati. Nello stesso tempo mantenere con ogni mezzo la fiamma dell'italianità, in modo che all'annessione economica si passi in breve a quella politica. A ciò si arriverà, malgrado tutto. Tutta la solidarietà fascista, nazionale e governativa dev'essere concentrata su Zara, in modo che la piccola città possa adempiere al suo delicato e grandioso compito storico. Tutela efficace degli italiani rimasti negli altri centri della Dalmazia. Niente collegio separato per gli slavi in Istria o per i tedeschi nell'Alto Adige. Non si può creare un precedente siffatto che ci porterebbe molto lontano. I francesi della Val d'Aosta, che sono, in realtà, ottimi italiani, non hanno collegio speciale o altri privilegi del genere. Questa duplice circoscrizione sarebbe un errore gravissimo. Tocca ai fascisti del Trentino e di Trieste, impedire a qualunque costo che si compia.
Gli orientamenti stabiliti l'anno scorso - nell'adunata del Maggio a Milano - non sono invecchiati o sorpassati.
Il Fascismo gode fama di essere "imperialista".Quest'accusa fa il paio coll'altra di "reazionarismo". Il Fascismo è anti-rinunciatario quando "rinunciare" significa umiliarsi e diminuirsi. A paragrafi:
1°)Il Fascismo non crede alla vitalità e ai principi che ispirano la cosiddetta Società delle Nazioni. In questa Società le Nazioni non sono affatto su un piede di eguaglianza. E' una specie di santa alleanza delle nazioni plutocratiche del gruppo franco-anglo-sassone per garantirsi - malgrado inevitabili urti di interessi - lo sfruttamento della massima parte del mondo.
2°) Il Fascismo non crede alle Internazionali rosse che muoiono, si riproducono, si moltiplicano, tornano a morire. Si tratta di costruzioni artificiali e formalistiche, che raccolgono piccole minoranze, in confronto alle masse di popolazioni che vivendo, movendosi e progredendo o regredendo, finiscono per determinare quegli spostamenti di interesse, davanti ai quali vanno a pezzi le costruzioni internazionalistiche di prima, seconda, terza maniera.
3°) Il Fascismo non crede alla immediata possibilità del disarmo universale.
4°) Il Fascismo pensa che l'Italia debba fare, nell'attuale periodo storico, una politica europea di equilibrio e di conciliazione fra le diverse Potenze.
Da queste premesse generali consegue che i Fasci Italiani di Combattimento chiedono:
a) che i Trattati di pace siano riveduti e modificati in quelle parti che si appalesano inapplicabili o la cui applicazione può essere fonte di odi formidabili e fomite di nuove guerre;
b) l'annessione economica di Fiume all'Italia e la tutela degli italiani residenti nelle terre dalmatiche;
c) lo svincolamento graduale dell'Italia dal gruppo delle nazioni plutocratiche occidentali attraverso lo sviluppo delle nostre forze produttive interne;
d) il riavvicinamento alle nazioni nemiche - Austria, Germania, Bulgaria, Turchia, Ungheria - ma con atteggiamento di dignità, e tenendo fermo alle necessità supreme dei nostri confini settentrionali e orientali;
e) creazione e intensificazione di relazioni amichevoli con tutti i popoli dell'Oriente, non esclusi quelli governati dai "Soviety" e del Sud-Oriente europeo;
f) rivendicazioni, nei riguardi coloniali dei diritti e delle necessità della nazione;
g) svecchiamento e rinnovamento di tutte le nostre rappresentanze diplomatiche con elementi usciti da facoltà speciali universitari;
h) valorizzazione delle colonie italiane del Mediterraneo e di oltre Atlantico con istituzioni economiche e culturali e con rapide comunicazioni.
Ho una fede illimitata nell'avvenire di grandezza del popolo italiano. Il nostro è, fra i popoli europei, il più numeroso e il più omogeneo. E' destino che il Mediterraneo torni nostro. E' destino che Roma torni ad essere la città direttrice della civiltà in tutto l'Occidente d'Europa. Innalziamo la bandiera dell'impero, del nostro imperialismo che non deve essere confuso con quello di marca prussiana o inglese. Commettiamo alle nuove generazioni che sorgono la fiamma di questa passione: fare dell'Italia una delle nazioni senza le quali è impossibile concepire la storia futura dell'Umanità.
Respingiamo tutte le stolide obiezioni dei sedentari che ci parlano di analfabetismo e di pellagra ed altro, quando si vede che mezzo secolo di "piede di casa" non ci ha guariti da questi che non sono nè delitti, nè vergogna. Al disopra dei pessimisti che vedono tutto grande in casa altrui e tutto piccolo in casa propria, dobbiamo avere l'orgoglio della nostra razza e della nostra storia. La guerra ha enormemente aumentato il prestigio morale dell'Italia. Si grida: "Viva l'Italia" nella lontana Lettonia e nella ancora più lontana Georgia. L'Italia è l'ala tricolore di Ferrarin, l'onda magnetica di Marconi, la bacchetta di Toscanini, il ritorno a Dante, nel sesto centenario della sua dipartita. Sogniamo e prepariamo - con l'alacre fatica di ogni giorno - l'Italia di domani, libera e ricca, sonante di cantieri, coi mari e i cieli popolati dalle sue flotte. con la terra ovunque fecondata dai suoi aratri. Possa il cittadino che verrà dire quel che Virgilio diceva di Roma: imperioum oceano, famam qui terminet astris: ponga i termini dell'Impero all'Oceano ma la sua fama elevi alle stelle.
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Giovanni




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MessaggioInviato: Mar Feb 17, 2009 2:34 pm    Oggetto:  
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Discorso del 3 aprile 1921 Bologna

Fascisti dell'Emilia e della Romagna ! Cittadini bolognesi ! Tutte le circostanze, a cominciare dalle accoglienze di ieri sera, dai canti di questa notte, a questo magnifico mareggiare di teste, al saluto che io accettai con trepida venerazione, dalla vedova del nostro indimenticabile Giulio Giordani, (applausi) alla presenza in un palco di due donne eroiche, vedove di eroi grandissimi: parlo di Battisti e di Venezian (applausi); tutto ciò potrebbe trascinarmi sopra un terreno dell'eloquenza che non è la mia. Ma io credo, io sono quasi certo che voi non vi attendete da me un discorso retorico, ma vi attendete da me un discorso duro ed aspro, come è nel mio costume. Ed allora noi ci parleremo schiettamente, fascisticamente.
Io ringrazio l'avv. Grandi che mi ha presentato a voi con parole troppo lusinghiere: io le accetto e credo di non commettere un peccato di orgoglio. Potrei dirvi socraticamente che se ognuno deve conoscere se stesso, anche io conosco e devo conoscere me stesso (applausi). Come è nato questo fascismo, attorno al quale è così vasto strepito di passioni, di simpatie, di odi, di rancori e di incomprensione? Non è nato soltanto dalla mia mente o dal mio cuore: non è nato soltanto da quella riunione che nel 1919 noi tenemmo in una piccola sala di Milano. E' nato da un profondo, perenne bisogno di questa nostra stirpe ariana e mediterranea che ad un dato momento si è sentita minacciata nelle ragioni essenziali della esistenza di una tragica follia e da una favola mitica che oggi crolla a pezzi nel luogo stesso ove è nata (applausi).
Noi sentimmo allora, noi che non eravamo i maddaleni pentiti; noi che avevamo il coraggio di esaltare sempre l'intervento e le ragioni delle giornate del 1915; noi che non ci vergognavamo di avere sbaragliato l'Austria sul Piave e di averla poi mandata in frantumi a Vittorio Veneto; noi che volemmo una pace vittoriosa, noi sentimmo subito, appena cessata l'esaltazione della vittoria, che il nostro compito non era finito. Difatti ad ogni volgere di stagione si dice che il mio compito e il compito delle forze che mi seguono, sia finito. Nel Maggio 1915, quando i fasci di azione rivoluzionaria avevano spazzato da tutte le strade, da tutte le piazze e le vie d'Italia, perfino nei più piccoli borghi d'Italia il neutralismo parecchista, si disse: Mussolini non ha più niente da dire alla nazione. Ma quando vennero le tragiche e tristi giornate di Caporetto, quando Milano era grigia e terrea perché sentiva che se gli austriaci passavano e venivano nella città delle cinque giornate sarebbe stata la fine dell'Italia tutta, allora noi sentimmo di avere ancora una parola di dire. E dopo la vittoria, quando sorse la scuola della rinunzia più o meno democratica, che intendeva amputare la vittoria, noi fascisti avemmo il supremo spregiudicato coraggio di dirci imperialisti ed antirinunciatari.
Fu quella la prima battaglia che demmo nel Teatro della Scala nel Gennaio 1919. Ma come? Avevamo vinto, avevamo vinto noi per tutti, avevamo sacrificato il fior fiore della nostra gioventù, e poi si veniva a noi coi conti degli usurai, degli strozzini. Ci si contendevano i termini sacri della patria, e c'erano in Italia dei democratici, la cui democrazia consiste nel fare l'imperialismo per gli altri e nel rinnegarlo per noi (applausi), che ci lanciavano questa stolta accusa, semplicemente perché intendevamo che il confine d'Italia al nord dovesse essere il Brennero, dove sarà fin che ci sarà il sangue di un italiano in Italia (applausi). Intendevamo che il confine orientale fosse al Nevoso, perché la' sono i naturali, giusti confini della Patria e perché non eravamo sordi alla passione di Fiume e perché portavamo nel cuore lo spasimo del fratelli della Dalmazia, perché infine sentivamo vivi e vitali quei vincoli di razza che non ci lega soltanto agli italiani da Zara a Ragusa ed a Cattaro, ma che ci lega anche agli italiani del Canton Ticino, anche a quegli italiani che non vogliono più esserlo, a quelli di Corsica, a quelli che sono al di la' dell'Oceano, a questa grande famiglia di 50 milioni di uomini che noi vogliamo unificare in uno stesso orgoglio di razza (applausi). Si notavano già le prime avvisaglie della offensiva pussista. Milano il 16 Febbraio assistette, fra lo sgomento e il terrore di una borghesia infiacchita e trepidante, ad una sfilata di 20 mila bolscevichi i quali, dopo aver inneggiato a Lenin dall'alto dei torrioni del castello, dissero che la rivoluzione bolscevica era imminente.
Allora io uscii all'indomani con un articolo che fece una certa impressione anche ad alcuni amici. Era intitolato:"Contro il ritorno della bestia trionfante".Era un articolo in cui si diceva: noi siamo disposti a convertire le piazze delle città d'Italia in tante trincee munite di reticolati per vincere la nostra battaglia, per dare l'ultima battaglia contro questo nemico interno. E la battaglia disfattista iniziatasi con quella parata continuò per tutta l'estate quando fu rimestata fino alla nausea quella inchiesta sul disastro di Caporetto che un ministro infame, infamabile, da infamarsi ( morte a Nitti, morte a Cagoia, viva d'Annunzio, applausi) aveva dato in pasto alla esasperazione ed ai giusti dolori di gran parte del popolo italiano.
Anche allora noi fascisti avemmo il coraggio di difendere certe azioni che col misurino della morale corrente non sono forse difendibili. Ma, o signori, la guerra è come la rivoluzione: si accetta in blocco: non si può scendere al dettaglio: non si può e non si deve.
Ma intanto questa campagna aveva le sue risultanze elettorali. Un milione e 850.000 elettori misero nell'urna la scheda con la falce e il martello: 156 deputati alla Camera. Pareva imminente la catastrofe. Io fui ripescato suicida nelle acque niente affatto limpide del vecchio Naviglio. Ma si dimenticava una cosa: si dimenticava il mio spirito tenacissimo e la mia volontà qualche volta indomabile. Io, tutto orgoglioso del miei quattromila voti, e chi mi ha visto in quei giorni sa con quanta disinvoltura accettassi questo responso elettorale, dissi: la battaglia continua ! Perché io credevo fermamente che giorno sarebbe venuto in cui gli italiani si sarebbero vergognati delle elezioni del 16 Novembre, giorno sarebbe venuto in cui gli italiani non avrebbero più eletto in due città quell'ignobile disertore che io in questo momento non voglio nominare (applausi: morte a Misiano!). Tanto è vero che costui oggi essendo incapace di vivere nel dramma scende nella farsa e dopo avere disprezzato la guardia regia chiede a quella divisa la impunità e la salvezza.
Ma ancora non è finito l'avvento di questo fascismo, di questo movimento straripante, di questo movimento giovane, ardimentoso ed eroico. io solo qualche volta , io che rivendico la paternità di questa mia creatura così traboccante di vita, io posso qualche volta sentire che il movimento ha già straripato dai modesti confini che gli aveva assegnato. Infine noi fascisti abbiamo un programma ben chiaro: noi dobbiamo procedere innanzi preceduti da una colonna di fuoco, perché ci si calunniava e non ci si voleva comprendere. E per quanto si possa deplorare la violenza, è evidente che noi per imporre le nostre idee ai cervelli dovevamo a suon di randellate toccare i crani refrattari.
Ma noi non facciamo della violenza una scuola, un sistema o peggio ancora una estetica. Noi siamo violenti tutte le volte che è necessario esserlo. Ma vi dico subito che bisogna conservare alla violenza necessaria del fascismo una linea, uno stile nettamente aristocratico o se meglio vi piace nettamente chirurgico.
Le nostre spedizioni punitive, tutte quelle violenze che occupano le cronache dei giornali, devono avere sempre il carattere di una giusta ritorsione e di una legittima rappresaglia. Perché noi siamo i primi a riconoscere che è triste dopo avere combattuto contro i nemici di fuori combattere ora contro i nemici di dentro che vogliono o non vogliono sono italiani anch'essi. Ma è necessario, e fin che sarà necessario assolveremo al nostro compito in questa dura ingrata fatica.
Ora i democratici, i repubblicani, i socialisti ci muovono accuse di diverso genere. I socialisti fino a ieri hanno detto che siamo venduti ai pescicani o all'agraria. Non ci sarebbero pescicani sufficienti in Italia per sovvenzionare un movimento come il nostro e d'altra parte vi devo dire che sarebbero pescicani piuttosto stupidi perché fin dal Marzo 1919 noi nei postulati fascisti abbiamo messo dei provvedimenti fiscali assai gravi e che sono in ogni caso antipescecaneschi.
Le altre accuse che ci da la democrazia sono ridicole, le accuse che ci fanno i repubblicani altrettanto. Io non mi spiego come dei repubblicani possano essere contrari ad un movimento che è tendenzialmente repubblicano. Io comprenderei che fossero contrari ad un movimento tendenzialmente monarchico. Ci si dice: voi non avete pregiudiziali. Non ne abbiamo ed è nostro vanto non averne. Ma voi dovete spiegarvi il fenomeno dell'ira e della incomprensione dei socialisti. I socialisti avevano in Italia costituito uno stato nello Stato. Se questo nuovo stato fosse stato più liberale, più moderno, più vicino all'antico, niente in contrario. Ma questo stato, e voi lo sapete per esperienza diretta, era uno stato più tirannico, più illiberale, più camorrista del vecchio, per cui questa che noi compiamo oggi è una rivoluzione che spezza lo stato bolscevico nell'attesa di fare conti con lo stato liberale che rimane. (Applausi).
C'è chi pensa che la crisi socialista sia soltanto una crisi di uomini, di questi piccoli uomini che voi conoscete, i Bucco, i Zanardi, i Bentini (urla di abbasso)e simile tritume umano; ma la crisi è più profonda, cari amici, è un tracollo di tutti i valori. Non è soltanto una fuga più o meno ignobile di uomini perché fra tutte le cose assurde c'è stata questa: di battezzare il socialismo come scientifico. Ora di scientifico non c'è niente al mondo. La scienza ci spiega il come dei fenomeni, ma non ci spiega anche il perché di essi. Ora se non c'è niente di scientifico in quelle che si chiamano le scienze esatte, pensate se non era assurdo, se non era grottesco gabellare per scientifico un movimento vasto, incerto, oscuro, sotterraneo come è stato il movimento socialista il quale ha avuto una funzione utile in un primo tempo, quando si è diretto a queste plebi oppresse e le ha fatte scattare verso nuove forme di vita. Voi converrete con me che non si torna indietro. Non si deve fare del contrabbando stolto, reazionario o conservatore sotto il gagliardetto del fascismo. Non si può pensare a strappare alle masse operaie le conquiste che hanno ottenuto con sacrifici. Noi siamo i primi a riconoscere che una legge dello Stato deve dare le otto ore di lavoro e che ci deve essere una legislazione sociale rispondente alle esigenze dei tempi nuovi. E ciò non perché riconosciamo la maestà di S.M. il proletariato. Noi partiamo da un altro punto di vista. Ed è questo: che non ci può essere una grande nazione capace di grandezza attuale e potenziale se le masse lavoratrici sono costrette ad un regime di abbrutimento. (Applausi) E' necessario quindi che attraverso ad una predicazione e ad una pratica che io chiamerei mazziniana, la quale concilii e debba conciliare il diritto col dovere, è necessario che questa massa enorme di diecine di milioni di gente che lavora, che questa enorme massa sia portata sempre più ad un livello superiore di vita.
E' stolto ed assurdo dipingerci come nemici della classe lavoratrice e laboriosa. Noi ci sentiamo fratelli in ispirito con coloro che lavorano: Ma non facciamo distinzioni assurde, ma non mettiamo al primo piano il callo, specie se è al cervello. Noi non mettiamo sugli altari la nuova divinità del lavoratore manuale. Per noi tutti lavorano: anche l'astronomo che sta nella sua specula a consultare la traiettoria delle stelle lavora, anche il giurista, l'archeologo, lo studioso di religioni, anche l'artista lavora, quando accresce il patrimonio dei beni spirituali che sono a disposizione del genere umano: lavora anche il minatore, il marinaio, il contadino. Noi vogliamo appunto che tutti i lavori si compendino e si integrino a vicenda: vogliamo che tra spirito e materia, fra cervello e braccio si realizzi la comunione, la solidarietà della stirpe. Ed allora questo fascismo è la ventata di tutte le eresie che batte alle porte di tutte le chiese. E dice ai vecchi sacerdoti più o meno piagnoni: Andatevene da questi tempi che minacciano rovina, perché la nostra eresia trionfante è destinata a portare la luce in tutti i cervelli, a tutti gli animi. E diciamo a tutti: piccoli e grandi uomini della scena politica nazionale, diciamo fate largo che passa la giovinezza d'Italia che vuole imporre la sua fede e la sua passione. E se voi non farete spontaneamente largo, voi sarete travolti dalla nostra universale spedizione punitiva che raccoglierà in un fascio gli spiriti liberi della nazione italiana. (Applausi)
Siamo dinanzi ad un fatto che è il fatto elettorale. Essendo la camera vecchia e peggio che vecchia, fradicia ed imputridita, essendo tutti i protagonisti di questa semitragedia degli uomini usati ed abusati, stanchi e peggio ancora stracchi, si impone la nuova consultazione elettorale. Ebbene, non sentite voi che se le elezioni del 1919 furono disfattiste e misianesche, le elezioni del 1921 saranno nettamente fasciste? Non sentite voi che il timone dello Stato non ritornerà più ai vecchi uomini della vecchia Italia: nè a Salandra, nè a Sonnino, nè al lacrimoso Orlando, nè al porcino Nitti? Non sentite voi che il timone passa per un trapasso spontaneo da Giovanni Giolitti, l'uomo del parecchio neutralista, del 1915 a Gabriele D'Annunzio che è un uomo nuovo? (Applausi, ovazioni prolungate: Viva D'Annunzio).
Questi vostri applausi dicono molte cose: e disperdono equivoci che sono già dispersi. Ho ricevuto oggi un messaggio in base al quale posso affermare sinceramente che il dissidio creato più o meno ad arte fra quelli che hanno difeso Fiume - e noi tributeremo sempre loro l'omaggio della nostra riconoscenza - e noi che la difendemmo all'interno, non ha ragione di essere. E Gabriele D'Annunzio porrà fine a questo dissidio che più che da legionari partiva da certi politicanti che forse non erano neppure a Fiume quando a Fiume ci si batteva sul serio. E credo di aver detto a sufficienza perché tutti mi comprendano. (Applausi)
Altro elemento di vita del fascismo è l'orgoglio della nostra italianità. A questo proposito sono lieto di annunziarvi che abbiamo già pensato alla giornata fascista: se i socialisti hanno il 1° Maggio, se i popolari hanno il 15 Maggio, se altri partiti di altro colore hanno altre giornate, noi fascisti ne avremo una: ed è il Natale di Roma. il 21 Aprile. In quel giorno noi, nel segno di Roma Eterna, nel segno di quella città che ha dato due civiltà al mondo e darà la terza, noi ci riconosceremo e le legioni regionali sfileranno col nostro ordine che non è militaresco e nemmeno tedesco, ma semplicemente romano. Noi anche così abbiamo abolito e tendiamo ad abolire il gregge, la processione: noi aboliamo tutto ciò e sostituiamo a queste forme di manifestazione passatiste la nostra marcia che impone un controllo individuale ad ognuno, che impone a tutti un ordine ed una disciplina. Perché noi vogliamo appunto instaurare una solida disciplina nazionale, perché pensiamo che senza questa disciplina l'Italia non può divenire la nazione mediterranea e mondiale che è nei nostri sogni. E quelli che ci rimproverano di marciare alla tedesca, devono pensare che non siamo noi che copiamo i tedeschi, ma sono questi che copiavano e copiano i romani, per cui siamo noi che ritorniamo alle origini, che ritorniamo al nostro stile romano, latino e mediterraneo. E non abbiamo pregiudiziali: non le abbiamo perché non siamo una chiesa: siamo un movimento. Non siamo un partito: siamo una palestra di uomini liberi. Quando uno è stufo di essere fascista ha venti botteghe e venti chiese cui battere alla porta, per domandare ospitalità. Non abbiamo nemmeno istituti: li riteniamo superflui. Il nostro è un esercito che si riconosce dalla sua passione e dalla disciplina volontaria: che si riconosce soprattutto per ritenersi non guardia di un partito o di una fazione, ma soltanto guardia della nazione. Ci riconosciamo soprattutto dall'amore che sentiamo per l'Italia, per l'Italia resa e raffigurata nella sua storia, nella sua civiltà e raffigurata anche nella sua struttura geografica ed umana.
Ieri mentre il treno mi portava a Bologna, io mi sentivo veramente legato con le cose e con gli uomini, mi sentivo legato a questa terra, mi sentivo parte infinitesimale di quel magnifico fiume che corre dalle Alpi all'Adriatico, mi riconoscevo fratello nei contadini, che avevano il gesto sacro e grave di colui che lavora la terra; mi riconoscevo nel cielo azzurro che suscitava la mia inestinguibile passione del volo, mi riconoscevo in tutti gli aspetti della natura e degli uomini. Ed allora una preghiera profonda saliva dal mio cuore. E' la preghiera che tutti gli italiani dovrebbero recitare quando le aurore incendiano il cielo o quando i crepuscoli obnubilano la terra. Noi italiani del secolo XX, noi che abbiamo veduto la grande tragedia del compimento nazionale, noi che portiamo nel profondo nel nostro animo il ricordo di tutti i nostri morti, che sono la nostra religione, noi, o cittadini d'Italia, facciamo un solo giuramento, un solo proposito: vogliamo essere gli artefici modesti, ma tenaci delle sue fortune presenti e avvenire. (Applausi ed ovazioni)



AL POPOLO DI FERRARA

Discorso pronunciato a Ferrara, al Prato della Marfisa, il 4 aprile 1921.

Popolo di Ferrara!
Dico « popolo » con intenzione, perché quella che mi sta dinnanzi è una meravigliosa adunanza di « popolo », intesa la parola nel senso romano ed italico; e perché io vedo fra di voi i fanciulli che sono sull'aurora della vita e poco fa ho abbracciato e baciato un vecchio garibaldino, un superstite di quell'Italia eroica che nacque nel 1821, quando due ufficiali di cavalleria inalberarono a Nola lo stendardo della libertà contro il Borbone ed ebbe fine a Vittorio Veneto con la nostra grande e magnifica vittoria di popolo italiano. Vedo fra voi gli operai delle officine e vedo fra voi i fratelli operai dei campi. Noi fascisti abbiamo un grande affetto per la classe operaia, per la classe lavoratrice. Ma il nostro amore, in quanto è puro, è seriamente disinteressato ed intransigente. Noi amiamo non bruciando grani di incenso, non creandoci nuovi idoli o nuove maestà. Noi amiamo dicendo sempre e dovunque, schiettamente, la verità; tanto più è ingrata questa verità e tanto più bisogna dirla apertamente. Ebbene, se questo è il nostro amore per le cose laboriose, noi fascisti, calunniati fino a ieri, diffamati fino a ieri, noi abbiamo voluto continuare la guerra per ottenere il diritto di libera circolazione in Italia. Noi fascisti siamo i primi a riconoscere, non già per cedere ad un senso di vile demagogia, che i diritti delle classi laboriose della nazione sono sacri e che tanto più sacri sono i diritti di coloro che lavorano la terra. E qui mi è grato porgere un vivo plauso ai fascisti ferraresi, i quali hanno intrapreso, coi fatti e non con le chiacchiere insulse dei politicanti, quella rivoluzione agraria che deve dare ai contadini, gradualmente, senza trapassi epilettici, il possesso definitivo della terra. Io incoraggio vivamente i fascisti ferraresi a proseguire su questa strada e ad essere all'avanguardia del movimento agrario fascista in tutta Italia. Come si fa a dire che noi siamo dei venduti alla borghesia, al capitalismo ed al Governo? Già gli stessi avversari non osano più sostenere questa accusa, tanto è ribalda e ridicola. Questa vostra adunata imponentissima, che commuoverebbe un cuore anche più indurito del mio, mi dimostra che voi avete fatto giustizia di queste turpitudini messe in circolazione da gente che credeva alla eternità delle sue fortune, mentre in realtà troneggiava in un castello che doveva crollare al primo soffio della rivolta fascista. E questa rivolta fascista, e potremmo usare anche la parola più sacra e più grave, questa rivoluzione fascista si ispira ai motivi eterni, indistruttibili della morale e niente affatto a moventi di indole materiale. Noi fascisti diciamo che, al di sopra di tutte le competizioni, al di sopra di tutti i dissidi che dividono gli uomini (e che sono quasi naturali e quasi fatali perché l'umanità sarebbe straordinariamente noiosa se tutti pensassero nello stesso modo); noi fascisti diciamo che, al di sopra di competizioni e dissidi, c'è una realtà unica, come a tutti quanti, ed è la realtà della nazione, ed è la realtà della Patria, alla quale siamo tutti legati come l'albero attraverso le sue radici è legato alla terra che lo ha fecondato.
Così, lo si voglia o non lo si voglia, la Patria è una unità indistruttibile, eterna, immortale, che può avere - come tutte le idee, le istituzioni e i sentimenti di questo mondo - delle eclissi; ma ad un dato momento essa ristoppia dal profondo delle anime come il seme gettato nel solco ristoppia quando la primavera diffonde il suo tepore. Così noi abbiamo, con le nostre martellate. furiose, spezzato la crosta indegna che copriva l'anima del proletariato. C'erano dei proletari che si vergognavano di essere italiani; ce ne erano di quelli che, imbestiati da una tristissima propaganda, gridavano « Ben vengano i tedeschi! »; ed anche « Viva l'Austria! ». Erano in. gran parte incoscienti, qualche volta malvagi. Ebbene, noi fascisti vogliamo portare in tutte le città, in tutte le campagne, fino ai casolari più remoti, la passione, l'orgoglio di appartenere alla nobilissima razza italiana; e, se le plebi non conoscono ancora questo orgoglio, noi fascisti faremo in modo che questo avvenga, noi fascisti faremo in modo che tutti gli italiani abbiano l'orgoglio di appartenere alla razza che ha dato Dante Alighieri, che ha dato Galilei, che ha dato gli artisti sommi di tutti i capolavori dell'arte, che ha dato Verdi, che ha dato Mazzini, che ha dato Garibaldi, che ha dato D'Annunzio e che ha dato il popolo di Vittorio Veneto. (Applausi vivissimi).
Non solo noi non intendiamo di portare le masse laboriose in posizioni arretrate. Tutto ciò che i lavoratori hanno conquistato è sacro. Tutto quello che conquisteranno è sacro. Ma devono conquistarlo attraverso ad un miglioramento non soltanto materiale, ma morale, delle anime. Noi fascisti non parliamo soltanto di diritti; parliamo anche, come voleva Giuseppe Mazzini, di doveri. (Applausi vivissimi). Noi fascisti non abbiamo soltanto il verbo « prendere »; abbiamo anche il verbo « donare », perché in certe ore, quando la Patria chiama, sia essa minacciata da un nemico interno o da un nemico esterno, noi allora esigiamo dai nostri aderenti e da coloro che sono nostri simpatizzanti di essere pronti anche al sacrificio supremo. E voi, o fascisti ferraresi, voi avete consacrato col martirio l'idea fascista.
Se l'idea fascista non avesse in se stessa una potenza grandissima, una nobiltà, una linea di bellezza, pensate voi che si sarebbe diffusa con impeto così travolgente? Pensate voi che ci sarebbero dei giovani i quali rischiano la vita semplicemente per l'orgoglio di dirsi fascisti? Pensate voi che avremmo avuto sette morti, i morti sacri che noi portiamo nel profondo del nostro cuore, i morti che ci additano le vie della perseveranza e della vittoria?
Poco fa io mi sono recato al vostro cimitero. Ad una ad una abbiamo visitato tutte le tombe ed abbiamo gettato su di esse i nostri fiori. Erano attimi pesanti di silenzio i nostri. Ognuno di noi sentiva che dentro a quelle bare, sotto quelle pietre, c'erano dei corpi in disfacimento, dei giovani ai quali era sorrisa la vita, dei giovani che erano certamente amati, che certamente amavano, che avevano dinanzi a sé tutta la grande strada della vita. Sono morti! Sono caduti! Ma noi, in questa grande ora della tua storia, o popolo ferrarese, noi questi morti li chiamiamo all'ordine del giorno, uno per uno; e siccome non sono morti, perché la materia mortale di cui erano composti si trasforma nel gioco infinito delle possibilità dell'universo, così noi chiediamo a questo sangue purissimo e vermiglio della gioventù ferrarese l'ispirazione profonda ad essere fedeli alla nostra idea, ad essere fedeli alla nostra nazione. E saremo soddisfatti e contenti quando tutti i nostri gagliardetti, dopo avere salutato i morti, sorrideranno alla vita, perché il popolo lavoratore di Ferrara e di tutta Italia avrà ritrovato la vera strada che aveva dimenticato, avrà spazzato via tutti gli ignobili politicanti che gli avevano infarcito il cranio di favole menzognere. Noi, o italiani di Ferrara, non abbiamo bisogno di andare altrove, oltre i confini ed oltre i mari, per trovare la parola della saggezza e della vita; non abbiamo bisogno di andare in Russia per vedere come si assassina un grande popolo; non abbiamo bisogno di sfogliare i vangeli moscoviti sui quali gli stessi apostoli stanno sputando perché li rinnegano, sopraffatti dalla realtà della vita. Noi non abbiamo bisogno di copiare, perché in Italia ci sono gli originali brillanti di tutta la civiltà e di tutte le dottrine. E se socialismo ha da farsi, non può essere il socialismo bestiale, tirannico e liberticida di ieri; non può essere che il socialismo di Carlo Pisacane, di Giuseppe Ferrari e di Giuseppe Mazzini.
Qui, o popolo di Ferrara, è la tua storia. Qui, o popolo di Ferrara, è la tua vita. Qui, o popolo di Ferrara, è il tuo avvenire. E noi, che abbiamo impegnata questa dura battaglia, che ci è costata decine e centinaia di vittime, noi non ti chiediamo stipendi, non ti chiediamo voti. Noi ti chiediamo una sola cosa. Grida con noi: « Viva l'Italia! ».
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PER LA VITTORIA ELETTORALE DI FIUME

Discorso pronunciato a Fiume, in piazza Dante, il 21 aprile 1921.

Io sono un soldato che obbedisce a un ordine; e il Comandante mi ha ordinato di parlare a Fiume. (Un grido immenso si leva. « Viva il Comandante! »).
E sono venuto anche per portarvi il saluto dei Fasci di tutta Italia. Essi guardano a voi, fiumani, e seguono con viva attenzione la vostra lotta.
Storica è l'importanza dell'elezione del 24 aprile: perché essa ha realizzato il blocco, la fusione di tutti coloro che si dichiarano italiani contro tutti coloro che rinnegano l'Italia e si coalizzano con lo straniera. (Grida di furore. « Abbasso i rinnegati di Zanella! »). Nel blocco io trovo fraternamente uniti il Partito Democratico Nazionale col Partito Popolare Italiano, il Fascio di Combattimento col Partito Repubblicano, col Gruppo nazionalista, con la Camera del Lavoro.
Anche qui ci sono i servitori dello straniero : quelli che si sentono maledettamente croati! Costoro combattono l'Italia in nome dei loro sudici interessi. Noi li schiacceremo. In Italia si sta preparando la totale cancellazione di quelle tristissime elezioni che portarono al Parlamento il traditore Misiano, quello che è inseguito e fuggitivo come altri vili che ben conoscete, degni, al pari di lui, di perire colpiti dal « ferro freddo » ! Noi faremo in Italia tutto il possibile perché l'epurazione sia totale.
Contro l'Italia vecchia, esaurita e rimbecillita, noi organizziamo lo sforzo che la spingerà nella fossa. Non sarà dunque la vecchia e sorda Italia che accoglierà il vostro voto d'annessione, o fiumani ! Non accadrà più che la vostra voce e il vostro pianto, le vostre sofferenze e i vostri sacrifici siano inascoltati, misconosciuti e derisi.
L'avvenire di Fiume, per l'Italia che sorgerà dopo il 15 maggio, è uno solo: la rinascita delle forze nazionali, l'affermazione piena e completa della vostra italianità e, infine, l'annessione. Tutto il resto è fase dolorosa di transazione: perché il trattato di Rapallo, firmato in riva al mare, è scritto sulla sabbia mobile del mare..., e lo dimostreremo! Gli italiani non potranno mai rassegnarsi al sacrificio delle decine di migliaia di italiani della Dalmazia! Ascoltino o non ascoltino i nemici di Fiume, io voglio dire: noi vogliamo fare tutto il possibile, dentro e fuori del Parlamento, perché l'Italia si annetta economicamente Fiume; e quando Fiume, come ne abbiamo la certezza, avrà fatto il suo plebiscito d'italianità alle elezioni, noi, forti della vostra volontà, o fiumani, costringeremo l'Italia a non respingere più il voto di Fiume, creatura diletta d'Italia! (Applausi entusiastici). Questi sono i nostri precisi intendimenti: lo sappiano a Zagabria, lo sappiano entro le mura della vostra città i traditoti e le canaglie dello straniero!
Noi vi portiamo, o fiumani, l'espressione della nostra piena, completa, incondizionata solidarietà. Tutta l'Italia attende la vittoria di Fiume. Le vostre elezioni sono il vestibolo delle nostre elezioni. Il Parlamento dovrà tenere conto di voi, o fiumani, e non sarete più soli né dimenticati. 1 questa nuova Italia di domani dovrà tenersi pronta a fare i conti con quella piccola petulante Austria che si chiama Jugoslavia. Siamo pronti volentieri a venire a patti, purché non facciano l'imperialismo sulle terre e sulle genti d'Italia e ci diano ciò che è italiano.
Fiumani!
Devo io dirvi che domenica dovete tutti, sino all'ultimo, recarvi alle urne? Debbo ancora spronarvi a fare il vostro dovere di italiani, di buoni e coscienti cittadini.
Alle elezioni ciascuno concorra non solo col voto, ma con tutte le sue energie; dia tutto ciò che può significare ed esprimere la meravigliosa anima italiana di Fiume.
Domenica sera il telegrafo ci annuncerà la vostra vittoria. La annunci all'Italia.... e anche alla Jugoslavia! Gli autonomi rinnegati e quasi tutti croati (urla altissime di riprovazione e di minaccia echeggiano da ogni lato) non devono prevalere. La vittoria deve essere italiana, soltanto italiana.
L'arco romano, simbolo di Roma eterna, è il vostro contrassegno per domenica prossima, o fiumani! - esclama con passione l'oratore. - In tutta Europa il genio latino di Roma ha lasciato la sua impronta, ha edificato i suoi archi, capaci di reggere le montagne, simboli incrollabili ed eterni della latinità trionfante.
Voi dovrete, o fiumani, fare sì che la scheda dell'arco romano esca trionfante dalle urne.
Agitate i gagliardetti!
Io sono sicuro che domenica sera voi li agiterete in un tripudio di gioia, nell'ebbrezza della vittoria.
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DISCORSO DI PIAZZA BORROMEO

Discorso pronunciato a Milano, in piazza Borromeo, la sera del 14 maggio 1921, durante un comizio elettorale del « blocco nazionale milanese ».

Cittadini!
Questa è l'ora tipica nella quale si raccolgono le vele in vista del porto, mentre le ciurme gridano « Terra! Terra! ». Ma non attendetevi da me un discorso patetico. Io mi vanto di non appartenere alla specie dei candidati che giunti all'ultima sera grattano con mano delicata l'arpa dei lenocini rettorici! Attendetevi da me un discorso cattivo, aggressivo ed antielettorale, un discorso che deve necessariamente completare quello che io ho avuto l'onore di pronunziare in un'altra storica piazza milanese. Stamane l'organo quotidiano del pussismo faceva dello spirito di cattiva lega sul carattere delle nostre manifestazioni. Io, a costo di scandalizzare ancora quei signori, ripeto che mi piace infinitamente l'elemento pittorico e coreografico delle nostre manifestazioni. Mi duole di non vedere questa sera dei razzi e delle fiaccole, di non vedere tutto quell'apparato, che non è superfluo, in quanto indica un dato fondamentale della nostra psicologia. Quando i comizi fascisti diventeranno assemblee mortifere di preti e di chierici salmodianti, un dies irae impossibile, io non sarò più fascista.
E comincio con l'attaccare a fondo coloro che in questi giorni fanno professione di purismo. In questo momento io ammetto e comprendo e ammiro il purismo in un solo uomo: parlo di Gabriele d'Annunzio. (Applausi vivissimi). Ma quando vedo salire sulla cattedra a dare lezioni di purismo uomini che hanno trescato continuamente e perdutamente fra la banca, la sacrestia e la loggia, io sento in me tale un invincibile schifo da farmi gridare « Viva l'impurità! ». D'altra parte la vita non è tutta purezza e non è tutta impurità. Capita anche al peggiore dei furfanti di avere un attimo di candore angelico e capita qualche volta ai più perfetti dei santi di rivelarsi una matricolata canaglia. Noi siamo al di sopra di questi formalismi e di queste etichette.
Siamo quindi contrari alla campagna di un giornale milanese che consiglia l'astensionismo (grida di « Abbasso il " Secolo "! ») visto e considerato che non gli è riuscito il gioco di strascinarsi ancora ai piedi del socialismo politicante italiano. Né mi stupisco, o cittadini, di vedere rientrare nell'ovile i cosiddetti socialisti autonomi o indipendenti. Di indipendente non avevano più nulla; erano in realtà degli uomini percossi e turbati da una sola nostalgia, che li ha condotti a rientrare nella vecchia chiesa. Noi invece abbiamo tagliato nettamente i ponti e non abbiamo mai nelle nostre laboriose giornate qualche cosa che rassomigli a incertezze, pentimenti o rimpianti.
Noi siamo al di qua della barricata e ce ne vantiamo e intendiamo di gettare tutti i nostri colpi contro coloro che sono dall'altra parte. della barricata. Ma la storia, nelle sue complesse vicende, nelle sue tormentose complicazioni, dà qualche volta dei risultati che non erano nelle intenzioni di quelli che si incamminano per una determinata strada. Se qui ci fosse il don Prudenzio del socialismo d'Italia, io vorrei dimostrargli, come gli dimostro, che l'azione del fascismo ha giovato anche al socialismo ufficiale italiano: prima di tutto perché l'ha spogliato automaticamente da tutta la caterva dei parassiti e degli arrivati dell'ultima ora, che, all'indomani dell'armistizio, si sono precipitati nella congrega del Pus (e moltissimi erano borghesi) per ottenere il lasciapassare nel mondo del bolscevismo. Tutti costoro se ne vanno precipitosamente. Abbiamo impedito non tanto al socialismo italiano, della quale cosa io me ne infischierei solennemente, ma al proletariato italiano di ripetere in Italia l'esperimento che si era rivelato già disastroso in Russia, in Ungheria ed in Baviera.
Finalmente ha ricondotto questo partito in una zona di misticismo falsamente eroico. Esso si da queste arie di martirologio semplicemente per turlupinare le masse. È sotto i colpi del fascismo che questi signori si sono decisi a praticare una leggera modificazione nel simbolo elettorale. Fino a ieri c'era soltanto la falce ed il martello. Finalmente si sono accorti che nella vita, malgrado le dottrine assurde del materialismo cosiddetto storico, ci sono degli immensi valori spirituali; si sono accorti che c'è anche il libro, che può essere un sillabario per le .anime che cominciano, che può essere un poema meraviglioso, che può fissare la più alta delle filosofie, e può anche essere lo spartito di una musica sublime. (Applausi).
Ed allora questi signori hanno confessato che oltre al ventre c'è anche il cervello, che oltre i muscoli bruti c'è lo spirito eternamente irrequieto e sognatore., Questi signori, aggiungendo il libro al simbolo delle loro schede, hanno riconosciuto apertamente che fino a ieri essi erano stati dei mistificatori, in buona o cattiva fede, di quella nuova misteriosa divinità che si chiama il proletariato. Tutto questo noi abbiamo imposto. Tutto questo noi abbiamo ottenuto.
Ed ora i candidati, e voi vedete che io non ho proprio la stoffa del candidato, sono assillati da domande. Può essere un po' paradossale e grottesco dì spartire la pelle dell'orso elettorale prima di averlo ucciso. Sono impegni che prendiamo con la nostra coscienza, non già con coloro che ci muovono delle domande. Ed allora io comincio col dichiarare che la revisione del trattato di Rapallo è un fatto certo ed inevitabile non appena si presentino congiunture favorevoli. (Applausi). Quel trattato è una pagina infelice della nostra storia ed il popolo cosciente di domani non potrà non cancellarlo. I responsabili dell'assassinio di Fiume dovranno essere chiamati in causa. (Applausi). Io non so sotto quale forma, perché non me ne intendo di queste procedure abbastanza complicate; ma è positivo che non soltanto per l'attacco 'fratricida a Fiume il Governo di Giolitti deve essere combattuto e condannato, ma anche per tutta la sua politica interna ed esterna. Che cosa è questa restaurazione dello Stato che avrebbe operato Giovanni Giolitti ? Io non la vedo. Sono forse affetto da miopia spirituale, ma io vedo invece che lo Stato continua ad abdicare. Constato che se non ci fossero stati gruppi di fascisti a pagare qualche volta a prezzo di generosissimo sangue i loro tentativi, lo Stato oggi in Italia sarebbe abulico ed assente. Se la barca va un po' meglio, se galleggia, non è certo per merito dei piloti ufficiali. Essi appartengono a quella specie di borghesia politicante che noi combatteremo, in primo luogo perché è parassitaria, e poi perché amoreggia continuamente con i nostri peggiori nemici.
Che cosa pensate del controllo? Il problema del controllo va posto prima di tutto nell'ambiente italiano. In Italia si può spiegare quello che altrove non si spiega e non si può ammettere. Vi cito un esempio palpitante di attualità. Il 6 marzo, una delle più potenti società industriali italiane, 1' Ilva, fa un'assemblea ed annunzia un utile di sei milioni. Non erano molti, ma denotavano una specie di vitalità. Passa un mese e scompaiono i sei milioni. Pazienza!, direte voi. Ma il bello si è che scompaiono anche 425 milioni. Talché un bello spirito avrebbe potuto mettere sui giornali un avviso di questo genere: « mancia competente a quel cittadino italiano che ritroverà 425 milioni smarriti fra Roma, Piombino e Pozzuoli ».
Quando in Italia è possibile una così solenne e criminosa sperperazione del pubblico denaro e del privato risparmio, voi sentite che i cittadini onesti debbono avere il diritto di guardare dentro a queste aziende che sembrano colossali, che sembrano industriali, mentre sono semplicemente borsistiche. Ma il controllo, prima di essere accettato, deve essere esaminato nelle sue conseguenze pratiche. Noi non abbiamo niente in contrario per i principi teorici : essi sono di una elasticità fenomenale; però si tratta di vedere come saranno applicati e quali saranno le conseguenze possibili.
Ora il controllo, dopo essere stato instaurato in Russia, è stato abolito. In Germania e in Austria, dove pure vi sono repubbliche socialiste, non ha dato buone prove. In Francia e in Inghilterra non se ne è ancora parlato. Delle aziende se ne possono avere di due categorie: le aziende oneste, che è inutile controllare; le aziende disoneste, che è inutile tenere in piedi perché bisogna liquidarle nell'interesse del paese.
E che cosa pensate della burocrazia? E' un problema capitale questo e la nostra risposta è semplice. La nostra formula è questa: pochi impiegati e pagati benissimo. (Vivi applausi). Basta con questi uffici pletorici! Gli impieghi dello Stato e dei Comuni non sono congregazioni di carità, né debbono essere delle agenzie elettorali. (Applausi). Il problema della burocrazia va risolto con mano spietata e chirurgica perché la restaurazione morale e politica dello Stato è in relazione diretta con la risoluzione del problema burocratico.
In quanto al problema militare, le nostre idee fasciste sono altrettanto schiette e semplici. Se domani tutti i popoli disarmeranno, noi che siamo il popolo più pacifico della terra, disarmeremo alla nostra
volta. Non è nostro intendimento di caricare sulle spalle del popolo italiano un vasto cumulo di spese militari, ma fino a quando gli altri popoli non disarmeranno, sarebbe pura follia disarmare noi per i primi (applausi); e allora qualunque regime ci sia in Italia, sarà sempre necessario che lo Stato possa contare sopra un contingente di forze militari. Questo contingente deve essere svecchiato, tecnicizzato, ridotto ad un organismo con poca gente che stia negli uffici, e con molta gente che stia nelle palestre e nelle piazze d'armi, in modo che la qualità possa sostituire l'elemento quantitativo. Ciò dicendo noi non siamo naturalmente dei guerrafondai: siamo degli uomini che non illudono il popolo, che non gli fanno credere imminente il disarmo e la pace universale, perché la storia d'Europa non è ancora giunta all'ultima pagina, a quella della pacificazione perpetua, né sappiamo se vi arriverà mai! Noi siamo degli uomini che si preoccupano delle condizioni in cui l'Italia oggi si trova: minacciata ad oriente dal pericolo slavo e ad occidente dall'atteggiamento ostile delle potenze che un giorno ci furono alleate. Ora, in questa condizione di cose, anche se per avventura domani - e questa avventura non sarà mai - ci fosse un Governo socialpussista, questo Governa non potrebbe fare a meno di creare il suo esercito per la difesa delle frontiere della patria socialista.
Dobbiamo protestare ancora contro le manovre dei rossi e dei neri. I rossi, per spaventare le masse operaie, hanno fatto già diffondere la voce che il trionfo del blocco vorrà dire il ritorno alle dieci ore di lavoro. Questo è. tipicamente falso. Uno dei candidati del blocco sono io e mi vanto di avere lanciato, immediatamente all'indomani dell'armistizio, questa parola d'ordine: « Andate incontro al lavoro che ritorna vittorioso dalle trincee ». Sostenni la necessità delle otto ore di lavoro e mi ricordo che durante questa campagna molti organizzatori di leghe scrissero articoli sul Popolo d'Italia. Noi non abbiamo motivo di smentire il nastro atteggiamento di allora, perché pensiamo che otto ore di lavoro produttivo siano sufficenti quanto dieci, di cui otto produttive e due non produttive. Così non. vogliamo menomare la legislazione sociale. Siamo orgogliosi di constatare che in questo terreno l'Italia marcia in testa a tutte le nazioni civili, perché noi abbiamo una legislazione sociale avanzatissima, non solo applicata agli operai delle industrie, ma anche applicata agli operai dei campi. Questa legislazione sociale rimane e deve rimanere intatta. Anzi noi vi diciamo che deve essere migliorata, in quanto tutto ciò migliora la razza. Tutto quello che può contribuire al perfezionamento fisico e spirituale delle masse operaie, ci interessa in sommo grado, in quanto le masse operaie sono parti integranti della nazione e in quanto vorremmo inserire il progresso e il perfezionamento operaio nella storia della civiltà.
Ma eccoci ai neri. In questi giorni si è fatta un'abbondante distribuzione di volantini, nei quali viene riportato un brano di una nota pubblicata sul Popolo d'Italia del 1916. Ho l'onore e il piacere di dirvi che allora mi trovavo in trincea. Ma vi dico subito anche che vedendo quello scritto lo avrei disapprovato. Io posso combattere e combatto il clericalismo, ma non intendo combattere la religione, specialmente quando è onestamente professata.
Ma però avverto i preti di non andare oltre su questa strada e di non credere di avere l'impunità soltanto perché si appoggiano al muro formidabile della fede cristiana. Poiché noi ad un dato momento faremo la necessaria selezione: distingueremo quella che è fede da quella che è politica più o meno sporca; distingueremo quella che è religione di anime semplici da quella che è speculazione di politicanti scaltriti. E allora, mentre rispetteremo la religione, picchieremo come noi soli sappiamo picchiare sugli speculatori della religione stessa. (Applausi. Una voce: « Dicono che noi faremo un'altra guerra »).
È falso. È stupido. Può essere anche delinquente. Noi non possiamo inseguire e non possiamo polemizzare con tutti coloro che parlano e sparlano o con tutti quelli che hanno la possibilità di buttare l'inchiostro sulla carta bianca e paziente. Non andremo a caccia di farfalle sotto l'arco di Tito e diremo una frase memorabile, quella di Giovanni Bovio « I nemici -me li scelgo io e devono essere vivi ». Quando si tratta di individui di poco polso e di scarsa intelligenza, non è seria cosa scendere a polemica. Non è il caso quindi di giustificarsi di fronte ad una accusa così balorda come è quella di volere scatenare una nuova guerra. Non abbiamo niente nella nostra vita recente che possa giustificare questi malvagi a diffondere tali calunnie. Noi diciamo soltanto, siccome abbiamo sempre il coraggio delle nostre opinioni, che ci vantiamo di avere voluto l'intervento e la guerra nel 1915. (Applausi vivissimi). Non intendiamo, anche se le folle ci fossero avverse, di ripiegare un lembo solo di quella bandiera interventista, che, insieme con un grande, con Filippo Corridoni (applausi), abbiamo agitato sulle piazze di Milano precisamente sei anni fa in questi giorni. (Una voce: « Ed i tedeschi dell'Alto Adige? ». Proteste del pubblico).
No. Lasciate che si svolga questo dialogo fra me ed il pubblico. Mi piace moltissimo. Se noti vi stancate, continueremo fino alle ore piccine. L'interruttore vuole sapere che cosa io pensi dell'Alto Adige. Lo accontento subito, non senza avergli prima osservato che se egli fosse stato presente al comizio di piazza Belgioioso, non avrebbe oggi avuta l'opportunità di farmi questa domanda. Dichiaro subito, in linea di fatto inoppugnabile, che al Brennero ci siamo e ci resteremo. Aggiungo che i tedeschi sono abusivamente nell'Alto Adige italiano. Aggiungo che se ci fosse stato un Governo meno imbelle e meno deficente, i 180 mila tedeschi dell'Alto Adige sarebbero ridotti ad una cifra più modesta; e dico anche che noi fascisti faremo il possibile per italianizzare quella regione, aggiungendo che se i deputati tedeschi verranno a Montecitorio ed oseranno parlare nella loro lingua, noi lo impediremo (applausi) perché non deve essere permesso ai piccoli gruppi allogeni di imporre alla grande nazione la conoscenza di una lingua straniera. Parleranno in italiano perché d'altra parte lo sanno benissimo, o non parleranno affatto. Penso anche che il nuovo Governo e la nuova casta politica di domani, attraverso l'economia, attraverso le scuole, la politica, le guarnigioni riuscirà a rendere italiano l'Alto Adige. E', semplicemente ridicolo domandare a noi che siamo tacciati di imperialisti e ché siamo in ogni modo espansionisti, che cosa pensiamo del Brennero. Pensiamo che è presidiato già da molte migliaia di morti e da milioni di vivi.
La giornata di domani è una giornata di importanza decisiva. Prima di tutto se le elezioni non avessero altra utilità avrebbero questa: che milioni e milioni di individui, i quali per mesi ed anni non pensano che ai loro uffici particolari, sono travolti in questo turbine di idee. Sono martellate che giungono sui loro cervelli, sono ondate spirituali che invadono come le strade e le piazze così le anime.
I problemi generali trascurati durante mesi ed anni vengono più o meno esattamente prospettati dinanzi al popolo che deve scegliere i suoi rappresentanti. Quale situazione presenta l'Italia in Europa? Dobbiamo essere ottimisti o pessimisti? Siamo ancora al crepuscolo della sera o si vede già delineato all'orizzonte il crepuscolo della nostra aurora?
Io sono ottimista. Quando guardo all'Europa, trovo che se Messene piange, Sparta non ride. Stiamo male noi in Italia, ma ecco l'Inghilterra, la grassa, l'adiposa, l'opulenta Bretagna, che è presa alla gola da una crisi sociale di acutezza enorme, la quale mette in pericolo la compagine interna e quindi la compagine di tutto l'impero; la qual cosa potrebbe determinare la rivolta di tutti i popoli del Mediterraneo dominati dall'Inghilterra; la qual cosa potrebbe anche determinare la realizzazione della nostra formula: il Mediterraneo ai mediterranei.
Guardiamo la Germania: eccola uscita da una crisi comunista acutissima. E la Francia credete voi che crepi di salute? Non bisogna credere panglossianamente che tutto si svolga nel migliore dei modi possibili. Anche la Francia ha le sue crisi nel sottosuolo sociale e se appare più tranquilla gli è per una ragione grande e tragica: la Francia è letteralmente svenata dallo sforzo guerresco. E se passiamo alla Svizzera, dove la disoccupazione infuria, alla Spagna, al Portogallo, agli Stati usciti dallo sfacelo dell'Austria, all'Austria stessa, noi abbiamo ragione per confortare il nostro ottimismo. Proprio questa sera le cifre dei cambi danno un sensibile miglioramento. Siamo sulla strada della salvezza. Io lo credo fermamente. Evidentemente la convalescenza sarà ancora lunga. I segni di questa rinascita abbondano. La stessa lotta che noi in Italia siamo costretti. di combattere è una necessità. Dobbiamo ristabilire un equilibrio. Quello che i fascisti campiono è una vera e propria rivoluzione, cioè il frantumamento di uno stato di fatto che sembrava inoppugnabile e inattaccabile. Il Partito Socialista fino ad ieri aveva la posizione dominante: ricattava i Governi e l'opinione pubblica, faceva sentire il suo peso camorristico e tirannico. Noi, andando contro questo partito, lo ridurremo a proporzioni più modeste; e ciò valga non già per il bluff largamente praticato, ma per quello che potrà sopravvenire.
Tutto quello che vi dico questa sera è un discorso che io faccio a me stesso con schietta sincerità. Quindi accettate una raccomandazione: la giornata di domani deve trascorrere senza violenze. Noi fascisti non le provocheremo. Le respingeremo energicamente. Noi vogliamo che domani i nostri avversari possano dire che non abbiamo violentato la libera manifestazione della volontà popolare. Io credo e mi auguro che i proletari vadano a votare. Ad ogni modo se si astengono, peggio per loro. Ed è inutile che il giornale pussista crei uno stato di panico quando la città è tranquilla, quando la città tutta si dispone ad esercitare il suo diritto con animo calmo e alieno da violenze.
Preparino i socialisti il loro alibi, ma noi prepariamo la nostra risposta. Essi vogliono documentare le violenze che hanno subìto, ma noi documenteremo le violenze che abbiamo dovuto respingere; e lo abbiamo già fatto con gentilissimo e grandissimo tributo di sangue. Ed il giorno dell'apertura della Camera se quei signori avranno il coraggio di inscenare la loro turpe e macabra speculazione, noi faremo trovare su tutti i banchi dei deputati di tutti i calori l'albo d'oro del martirologio fascista. E quei morti indimenticabili parleranno per noi. (Applausi).
Noi, cittadini, appunto perché siamo pochissimo candidatili, possiamo affermare che ci distingueremo in Parlamento. Faremo cessare, essendo noi dei selvaggi e degli intrattabili, quella specie di canaraderie che accomuna tutti e che è un indice di superficialità politica e morale. Quelli che sono nostri nemici in piazza, saranno trattati da nemici anche a Montecitorio. E poiché si minaccia un gesto di una certa teatralità, che consisterebbe, a quanto mi si riferisce, nel fare il vuoto intorno al primo oratore fascista, che potrei essere io, annuncio fino da questo momento, coram populo, che se quei signori se ne andranno volontariamente, molto difficilmente potranno rientrare a Montecitorio.
Non abbiamo perduto la testa quando le urne di Milano ci diedero l'enorme cifra di quattromila voti. Accettammo il responso con perfetta disinvoltura. Non perderemo la testa nemmeno nell'ora che tutti dicono del trionfo. Io non so se il trionfo sarà pieno e incontrastato; e poco mi interessa di saperlo, poiché - lasciatemi fare questo atto di superbia - chi vi parla non ha bisogno di andare alla tribuna parlamentare per suscitare degli odi, per scatenare degli amori, per dare una fiamma alle passioni.
Qualunque sia l'esito della lotta, siamo noi vinti o vincitori, noi continueremo a camminare. Se una similitudine fosse possibile, io dovrei scegliere questa per me: sono un camminante che non ha sosta, ed è eternamente inquieto, eternamente preso dallo spasimo dell'avanzata. Noi siamo i camminanti della quarta Italia. E vi si assicura, cittadini, non solo in nome dei nostri garretti d'acciaio e dei nostri capaci polmoni, ma nel nome della nostra fede, che abbiamo anche consacrato col sangue, che noi cammineremo senza sosta e cogli occhi sempre fissi ad una mèta radiosa: la grandezza della patria comune.
(La chiusa del vibrante discorso viene accolta da uno scroscio di « alalà! » e di applausi. E tutta l'anima popolare che si tende e vuole quasi toccare l'eroe meraviglioso. La piazza, ora che egli tace, ripiomba quasi nella solennità di una nuova attesa. Non cinquemila persone, ma tutta l'Italia è in piedi ad acclamare. Mussolini, chiamato a gran voce tre volte, saluta con gesto secco della mano. L'uditorio si balza ad applaudire).
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Giovanni




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CONVEGNO FASCISTA DI MILANO

A Milano, nel ridotto del teatro « Lirico », il 2 giugno 1921, si iniziano i lavori di un convegno cui partecipano i membri del Comitato centrale dei Fasci, i segretari regionali e i deputati fascisti. Nella seduta antimeridiana, prima di passare alle relazioni dei segretari regionali, Mussolini dice:
« Prima di passare a queste relazioni, chiedo che mi si permetta di sottoporre all'assemblea la questione del giorno, che è molto grave. Abbiamo uno sciopero bianco, un ostruzionismo e la minaccia di uno sciopero generale nei servizi pubblici. Credo che sia necessario dire nettamente il nostro pensiero; se siamo, cioè, favorevoli a questa forma di sabotaggio della nazione o- se siamo contrari. Bisogna cioè esprimere il nostro pensiero in merito a questi tre elementi: circa le responsabilità del Governo; circa l'equità di talune richieste degli impiegati; circa la deplorazione esplicita di questo ostruzionismo e sciopero bianco, che provocano un danno incalcolabile alla nazione. Io sottopongo alla vostra approvazione questo ordine del giorno:
« " II Comitato centrale dei Fasci Italiani di Combattimento ed il Gruppo parlamentare fascista invitano solennemente gli impiegati, statali di tutte le categorie a non aggravare, con l'attuazione di scioperi bianchi ed ostruzionismi, la crisi economica della nazione; deplora nella maniera più esplicita la condotta incerta, insufficente e . reticente del Governo; esorta gli impiegati ad attendere che il Parlamento, sovrano rappresentante di tutta là collettività italiana e già investito della questione, affronti e risolva il problema, non dal solo punto di vista finanziario, tenendo conto di quanto è legittimo nelle richieste degli impiegati e di quanto è necessario per salvare dal baratro (avvenire economico della nazione; invita i fascisti singoli, specialmente impiegati, ad orientarsi praticamente verso queste direttive" ».
Segue la discussione, alla quale partecipano molti dei presenti. Alla fine, l'ordine del giorno Mussolini è approvato all'unanimità meno quattro.
Nella seduta pomeridiana, si discute sulla questione dell'intervento o meno dei deputati fascisti alla seduta reale. Agli oratori che lo hanno preceduto, Mussolini risponde con il discorso qui riportato

Se io dovessi seguire l'impulso del mio pessimo temperamento polemico dopo questa discussione, io dovrei aderire ad un ordine del giorno estremo, e precisamente a quello di Mastromattei. Ma per una volta tanto voglio frenare questo impulso e voglio mettermi sopra un terreno di valutazione obiettiva. Perciò, visto e considerato che stamani il fascismo parlamentare è stato unito in una questione di straordinaria importanza come era quella della burocrazia; e visto e preveduto
che il fascismo parlamentare si troverà ancora unito nella questione della politica estera, ritengo che non sia il caso per il momento, fino a quando almeno non interverranno altri elementi, di scavare più profondo il dissidio e di portarlo alle sue conseguenze estreme.
L'intervista al Giornale d'Italia l'ho dettata io. Perché ho dato l'intervista al Giornale d'Italia? Per una semplice ragione: perché non tutti i fascisti leggono Il Popolo d'Italia, che in questo mese dovrebbe tirare un mezzo milione di copie. Io avevo bisogno di un megafono nazionale e ho scelto Il Giornale d'Italia. Ora quell'intervista, se voi ricordate, era un'intervista non esagerata né eccessiva, a cominciare dal contegno che io profilavo per il Gruppo parlamentare fascista nei riguardi dei socialisti, fino alla eventualità di un appoggio ad un ministero Salandra ed anche Meda. Voi vedete che c'era una linea collaborazionista e di adesione a tutte le correnti che devono ristabilire presto l'equilibrio nella vita economica e spirituale della nazione. Nell'intervista c'era una frase che ha scatenato la polemica. Io vi prego di riflettere che, se per una settimana intera in Italia si è potuto discutere su questo problema appena delineato, ciò significa che sta affiorando e maturando negli strati più vivi della coscienza nazionale qualche cosa che ieri non esisteva. Perché si è ritenuto che quella frase fosse minacciosa? Perché poteva diventare parola d'ordine dei fascisti.
D'altra parte, siccome tutte le azioni umane hanno uno sviluppo illogico ed apparentemente contraddittorio, così è avvenuto che questa frase è giovata alla monarchia, perché molti monarchici si sono risvegliati; e la monarchia, che non aveva difensori, almeno ora pare che ne abbia trovato qualcuno. Perché intenzionalmente ho buttato quella frase? Perché da parecchio tempo un male minacciava la compagine del fascismo: il male di essere in troppi. Molti sono venuti in questi ultimi tempi al fascismo senza comprendere bene che cosa fosse o no il fascismo. Facendo i blocchi, noi abbiamo dato l'illusione ai nostri .amici bloccardi che il fascismo fosse diventato loro prigioniero. Evidentemente i liberali, i democratici e le altre gradazioni politiche credevano di avere per sé e per sempre il fascismo italiano. Bisognava dunque gettare in questa miscela un ingrediente che determinasse il processo di chiarificazione; e difatti questo processo sta verificandosi, perché molti elementi che erano venuti al fascismo per motivi individualistici se ne vanno e fanno benissimo.
È evidente che la mia tendenzialità repubblicana è la porta che il fascismo italiano intende di tenere aperta per il futuro. Questo è il senso della mia tendenzialità. Perché può essere che domani si renda necessaria la crisi del regime, perché non sempre i popoli fanno scontare ai ministri che passano le colpe maggiori. Si va sempre oltre il piccolo bersaglio dei pochi uomini messi al banco dei ministri e si scelgono le istituzioni.
Noi vogliamo che gli spiriti dei fascisti siano fin da questo momento orientati verso questa possibilità, che può essere del lontano futuro, ma anche dell'immediato domani. D'altra parte chi guida un movimento, è un navigatore che ha il timone. Ed io so benissimo che non si può sempre andare in linea diritta. Quando due anni fa una crisi di regime istituzionale si profilava, io ho dato una violenta sterzata a destra. Ma se domani la situazione mutasse e se una crisi di regime fosse guidata da noi, dobbiamo avere fin da questo momento le mani libere. Certo che la mia repubblica antidemocratica ed antisocialista e antiplutocratica piacerebbe poco ai monarchici, ma ancor meno ai repubblicani.
Quanto alla seduta reale o inaugurale che sia, è innegabile che, volendo restare sul terreno puramente giuridico costituzionale, la faccenda si presta ad interminabili discussioni. Ma la cronaca è cronaca ed i fatti sono fatti. Non si può impedire che cerimonie di tal genere si concludano sempre con una manifestazione di lealismo. Quindi per far sapere che ci siamo anche noi, sarebbe un gesto di pessimo gusto, uno sfregio e niente altro. Il re sa benissimo che se che esistono 500.000 fascisti in Italia; egli sa che non ci fossero stati i fascisti molto probabilmente al Quirinale non ci sarebbe più nemmeno lui.
Non è quindi il caso di andare a fare un gesto di schiamazzo, non è proprio il caso.
Non è nelle nostre abitudini e nel temperamento fascista.
Ed allora astensione. A mio avviso, con questa astensione noi non ci impegniamo in una campagna repubblicana, ma non ci impegniamo nemmeno a sostenere eternamente il principio monarchico. Vi confesso che l'unica cosa antipatica in questa faccenda è il trovarsi accomunati ai pussisti. Ma nella vita vi sono delle coincidenze strane e d'altra parte il nostro gesto non si presta ad equivoci. Con questo però non intendiamo nel futuro di andare al Parlamento per sabotarne i lavori, né per fare quello che già fece il Rinnovamento nella scorsa legislatura. Intendiamo di essere dei servitori devoti della nazione.
Riassumendo, io credo che il fascismo non debba dividersi su questa questione, appunto perché può essere unito sopra altre questioni più importanti. Non abbiate il pensiero se Mussolini può restare solo. Non dovete avere questa preoccupazione di natura sentimentale. La vostra decisione deve essere libera. Se nel 1919 si poteva concepire come una specie di calderone nel quale trovavano posto elementi di tutti i partiti, da qualche tempo il fascismo va selezionandosi e creando dai diversi tipi affluiti a lui dalle diverse vie, l'unico tipo del fascista. Ragione per cui la necessità di questo processo deve essere affermata anche in questo gesto, che non è soltanto di forma, ma di sostanza.
Io insisto perché il Gruppo parlamentare fascista si astenga dal partecipare ufficialmente alla seduta. Se qualche individuo ci vuole andare, ci vada. Lasciamo le forme grette della disciplina ai partiti politici organizzati. Ma sarebbe molto bene che il fascismo desse un esempio di disciplina anche in questo primo passo della sua vita parlamentare.
D'altra parte, vi ricordo che, dimenticando le molte colpe del regime, siamo stati noi a scendere sulle piazze e nelle strade quando si trattava di difendere sul serio la Patria. E molti di questi bloccardi allora, non c'erano. E se vi sarà ancora il pericolo di vedere la nazione sull'orlo del caos, noi dimenticheremo ancora una volta le colpe e gli errori di coloro che ci reggono per difendere i valori immateriali e immortali della nazione.
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Discorso del 21 giugno 1921 Primo discorso alla Camera

Non mi dispiace, onorevoli colleghi, di iniziare il mio discorso da quei banchi dell'estrema destra, dove, nei tempi in cui lo spaccio della bestia trionfante aveva le sue porte spalancate ed un commercio avviatissimo, nessuno osava più sedere.
Vi dichiaro subito, con quel sovrano disprezzo che ho di tutti i nominalismi, che sosterrò nel mio discorso tesi reazionarie.
Sarà quindi il mio un discorso non so quanto parlamentare nella forma, ma nettamente antidemocratico e antisocialista nella sostanza (approvazioni all'estrema destra); e quando dico antisocialista, intendo dire anche antigiolittiano (ilarità), perché non mai come in questi giorni fu assidua la corrispondenza d'amorosi sensi tra l'onorevole Giolitti e il Gruppo parlamentare socialista. Oso dire che fra di essi esiste il broncio effimero degli innamorati, non già l'irreconciliabilità irreparabile dei nemici.
Ciò non ostante ho la immodestia di affermare che il mio discorso può essere ascoltato con qualche utilità da tutti i settori della Camera. In primo luogo dal Governo, il quale si renderà conto del nostro atteggiamento verso di lui; in secondo luogo dai socialisti, i quali, dopo sette anni di fortunose vicende, vedono innanzi a sé, nell'atteggiamento orgoglioso dell'eretico, l'uomo che essi espulsero dalla loro chiesa ortodossa. D'altra parte essi mi ascolteranno perché, avendo io tenuto nel pugno le vicende del loro movimento per due anni, forse nel loro cuore sono anche delle segrete nostalgie. (Commenti).
Potrò essere ascoltato con interesse anche dai popolari e da tutti gli altri gruppi e partiti. Infine, poiché io mi riprometto di precisare alcune posizioni politiche, e oserei dire storiche, di quel movimento così complesso e così forte che si chiama fascismo, può darsi che il mio discorso provochi conseguenze politiche degne di qualche rilievo.
Vi prego di non interrompermi, perché io non interromperò mai nessuno; e aggiungo fin da questo momento che farò un uso assai parco in questo ambiente della mia libertà di parola.
E vengo all'argomento.
Nel discorso della Corona, voi, onorevole Giolitti, avete fatto dire al sovrano che la barriera alpina è tutta in nostro potere. Io vi contesto l'esattezza geografica e politica di questa affermazione. A pochi chilometri da Milano, noi non abbiamo ancora, a difesa di tutta la Lombardia e di tutta la valle del Po, la barriera alpina. Tocco un tasto molto delicato; ma d'altra parte in questa Camera e fuori tutti sanno che nel Canton Ticino, che si sta tedeschizzando e imbastardendo, affiora un movimento di avanguardie nazionali, che io segnalo e che noi fascisti seguiamo con viva simpatia.
Che cosa fa il Governo presente per difendere la barriera alpina al Brennero e al Nevoso? La politica seguita da questo Governo, per ciò che riguarda l'Alto Adige, è quanto di più lacrimevole si possa immaginare.
L'onorevole Credaro avrà i numeri per governare un asilo infantile (ilarità), ma io nego recisamente che abbia le qualità necessarie e sufficenti per governare una regione mistilingue dove il contrasto delle razze è antico e acerbissimo.
Altro responsabile della situazione difficile che gli italiani hanno nell'Alto Adige è il signor Salata. Egli ha regalato il collegio di Gorizia agli sloveni e ha regalato quattro deputati tedeschi alla Camera italiana.
Del resto, l'onorevole Credaro appartiene a quella categoria di personaggi, più o meno rispettabili, che sono schiavi dei cosiddetti immortali principi, i quali consistono nel ritenere che ci sia un solo Governo buono in questo mondo, che esso sia applicabile a tutti i popoli, in tutti i tempi, in tutte le parti del mondo.
Mi permetto di esporre alla Camera i risultati di una mia inchiesta personale sulla situazione dell'Alto Adige.
Il movimento politico antitaliano nell'Alto Adige è monopolizzato dal Deutscher Verband, il quale è la emanazione dell'Andreas Hoferbund, che ha sede a Monaco, e che rivendica quale confine tedesco non già la stretta di Salorno, ma la Bern Clause o chiusa di Verona.
Ora il signor Credaro è responsabile della propaganda pangermanista nell'Alto Adige, perché ha avallato, prefazionandolo, un libro dove si dice che il confine naturale della Germania è ai piedi delle Alpi, verso la valle del Po.
Nei primi tempi, immediatamente dopo l'armistizio, della occupazione militare, il movimento italofobo non fu possibile, ma da quando per somma sventura sulla seggiola di governatore si pose l'onorevole Credaro, i rapporti cambiarono immediatamente; e alla sottomissione sorniona si sostituì l'insolente arroganza di gente che negava la disfatta austriaca e covava nell'animo le ardenti nostalgie degli Absburgo. La fiera campionaria fu voluta dalla Camera di commercio di Bolzano, nido di pangermanisti, con esclusione di ditte italiane, tanto vero che gli inviti furono fatti solo in lingua tedesca e durante il periodo della fiera una banda bavarese in costume suonò continuamente.
Vengo ai fatti del 24 aprile, quando una bomba fascista, giustamente collocata a scopo di rappresaglia e per la quale rivendico la mia parte di responsabilità morale (vive approvazioni, commenti), segnò il limite al di là del quale il fascismo non intende che vada l'elemento tedesco.
La manifestazione del 24 aprile nel Tirolo non era che una manifestazione simultanea al plebiscito che in quel giorno oltre il Brennero era stato indetto.
Perché, nell'Alto Adige, i pangermanisti ricorrono a questo sottile trucco: di far coincidere le stesse manifestazioni sotto veste diversa. Così quando oltre Brennero si fecero le cerimonie di lutto per la perdita dell'Alto Adige, di qua del Brennero si commemorò con altrettanta manifestazione il lutto per la morte dei caduti di guerra per l'Austria-Ungheria!
Del resto, quando i fascisti si presentarono a Bolzano, trovarono una polizia con tanto di elmo e fiocco; e quando furono arrestati, l'istruttoria fu affidata al conte Breitemberg, il quale è notoriamente socio della Deutscher Verband.
Non vi voglio intrattenere sui casi di Mamelter perché formano un capitolo da romanzo; ma non posso rinunciare a citarvi un episodio curiosissimo.
Il commissario di Merano si reca al comune di Maia Alta, ed è ricevuto non già al municipio, ma in una stamberga nella quale si sono radunati il sindaco ed i consiglieri. Il commissario legge la formula del giuramento, il sindaco ed i consiglieri immediatamente si mettono a sedere, si coprono il capo e scoppiano in una grande risata. Il commissario non si è ancora rimesso dalla sorpresa che il sindaco, levatosi in piedi, con una valanga d'insulti lancia ingiurie al re, alla monarchia, all'Italia e al commissario. Questi ritorna a Merano e domanda a Trento lo scioglimento di quel Consiglio; ma interviene il Deutscher Verband presso il governatore. E Salata restituisce il rapporto scrivendo al commissario che non è bene fare dell'irredentismo. E la rappresentanza del Comune rimase quale era!
Da quando Credaro sgoverna nell'Alto Adige la bilinguità è totalmente scomparsa. II Perathoner, che non è altro che un Pierantoni, rinnegato italiano diventato tedesco, si rifiuta di accettare la deposizione che egli stesso invita a fare sui fatti del 24 aprile, perché narrata e scritta in italiano. Sono piccoli episodi analitici, ma che danno il panorama della situazione.
A Malgré, l'italofobo Dorsi don Angelo, presidente del Circolo giovanile cattolico di San Stefano, fa cacciare da questo una decina di giovani perché hanno presentato a lui domande scritte in italiano, ed afferma che la lingua italiana non serve per i suoi uffici: l'italiano tenetevelo per voi! Ciò evidentemente è fatto allo scopo di alterare i documenti e di ritardare i pagamenti delle pensioni a coloro che ne hanno diritto. E a presidente della Corte di Appello di Trento, redenta, italiana, tra tutti i concorrenti si è scelto un tale che nel 1915 si dimise da magistrato per poter correre volontario, come Kaiseriager, a servizio dell'Austria-Ungheria! Costui oggi amministra giustizia nel nome dell'Italia! (Commenti).
Credete che le comunicazioni postali e telegrafiche dell'Alto Adige siano in mani italiane? È un errore, è una illusione: il Deutscher Verband ha in mano tutte le comunicazioni e ne dispone a piacimento. Il 24 aprile, per quanto giorno festivo, i pangermanisti e i capi del movimento di Innsbruck erano informati minuto per minuto dello svolgersi dei fatti di Bolzano.
A Innsbruck, cinque minuti dopo l'incidente, si conosceva la portata di esso in tutti i suoi particolari, mentre venivano tagliate tutte le comunicazioni colle autorità civili e militari e per quasi ventiquattro ore isolate completamente da Trento e dal resto d'Italia.
Questa è la situazione.
Ma a questo punto io debbo chiamare in causa l'onorevole Luigi Luzzatti. Io l'ho già chiamato in causa sul mio giornale; ma siccome quest'uomo appartiene alla specie dei padri eterni più o meno venerabili e venerandi, non si è degnato ancora di rispondere. Ora io spero che, chiamandolo in causa alla tribuna parlamentare, si deciderà di rispondere ad un quesito, che gli pongo nella maniera più chiara e categorica.
Il Nuovo Trentino, un giornale molto serio che esce a Trento, il 27 maggio scrive:
«L'onorevole Luigi Luzzatti, cavaliere della SS. Annunziata, relatore della Commissione parlamentare che esaminò ed approvò il trattato di San Germano, disse in presenza di Salata, del barone Toggenburg, già ministro austriaco di Francesco Giuseppe, del tenente austriaco Reuth Nicolussi: "Avere scritto nella relazione al Parlamento il passo riguardante l'autonomia dell'Alto Adige, aggiungendo però essere sua opinione personale che la regione tedesca dell'Alto Adige avrebbe fatto bene a non mandare alcun deputato al Parlamento di Roma, giacché essa avrebbe avuto poi, s'intende dall'Italia, istituzioni proprie e una propria rappresentanza politica, rimanendo così a suo agio unita all'Italia fino a che avesse potuto ricongiungersi alla sua nazione"».
Ora noi contestiamo a Luigi Luzzatti, fosse egli anche più sapiente o più grande di quello che in realtà non sia, il diritto di disporre del territorio italiano. (Approvazioni, commenti).
E allora, signori del Governo, per la situazione dell'Alto Adige, noi vi domandiamo queste immediate misure:
Lo sfasciamento di ogni forma, anche esteriore, che ricordi la monarchia austro-ungarica. Perché è inutile, onorevole Sforza, fare dei patti per tutti gli eredi austriaci, più austriaci dell'Austria, per impedire il ritorno degli Absburgo, quando noi lasciamo intatta gran parte dell'Austria dentro i nostri confini.
Scioglimento del Deutscher Verband.
Deposizione immediata di Credaro e Salata. (Approvazioni all'estrema destra).
Provincia unica Tridentina con sede a Trento e stretta osservanza della bilinguità in ogni atto pubblico ed amministrativo.
Non so quali misure saranno adottate dal Governo, ma dichiaro qui, senza assumere pose solenni, e lo dichiaro ai quattro deputati tedeschi, che essi debbono dire e far sapere oltre Brennero che al Brennero ci siamo e ci resteremo a qualunque costo. (Applausi. Giolitti, presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell'Interno: «Su questo siamo tutti d'accordo». Vivi applausi).
Prendo atto con molto piacere della dichiarazione esplicita, fattami in questo momento dal presidente del Consiglio.
Nel discorso della Corona si parla di Alpi che scendono al Carnato. Ora si desidera sapere se queste Alpi comprendono Fiume o l'escludono.
Io deploro che nel discorso della Corona non ci sia stato un accenno all'azione esplicata da Gabriele d'Annunzio e dai suoi legionari (applausi all'estrema destra), senza la quale noi oggi saremmo col confine al Monte Maggiore e non già al Nevoso.
Un tale accenno era generoso ed anche politicamente opportuno. Io non mi dilungo sul sacrificio della Dalmazia. Ne ha parlato ieri, con molta eloquenza, il mio amico onorevole Federzoni. Ma mi fa sorridere il discorso della Corona quando afferma che Zara deve rappresentare sull'altra sponda un faro di luce italiano. Zara è una città assassinata di fronte al mare slavo, e al retroterra completamente slavo. C'è a Zara oggi un Buonfanti Linares, che, se vi rimarrà ancora, sarà causa di fieri e seri incidenti.
Sempre in tema adriatico, o signori del Governo, non possiamo dimenticare, noi che parliamo per la prima volta in quest'aula, il contegno che avete tenuto di fronte all'impresa di Fiume; non possiamo dimenticare che voi avete attaccato Fiume alla vigilia di Natale, utilizzando anche i due giorni di sospensione di tutti i giornali; non possiamo dimenticare che avete imposto l'accettazione del trattato di Rapallo con un atto di violenza e di crudeltà raffinata. Quando il 28 dicembre il generale Ferrario disse che «non poteva sospendere l'ordine di esecuzione di bombardamento, che avrebbe raso al suolo Fiume», quel generale e il Governo, che gli ordinava di agire in quel modo, si misero un poco fuori dai limiti della coscienza e della dignità nazionale. E non possiamo dimenticare nemmeno quel foglio riservatissimo numero 22 del generale Ferrario, in cui per il giorno di Natale si dava un soprassoldo, più o meno lucroso, a soldati italiani, che andavano a combattere contro altri italiani. (Approvazioni a destra).
Avete posto un coltello al collo di Fiume, ma non avete risolto il problema di Fiume. Avete mandato là il comandante Foschini, con un piano diabolico di realizzare un Governo, che accetti i patti che sono stati convenuti col signor Quartieri a Belgrado, che accetti cioè quel consorzio, che è la rovina, se non immediata, mediata del porto di Fiume, perché voi sapete che dopo dodici anni porto Baross e il Delta dovrebbero andare alla Jugoslavia, perché voi ora alla Jugoslavia l'avete già consegnato e, se non l'avete consegnato, avreste dovuto fare già delle dichiarazioni specifiche, che sono mancate.
Infine quali sono gli orientamenti della nostra politica estera di fronte a quel vasto focolare di discordie che il trattato di pace, o meglio i vari trattati di non pace, hanno lasciato in tutte le parti del mondo?
Non vi parlo del focolare di discordie greco-turche, quantunque esso possa avere delle complicazioni impensate, se è vero, come si dice, che Lenin è alleato di Kemal Pascià e manda già le avanguardie degli eserciti rossi verso l'Asia Minore. Non vi parlo dell'Alta Slesia, perché non sono ancora riuscito a decifrare il punto di vista del nostro Governo. Non vi parlo degli avvenimenti di Egitto, ma non posso tacere sulla sorte che si prepara al Montenegro.
Come ha perduto la sua indipendenza il Montenegro? De iure non l'ha mai perduta; ma de facto l'ha perduta nell'ottobre 1918. E pure il conte Sforza mi insegna che l'indipendenza del Montenegro era completamente garantita dal patto di Londra del 1915, che prevedeva l'ingrandimento del Montenegro a spese dell'Austria e la restituzione di Scutari; dalle condizioni di pace esposte da Wilson agli Alleati, in cui l'esistenza indipendente del Montenegro veniva garantita come quella del Belgio e della Serbia; dalla decisione del Consiglio supremo della conferenza della pace del 13 gennaio 1919, nella quale si riconosceva al Montenegro il diritto di essere rappresentato da un delegato alla conferenza di Parigi. Non solo, ma quando Franchet d'Esperey andò, con alcuni elementi francesi e serbi, in Montenegro, diede ad intendere che avrebbe governato in nome di Sua Maestà re Nicola.
Quando, però, re Nicola, la Corte ed il Governo intendevano riguadagnare la Montagna Nera, la Francia, che aveva tutto l'interesse di creare la grande Jugoslavia, per fare da contro-altare nell'Adriatico all'Italia, fece sapere al Governo del Montenegro che avrebbe rotto le relazioni diplomatiche se il re e la sua Corte fossero ritornati a Cettigne.
Quale è stata la politica italiana in questo frangente?
L'onorevole Federzoni ha ieri parlato di una convenzione, che è diventata uno straccio di carta, ed è la convenzione del 30 aprile 1919. In questa convenzione sono chiaramente stabiliti dei patti tra il Governo d'Italia e il Governo del Montenegro. E si dice precisamente:
«A seguito dell'accordo intervenuto fra il ministro italiano degli Affari Esteri e il Governo del Montenegro (dunque un Governo del Montenegro esisteva ancora in data 30 aprile 1919) rappresentato dal suo console generale in Roma, commendatore Ramanadovich, si costituirà a Gaeta, per cura del Governo montenegrino, un nucleo di militari, ufficiali e truppa, tratti dai profughi montenegrini. Il Governo montenegrino riceverà da quello italiano i fondi in danaro necessari per il pagamento degli assegni, truppa ed ufficiali».
Seguono altre condizioni, fra le quali l'ultima è:
«La presente condizione non può essere modificata che col pieno accordo tra il Governo italiano ed il Governo del Montenegro».
Ora questa convenzione è stata stracciata dopo la morte di Nicola del Montenegro. Si notarono sintomi di disgregazione in mezzo alle truppe montenegrine, ed il comando di queste truppe chiese organi militari al nostro Governo per procedere ad una epurazione. Fu nominata una commissione, che venne presieduta dal colonnello Vigevano. La commissione, che doveva salvare dalla disgregazione l'esercito montenegrino, fu la causa principale della sua dissoluzione. Non solo, ma, in data 27 maggio, il conte Sforza mise nuovamente il coltello alla gola del Governo montenegrino dicendo: «O sciogliete le truppe o non vi darò più i fondi per mantenere questi vostri soldati!».
E con ciò il conte Sforza violava la convenzione 30 aprile 1919, perché in essa era detto: «La presente convenzione non può essere modificata che di pieno accordo fra i due Governi».
Dunque decisione unilaterale, perché il Governo del Montenegro, rappresentato dal suo console generale, in Roma, non l'aveva mai accettata. .
Ma, infine, il conte Sforza si è giovato dell'esercito montenegrino per un calcolo politico. Agevolandone l'esistenza in Italia, il conte Sforza credeva di potere avere dei patti migliori dalla Jugoslavia. Questo non è avvenuto, ed in un dato momento l'esercito montenegrino è stato buttato sotto il tavolo, come una carta che non si poteva più giuocare.
Il fatto nuovo, le elezioni della Costituente, non basta a giustificare l'abbandono tragico in cui l'Italia ha lasciato il Montenegro, perché solo il venti per cento degli elettori hanno partecipato alle elezioni, e solo il nove per cento ha votato per l'annessione alla Serbia. Le autorità serbe hanno instaurato nel Montenegro un regime di vero terrore e hanno impedito la presentazione di liste che contenessero nomi di candidati favorevoli all'indipendenza del Montenegro.
Ma non riteniate, onorevole Sforza, che la questione del Montenegro sia stata liquidata! Prima di tutto perché il popolo del Montenegro è ancora in armi contro la Serbia, e voi lo sapete; ed in secondo luogo perché il popolo italiano, per una volta tanto, è unanime in tale questione! Persino i socialisti, e lo dico a loro onore, parecchie volte nel loro giornale hanno dichiarato che la causa della indipendenza del Montenegro è sacrosanta. Le università, da quelle di Bologna e di Padova, si sono pronunziate per la indipendenza del Montenegro.
Noi, fascisti, abbiamo presentato una mozione. Voi dovete riscattare la pagina vergognosa che avete scritto assassinando il popolo montenegrino, con l'accettare la nostra mozione. Se voi l'accetterete, cioè se voi porrete ancora la questione davanti alle grandi potenze, e se farete in modo che sia indetto un plebiscito, io sono certissimo che questo plebiscito, fatto in condizione di libertà, darà dei risultati antiserbi.
Vengo ad un'altra questione, molto delicata.
È una questione che bisogna affrontare, prima di tutto perché la cronaca lo ha imposto, ed in secondo luogo perché, dopo l'allocuzione pontificia davanti al Concistoro segreto di giorni fa, non è più possibile ignorare che esiste una questione della Palestina.
Bisogna scegliere; bisogna che il Governo abbia un suo punto di vista. O sceglie il punto di vista sionistico inglese, o sceglie il punto di vista di Benedetto XV.
Credo di non tediare la Camera ricordando brevemente i precedenti della questione.
Il 2 novembre 1917 il Governo inglese si dichiarava favorevole alla questione della creazione, in Palestina, di un focolare nazionale per il popolo ebraico, restando bene inteso che nulla sarebbe fatto che potesse recare offesa ai diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, e ai diritti ed agli istituti politici, di cui godono gli ebrei in tutte le altre nazioni del mondo. In un secondo tempo le potenze alleate hanno adottato questa dichiarazione. Finalmente con l'articolo 222 del trattato di pace, sottoscritto il 20 agosto 1920 a Sèvres, la Turchia rinunziava a tutti i suoi diritti sulla Palestina, e le potenze alleate sceglievano come mandataria l'Inghilterra.
Ora, mentre le nazioni civili dell'Occidente non hanno modificato il regime comune di libertà per le diverse confessioni religiose, in Palestina è accaduto tutto il contrario, anche perché l'amministrazione di quello Stato in embrione è stata affidata all'organizzazione politica del sionismo.
Ma in Palestina ci sono seicentomila arabi, che vivono là da dieci secoli, e settantamila cristiani, mentre gli ebrei non arrivano che a cinquantamila. Si è così determinata una situazione straordinariamente interessante. Gli ebrei autoctoni, che hanno vissuto per secoli e secoli all'ombra delle moschee di Gerusalemme, non possono soffrire gli elementi che vengono dalla Polonia, dall'Ucraina, dalla Russia, perché hanno delle arie straordinariamente emancipate; e quelli che sono immigrati si sono già divisi in tre frazioni, una delle quali, che si chiama abbreviatamente Mopsi, è già iscritta regolarmente come frazione comunista alla terza Internazionale di Mosca.
Apro una parentesi, per dire che non si deve vedere nelle mie parole alcun accenno ad un antisemitismo, che sarebbe nuovo in quest'aula. Riconosco che il sacrificio di sangue dato dagli ebrei italiani in guerra è stato largo e generoso, ma qui si tratta di esaminare una determinata situazione politica e indicare quali possono essere le direttive eventuali del Governo.
Ora in Palestina si è determinata l'alleanza tra cristiani ed arabi, si è formato il partito della conferenza di Giaffa, che si oppone colla guerra civile e col boicottaggio ad ogni immigrazione ebraica, ed il 1° maggio ed il 14 maggio si sono verificati disordini sanguinosi, in cui ci sono stati qualche centinaio di feriti e vari morti, tra i quali uno scrittore di una certa fama. Ora; a quanto si legge sul Bulletin du Comité des délégation juives, a pagina 19, pare che il testo del mandato inglese per la Palestina debba essere sottomesso al Consiglio della Società delle nazioni nella prossima riunione di Ginevra. Ed io desidererei che il Governo accettasse, in questa questione delicatissima, il punto di vista espresso dal Vaticano.
Ciò è anche negli interessi degli ebrei, i quali, fuggiti si pogroms dell'Ucraina e della Polonia, non devono incontrare i pogroms arabici della Palestina, ed anche perché non si determini nelle nazioni occidentali una penosa situazione giuridica per gli ebrei, in quanto, se domani gli ebrei fossero cittadini sudditi del loro Stato, potrebbero diventare immediatamente colonie straniere negli altri Stati.
Oh, io non voglio allargarmi in tema di politica estera, perché allora potrei navigare in alto mare e potrei domandare al conte Sforza qual'è la posizione dell'Italia nei formidabili conflitti che si delineano nell'agone internazionale. Ma, in fondo, il conte Sforza fa una politica che è riflessa dai suoi lineamenti di un diplomatico blasé (si ride).... dell'uomo che ha molto vissuto, che ha molto visto, del diplomatico di carriera, in fondo scettico e senza pathos. (Si ride).
Finché al Governo di Giolitti vi sia, titolare della politica estera, il conte Sforza, noi non possiamo che trovarci all'opposizione. (Commenti).
Passo alla politica interna. Vengo cioè a precisare la posizione del fascismo di fronte ai diversi partiti. (Segni di attenzione).
Comincio dal Partito Comunista.
Il comunismo, l'onorevole Graziadei me lo insegna, è una dottrina che spunta nelle epoche di miseria e di disperazione. (Commenti).
Quando la somma dei beni è decimata, il primo pensiero che balza alla mente degli umani è quello di mettere tutto in comune, perché ce ne sia un po' per tutti. Ma questa non è che la prima fase del comunismo, la fase del consumo; dopo vi è la fase della produzione, che è enormemente difficile, tanto difficile che quel grande, quel formidabile artista (non già legislatore) che risponde al nome di Vladimiro Uljanov Lenin, quando ha dovuto foggiare il materiale umano, si è accorto che esso è più refrattario del bronzo e del marmo. (Approvazioni, commenti).
Conosco i comunisti. Li conosco perché parte di loro sono i miei figli.... intendiamoci .... spirituali (ilarità, commenti; presidente: «non è ammessa la ricerca della paternità, onorevole Mussolini!»; si ride).... e riconosco con una sincerità che può parere cinica, che io per primo ho infettato codesta gente, quando ho introdotto nella circolazione del socialismo italiano un po' di Bergson mescolato a molto Blanqui.
C'è un filosofo al banco dei ministri, ed egli certamente m'insegna che le filosofie neo-spiritualistiche, con quel loro ondeggiare continuo fra la metafisica e la lirica, sono perniciosissime per i piccoli cervelli. (Ilarità).
Le filosofie neo-spiritualistiche sono come le ostriche: gustosissime al palato.... ma bisogna digerirle! (Ilarità).
Codesti miei amici o nemici.... (Voci all'estrema sinistra: «Nemici! Nemici!»).
Questo è pacifico, dunque!... Codesti miei nemici hanno mangiato Bergson a venticinque anni e non lo hanno digerito a trenta.
Mi stupisco molto di vedete tra i comunisti un economista della forza di Antonio Graziadei, col quale io ho lungamente. polemizzato quando egli era ferocemente riformista.... (ilarità) e aveva buttato sotto il tavolo Marx e le sue dottrine. Finché i comunisti parleranno di dittatura proletaria, di repubbliche più o meno federative, dei Sovièts, e di simili più o meno oziose assurdità, fra noi e loro non ci potrà essere che il combattimento. (Interruzioni all'estrema sinistra, commenti, rumori. Presidente: «Non interrompano! Lascino parlare»).
La nostra posizione varia quando ci poniamo di fronte al Partito Socialista. Anzitutto ci teniamo bene a distinguere quello che è movimento operaio da quello che è partito politico. (Commenti all'estrema sinistra).
Non sono qui per sopravalutare l'importanza del movimento sindacale. Quando si pensi che i lavoratori del braccio sono sedici milioni in Italia, dei quali appena tre milioni sindacati, e sindacati in una Confederazione Generale del Lavoro, in una Unione sindacale italiana, in una Unione italiana del lavoro, in una Confederazione dei sindacati economici italiani, in una Federazione bianca e in altre organizzazioni, che non sono in questo quadro, e queste organizzazioni aumentano o diminuiscono secondo i momenti; quando pensate che i veramente evoluti e coscienti, che si propongono di creare un tipo di civiltà, sono un'esigua minoranza, avete subito l'impressione che noi siamo nel vero quando non sopravalutiamo l'importanza storica del movimento operaio.
Riconosciamo, però, che la Confederazione Generale del Lavoro non ha tenuto di fronte alla guerra il contegno di ostilità tenuto da gran parte del Partito Socialista Ufficiale.
Riconosciamo anche che, attraverso la Confederazione Generale del Lavoro, si sono espressi dei valori tecnici di prim'ordine; e riconosciamo ancora che, per il fatto che gli organizzatori sono a contatto diuturno e diretto con la complessa realtà economica, sono abbastanza ragionevoli. (Interruzioni all'estrema sinistra, commenti).
Noi, e qui ci sono dei testimoni che possono dichiararlo, non abbiamo mai preso aprioristicamente un atteggiamento di opposizione contro la Confederazione Generale del Lavoro. (Voci all'estrema sinistra: «Voi bruciate le Camere del Lavoro!» . Commenti. Presidente: «Facciano silenzio! Poi parleranno! Avranno diritto di parlare!»).
Aggiungo che il nostro atteggiamento verso la Confederazione Generale del Lavoro potrebbe modificarsi in seguito, se la Confederazione stessa - ed i suoi dirigenti lo meditano da un pezzo - si distaccasse (commenti) dal Partito politico Socialista, che è una frazione di tutto il socialismo politico, e che è costituito da gente che forma i quadri e che ha bisogno, per agire, delle grosse forze, rappresentate dalle organizzazioni operaie.
Ascoltate, del resto, quello che sto per dire. Quando voi presenterete il disegno di legge delle otto ore di lavoro, noi voteremo a favore. (Commenti all'estrema sinistra, interruzioni).
Non ci opporremo e voteremo anzi a favore di tutte le misure e dei provvedimenti che siano destinati a perfezionare la nostra legislazione sociale. Non ci opporremo nemmeno ad esperimenti di cooperativismo. Però vi dico subito che ci opporremo con tutte le nostre forze a tentativi di socializzazione, di statizzazione, di collettivizzazione! (Commenti). Ne abbiamo abbastanza del socialismo di Stato! (Applausi all'estrema destra e su altri banchi, commenti all'estrema sinistra, interruzioni). E non desisteremo nemmeno dalla lotta, che vorrei chiamare dottrinale, contro il complesso delle vostre dottrine, alle quali neghiamo il carattere di verità e soprattutto di fatalità.
Neghiamo che esistano due classi, perché ne esistono molte di più (commenti); neghiamo che si possa spiegare tutta la storia umana col determinismo economico. (Applausi all'estrema destra, approvazioni).
Neghiamo il vostro internazionalismo, perché è una merce di lusso (commenti all'estrema sinistra), che può essere praticata solo nelle alte classi, mentre il popolo è disperatamente legato alla sua terra nativa. (Applausi all'estrema destra).
Non solo, ma noi affermiamo, e sulla scorta di una letteratura socialista recentissima che voi non dovreste negare (commenti), che comincia adesso la vera storia del capitalismo, perché il capitalismo non è solo un sistema di oppressione, ma è anche una selezione di valori, una coordinazione di gerarchie, un senso più ampiamente sviluppato della responsabilità individuale. (Approvazioni). Tanto è vero che Lenin, dopo aver istituito i Consigli di fabbrica, li ha aboliti e vi ha messo i dittatori; tanto è vero che, dopo aver nazionalizzato il commercio, egli lo ha ricondotto al regime di libertà; e (lo sapete voi, che siete stati in Russia), dopo avere soppresso, anche fisicamente, i borghesi, oggi li chiama da tutti gli orizzonti, perché senza il capitalismo, senza i suoi sistemi tecnici di produzione, la Russia non si rialzerebbe mai più. (Applausi all'estrema destra, commenti).
E permettetemi che vi parli con franchezza, e vi dica quali sono stati gli errori che avete commesso immediatamente dopo l'armistizio.
Errori fondamentali, che sono destinati a pesare sulla storia della vostra politica: voi avete prima di tutto ignorato e disprezzato le forze superstiti dell'interventismo. (Approvazioni). Il vostro giornale si coprì di ridicolo, tanto che per mesi non ha mai fatto il mio nome, come se con questo fosse possibile eliminare un uomo dalla vita o dalla cronaca. (Commenti). Voi avete incanaglito nella diffamazione della guerra e della vittoria. (Vive approvazioni all'estrema destra). Avete agitato il mito russo, suscitando una aspettazione messianica enorme. (Approvazioni all'estrema destra). E solo dopo, quando siete andati a vedere la realtà, avete cambiato posizione con una ritirata strategica più o meno prudente! (Si ride). Solo dopo due anni vi siete ricordati di mettere accanto alla falce, nobilissimo strumento, e al martello, altrettanto nobile, il libro («bravo!»), che rappresenta l'imponderabile, i diritti dello spirito al disopra della materia, diritti che non si possono sopprimere o negare («bene! bravo!»), diritti che voi, che vi ritenete alfieri di una nuova umanità, dovevate per i primi incidere nelle vostre bandiere! (Vivi applausi all'estrema destra).
E vengo al Partito Popolare. (Commenti).
Ricordo ai popolari che nella storia del fascismo non vi sono invasioni di chiese, e non c'è nemmeno l'assassinio di quel frate Angelico Galassi, finito a revolverate ai piedi di un altare. Vi confesso che c'è qualche legnata (commenti) e che c'è un incendio sacrosanto di un giornale, che aveva definito il fascismo una associazione a delinquere. (Commenti, interruzioni al centro, rumori).
Il fascismo non predica e non pratica l'anticlericalismo. Il fascismo, anche questo si può dire, non è legato alla massoneria, la quale in realtà non merita gli spaventi da cui sembrano pervasi taluni del Partito Popolare. Per me la massoneria è un enorme paravento dietro al quale generalmente vi sono piccole cose e piccoli uomini. (Commenti, si ride). Ma veniamo ai problemi concreti.
Qui è stato accennato al problema del divorzio. Io, in fondo in fondo, non sono un divorzista, poiché ritengo che i problemi di ordine sentimentale non si possono risolvere con formule giuridiche; ma prego i popolari di riflettere se sia giusto che i ricchi possano divorziare, andando in Ungheria, e che i poveri diavoli siano costretti qualche volta a portare una catena per tutta la vita.
Siamo d'accordo con i popolari per quel che riguarda la libertà della scuola; siamo molto vicini ad essi per quel che riguarda il problema agrario, per il quale noi pensiamo che, dove la piccola proprietà esiste, è inutile sabotarla, che dove è possibile crearla, è giusto crearla, che dove non è giusto crearla perché sarebbe antiproduttiva, allora si possono adottare forme diverse, non esclusa la cooperazione più o meno collettivista. Siamo d'accordo per quel che riguarda il decentramento amministrativo, con le dovute cautele: purché non si parli di federalismo e di autonomismo, perché dal federalismo regionale si andrebbe a finire al federalismo provinciale e così via di seguito, per una catena infinita, l'Italia ritornerebbe a quella che era un secolo fa.
Ma vi è un problema che trascende questi problemi contingenti e sul quale io richiamo l'attenzione dei rappresentanti del Partito Popolare, ed è il problema storico dei rapporti che possono intercedere, non solo fra noi fascisti e il Partito Popolare, ma fra l'Italia e il Vaticano. (Segni di attenzione).
Tutti noi, che dai quindici ai venticinque anni, ci siamo abbeverati di letteratura carducciana, abbiamo odiato «una vecchia vaticana lupa cruenta», di cui parlava Carducci, mi pare, nell'ode A Ferrara; abbiamo sentito parlare di «un pontefice fosco del mistero», al quale faceva contrapposto un poeta «sacerdote dell'augusto vero, vate dell'avvenire»; abbiamo sentito parlare di una «tiberina, vergin di nere chiome», che avrebbe insegnato «la ruina di un'onta senza nome» al pellegrino avventuratosi verso San Pietro.
Ma tutto ciò che, relegato nel campo della letteratura, può essere brillantissimo, oggi a noi fascisti, spiriti eminentemente spregiudicati, sembra alquanto anacronistico.
Affermo qui che la tradizione latina e imperiale di Roma oggi è rappresentata dal cattolicismo. (Approvazioni).
Se, come diceva Mommsen, venticinque o trenta anni fa, non si resta a Roma senza una idea universale, io penso e affermo che l'unica idea universale che oggi esista a Roma, è quella che si irradia dal Vaticano. (Approvazioni).
Sono molto inquieto quando vedo che si formano delle Chiese nazionali, perché penso che sono milioni e milioni di uomini, che non guardano più all'Italia e a Roma. Ragione per cui io avanzo questa ipotesi; penso anzi che, se il Vaticano rinunzia definitivamente ai suoi sogni temporalistici - e credo che sia già su questa strada - l'Italia, profana o laica, dovrebbe fornire al Vaticano gli aiuti materiali, le agevolazioni materiali per scuole, chiese, ospedali o altro, che una potenza profana ha a sua disposizione. Perché lo sviluppo del cattolicismo nel mondo, l'aumento dei quattrocento milioni di uomini, che in tutte le parti della terra guardano a Roma, è di un interesse e di un orgoglio anche per noi che siamo italiani.
Il Partito Popolare deve scegliere: o amico nostro o nostro nemico o neutrale. Dal momento che io ho parlato chiaro, spero che qualche oratore del Partito Popolare parlerà altrettanto chiaro.
Quanto alla democrazia sociale, essa ci appare molto equivoca. (Si ride). Prima di tutto non si capisce perché si chiami sociale. Una democrazia è già necessariamente sociale; pensiamo, perciò, che questa democrazia sociale sia una specie di cavallo di Ulisse, che rechi nei suoi fianchi un uomo che noi combatteremo continuamente. (Commenti).
Sono all'ultima parte del mio discorso, e voglio toccare un argomento molto difficile, e che, dati i tempi, è destinato a richiamare l'attenzione della Camera. Parlo della lotta, della guerra civile in Italia.
Non bisogna prima di tutto esagerare, anche di fronte allo straniero, la vastità e le proporzioni di questa lotta. I socialisti hanno pubblicato un volume di trecento pagine; domattina ne esce uno nostro di trecento. D'altra parte tutte le nazioni d'Europa hanno avuto un po' di guerra civile. C'è stata in Ungheria, c'è stata in Germania, c'è oggi in Inghilterra, sotto forma di un colossale conflitto sociale. C'è stata anche in Francia, quando Jouhaux lanciò le sue famose «ondate», che furono infrante da un Governo che aveva più coraggio degli uomini che sono ora a quel posto.
È inutile che Giolitti dica che vuole restaurare l'autorità dello Stato. Il compito è enormemente difficile, perché ci sono già tre o quattro Stati in Italia, che si contendono il probabile, possibile esercizio del potere.
D'altra parte, per salvare lo Stato, bisogna fare un'operazione chirurgica. Ieri l'onorevole Orano diceva che lo Stato è simile al gigante Briareo, che ha cento braccia. Io credo che bisogna amputarne novantacinque; cioè bisogna ridurre lo Stato alla sua espressione puramente giuridica e politica.
Lo Stato ci dia una polizia, che salvi i galantuomini dai furfanti, una giustizia bene organizzata, un esercito pronto per tutte le eventualità, una politica estera intonata alle necessità nazionali. Tutto il resto, e non escludo nemmeno la scuola secondaria, deve rientrare nell'attività privata dell'individuo. Se voi volete salvare lo Stato, dovete abolire lo Stato collettivista («bene!»), così come c'è stato trasmesso per necessità di cose dalla guerra, e ritornare allo Stato manchesteriano.
La guerra civile si aggrava anche per questo fatto: che tutti i partiti tendono a formarsi, a inquadrarsi in eserciti; quindi l'urto, che se non era pericoloso quando si trattava di partiti allo stato di nebulosa, è molto più pericoloso oggi che gli uomini sono nettamente inquadrati, comandati e controllati. D'altra parte è pacifico, ormai, che sul terreno della violenza le masse operaie saranno battute. Lo riconosceva molto giustamente Baldesi, ma non ne diceva la ragione profonda; ed è questa: che le masse operaie sono naturalmente, oserei dire santamente, pacifondaie, perché rappresentano sempre le riserve statiche delle società umane, mentre il rischio, il pericolo, il gusto dell'avventura sono stati sempre il compito, il privilegio delle piccole aristocrazie. (Approvazioni all'estrema destra). E allora, o socialisti, se voi convenite e ammettete e confessate che su questo terreno noi vi batteremo (rumori all'estrema sinistra), allora dovete concludere che avete sbagliato strada. (Interruzioni all'estrema sinistra).
La violenza non è per noi un sistema, non è un estetismo, e meno ancora uno sport: è una dura necessità alla quale ci siamo sottoposti. (Commenti). E aggiungo anche che siamo disposti a disarmare, se voi disarmate a vostra volta, soprattutto gli spiriti.
Nell'Avanti! del 18 giugno, edizione milanese, è detto:
«Noi non predichiamo la vendetta, come fanno i nostri avversari. Pensiamo all'ascesa maestosa dei popoli e delle classi con opera pacifica e feconda pur nelle inevitabili, anzi necessarie, lotte civili. Se questo è il vostro punto di vista, o signori, sta a voi illuminare gli incoscienti e disarmare i criminali. Noi abbiamo già detto la nostra parola, abbiamo già compiuto la nostra opera».
Ora io ribatto che anche voi dovete illuminare gli incoscienti, che ritengono che noi siamo degli scherani del capitalismo, degli agrari e dei Governo; dovete disarmare anche i criminali, perché abbiamo nel nostro martirologio 176 morti. Se voi farete questo, allora sarà possibile segnare, la parola «fine» al triste capitolo della guerra civile in Italia.
Non dovete pensare che in noi non vibrino sentimenti di umanità profonda. Noi possiamo dire come Terenzio: siamo umani e niente di quanto è umano ci è straniero.
Ma il disarmo non può essere che reciproco. Se sarà reciproco, si avvererà quella condizione di cose che noi ardentemente auspichiamo, perché, andando avanti di questo passo, la nazione corre serio pericolo di precipitare nell'abisso. (Commenti).
Siamo in un periodo decisivo; lealtà per lealtà, prima di deporre le nostre armi, disarmate i vostri spiriti.
Ho parlato chiaro: attendo che la vostra risposta sia altrettanto alta e chiara.
Ho finito. (Vivissimi e reiterati applausi all'estrema destra, commenti prolungati, molta congratulazioni)
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SULLA PACIFICAZIONE TRA FASCISTI E SOCIALISTI

A Milano, nella sede del partito economico sita in piazza del Duomo 2, la mattina del 12 luglio 1921, hanno inizio i lavori del consiglio nazionale dei Fasci Italiani di Combattimento. Sull'azione svolta dal Gruppo parlamentare fascista, Mussolini dice: «Il Gruppo parlamentare fascista, secondo me, nella sua azione parlamentare, ha agito bene: ha defenestrato Misiano, scatenando, le riserve ed anche la deplorazione di tanti parrucconi costituzionali e di molti affini a noi (come Colaianni), perché vedevano in esso l'eletto del popolo! Poi la caduta di Sforza non è stata opera degli elementi incerti ed oscillanti nel paese, ma è stata opera dell'attacco combinato della Destra nazionale. Il Gruppo fascista ha dato prova di una discreta attività. Ora, se noi diventiamo il centro di coagulazione di altre forze, potremo fare qualche cosa; ma se noi stiamo fermi in uno splendido ed onanistico isolamento, non so cosa potremo fare di utile al paese.
Nella seduta pomeridiana, si inizia la discussione dell'argomento riguardante le trattative di pacificazione tra fascisti e socialisti. Parla per primo l'on. Giovanni Giuriati, compilatore di un progetto di pacificazione assieme all'on. Acerbo. Segue Mussolini, che fa le dichiarazioni seguenti:
" Alcuni chiarimenti. Lo schema dell'accordo di massima sarebbe stato accettato da tutti perché era un accordo platonico, ideale. Solamente, 1'on. Giuriati ricorderà che io ho sempre parlato di condizioni da aggiungere e cioè: impegno di non mettere bandiere rosse agli edifici pubblici; impegno di non fare pire agitazioni nei collegi insanguinati; impegna da parte dei socialisti di appoggiarci nell'eventuale questione dei deputati sotto l'età prescritta e simili, perché l'ordine del giorno non aveva clausole. Per cui l'accorda è stato bombardato dai giornali della capitale come una cosa già fatta, il che rispondeva a indiscrezioni giornalistiche e niente altro. Ora mi pare che le dichiarazioni dell'on. Giuriati siano abbastanza esaurienti per quello che riguarda la faccenda dei preliminari. Per conto mio rettifico un mio errore: io credevo che l'iniziativa forte partita dall’on. Zaniboni, mentre pare che sia partita da Ellero. Prego quindi Pasella di dare lettura dell'ordine del giorno che abbiamo concordato e sul quale verrà orientata la discussione".
« Pasella dà lettura del seguente ordine del giorno, che venne votato alla unanimità dalla Commissione esecutiva del Comitato centrale dei Fasci
« —Il Consiglio nazionale dei Fasci Italiani di Combattimento, dopo ampia discussione e presa visione dei voti emessi dai singoli Fasci in merito alla eventuale pacificazione, rievocate le ultime manifestazioni politiche e gli atroci misfatti compiuti a danno dei fascisti, proprio quando il paese auspicava alla fine delle lotte civili, pur dichiarandosi disposto a disarmare se gli avversari lealmente e completamente disarmino a loro volta, ritiene intempestivo, nel momento attuale, qualsiasi accordo coi partiti nemici ed ostili;
« reputa tuttavia necessario distinguere le organizzazioni economiche dei lavoratori dai partiti cosiddetti sovversivi, ed invita i singoli Fasci, là dove la situazione lo consenta, ad accedere ad accordi d'ordine locale coi rappresentanti delle organizzazioni operaie, salvo la ratifica degli organi dirigenti dei Fasci " ». Dopo che Pasella ha illustrato l'ordine del giorno, parlano Perrone, Farinacci, Bottai, Marsich (che presenta un ordine del giorno), Scarpa, Agostini, Bastianini, Polverelli, Bresciani, De Vecchi, padovani, Mastromattei. Indi Mussolini pronuncia il discorso qui riportato.

Mantengo l'ordine del giorno che ho presentato ieri sera al Comitato esecutivo e non accetto l'ordine del giorno Marsich per molte ragioni: prima di tutto perché è troppo lungo, poi perché affastella nello stesso testo una quantità d'argomenti disparati. Vi si parla di classi o di caste politiche da demolire, mentre invece l'argomento in discussione è semplicemente limitato ai rapporti fra noi e il socialismo italiano. Bisogna assolutamente rendersi conto che una differenza esiste fra partiti politici ed organizzazioni economiche. Quelli di voi che hanno seguito l'organo ufficioso della Confederazione del lavoro (Battaglie Sindacali), avranno notato che l'atteggiamento dei confederali di fronte al fenomeno del fascismo non è stato così idiota, né così infame come l'atteggiamento dell'organo del Partito Pussista. I Buozzi, i Colombino, i Baldesi ed altri, hanno cercato di comprendere il fascismo ed hanno affermato che gran parte di fascisti italiani erano corsi al fascismo per motivi idealistici. La differenziazione si impone anche per altre ragioni.
Noi non possiamo prescindere da queste masse di lavoratori. Fino ad ora le abbiamo curate con rimedi energici. Ma grande e sottile medico è colui che sa adattare le medicine al, corso della malattia. Ognuno di noi può constatare che lo stato d'animo delle masse operaie è fondamentalmente diverso da quello di due anni fa. Penso che oggi si possa cambiare la medicina e sia da andare verso queste masse operaie per convincerle della fallacia di tutte le dottrine socialiste.
D'altra parte queste trattative di pace sono interrotte perché sono intervenuti altri fatti a turbare il corso delle cose. Gli uomini che ci hanno chiesto tale pace, il Partito che ci ha chiesto la pace, è un Partito che per venti anni ha dominato la vita italiana, che ha centoventidue deputati, amministra migliaia di comuni e possiede moltissime organizzazioni economiche.
Questo Partito, che è stato la minaccia, il ricatto per decine di anni dello Stato e della borghesia, era disposto a scendere a patti con quell'odiato fascismo, che, in un primo tempo, ha ignorato, in un secondo tempo, ha diffamato, in un terzo tempo, riconosceva come vittorioso, per il solo fatto che si metteva al tavolo a discutere sulla resa. E voi considerate che queste cose siano tali da sputarci sopra? Se è possibile di toglierci una parte di nemici, non è forse il caso di andare incontro ad essi con l'anima sgombra di preconcetti? Ma il fatto che i socialisti verrebbero a trattare la pace con noi non scaverebbe più profondo il solco fra socialisti e comunisti ed anarchici? O noi o non contiamo il numero dei nemici, o noi dobbiamo seguire una tattica, che è quella di dividere i nemici per batterli e per separarli.
C'è un equivoco. Si crede che il trattato significhi la fine della lotta contro il Partito Socialista ed i socialisti. No! Domani noi continueremo a combattere il Partito Socialista, ma solamente noi sposteremo questa lotta dal piano delle violenze sanguinose ed incendiarie ad un altro piano di propaganda, di contraddittori, di comizi, ecc. O noi abbiamo la convinzione che siamo i portatori di una verità, e allora dobbiamo essere anche pronti a scendere su altri terreni di lotta; o noi rimarremo sempre sul terreno della violenza, e allora sarà palese che in noi non c'è nessuna verità e che noi 'rappresentiamo un fenomeno puramente negativo. Ora io stesso, che, per ragioni nazionali e, soprattutto, umane, ero proclive ad accedere su questo terreno, oggi sono contrario. Ma notate però che il Partito Socialista, malgrado la sua partecipazione al comizio di Roma, non ha negato ogni possibilità di pace col fascismo; non c'è un atto, non c'è un articolo del Partito Socialista che dica: non vogliamo la pace a nessun costo. Quando ci fosse questo, allora la situazione sarebbe chiarita. Purtroppo vi sono altri fatti ed altri elementi ed altri indizi che ci pongono nella condizione di soprassedere in questo momento alle trattative. E questi fatti sono: la creazione degli arditi di Cagoia, il comizio romano, la recrudescenza dei delitti comunisti. Ma da questo a chiudere tutte' le porte, a dire che non faremo mai la pace, che continueremo la battaglia, la guerra all'infinito, ci corre molto. Ecco perché io ritengo che questo ordine del giorno sia eminentemente realistico e risponda alle condizioni peculiari del momento. Perché in questo ordine del giorno, mentre ci dichiariamo pronti a disarmare, riteniamo intempestivo nel momento attuale qualsiasi accordo coi partiti antinazionali.
Nel momento attuale, perché se, per esempio, domani. i socialisti, che sono un Partito che sarebbe opportuno distaccare dal fronte unico di tutti gli altri partiti, venissero a noi, questo ordine del giorno non chiude tutte le porte, ma anzi apre uno spiraglio. Perché se la guerra continuasse, sarebbe una guerra in grande stile e sarebbe la fine dell’Italia. È necessario aprire, quando occorra, una porta, distinguendo fra i partiti politici (che sono composti di politicanti speculatori) e le masse operaie (che si compongono di ingenui, di convinti, di dubbiosi, di incerti e di gente che non ha nessuna idea). Ora, se non distingueremo fra questa massa, noi avremo un blocco unico contro di noi. Se noi continueremo a distruggere le Camere del lavoro senza una precisa ragione, susciteremo l'odio, perché offenderemo una larga cerchia di interessi materiali e morali. Sarebbe grande evento se si potesse stipulare un accordo locale, sia pure con la Confederazione del lavoro; sarebbe bene, dicevo, cercare di separare la Confederazione dal gruppo dei partiti sovversivi, poiché la forza reale è la Confederazione. Gli altri sono i quadri, gli ufficiali, i generali che hanno le forze in quanto hanno le leghe; ma quando domani le leghe, le cooperative, le federazioni andassero verso l'autonomia, noi avremmo una formidabile posizione nella vita nazionale. Se continueremo a combattere contro le leghe operaie e le Camere del lavoro, costringeremo i confederati ad accostarsi ai partiti politici. Tutto questo dovete riflettere prima di prendere una decisione che sia assoluta. Non è detto ché dobbiamo smobilitare; continueremo ad avere le nostre squadre, le perfezioneremo, ma daremo un'altra direzione a queste energie potentissime. Se il fascismo farà questo, ha dinnanzi a sé una strada maestra da percorrere; ma se il fascismo si imbottiglia nella pregiudiziale antifascista, noi probabilmente domani ci troveremo in una situazione di crisi spirituale e materiale, mentre oggi siamo i vincitori.
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DISCORSO ALLA CAMERA DEL 22 luglio 1921 – PER I FATTI DI SARZANA

Non posso assolutamente dichiararmi soddisfatto delle informazioni dateci dall’onorevole presidente el Consiglio e credo che gran parte della Camera sarà della mia opinione. Evidentemente siete in difetto di informazioni. Quelle informazioni sono troppo scheletriche. E’ una versione assolutamente telegrafica e dopo 48 ore da quegli avvenimenti tragici un governo, che si rispetti, dovrebbe essere meglio e più minutamente informato.
Ma, giacchè l’onorevole Bonomi ha ripreso il tema della pacificazione, io debbo fare alcune dichiarazioni abbastanza gravi.
Oggi in quest’aula sono stati pronunziati due discorsi. Ha parlato il comunista Bombacci ha detto che fra comunisti e fascisti, fra comunisti, che vogliono l’istituzione di una repubblica federale, tipo russo, col relativo stemma sul Campidoglio, e noi, che saremmo all’avanguardia della borghesia, non ci può essere che quello che Carlo Marx scrive alla fine del suo libro sulle lotte civili in Francia: combattimenti sanguinosi o il nulla.
Ora dichiaro subito che accetto, perché essendo noi in contrasto non soltanto di interessi, ma di spirito, coi comunisti, non ci può essere, a mio avviso, transazione di sorta. Ma d’altra parte, poiché l’onorevole Bombacci ha promesso e si è impegnato per una lotta leale, sia pure di guerra, io gli domando se l’assassinio dei feriti, e l’atteggiamento degli infermieri comnunisti di Sarzana possono rientrare e debbano rientrare nei limiti di quella modesta umanità, dalla quale non esulano nemmeno le tribù selvagge del deserto (approvazioni).
Più grave a mio avviso, è stato il discorso dell’onorevole Turati. Io non rilevo la sconvenienza con cui egli ha parlato di me. L’onorevole Turati mi conosce da tempo e quindi poteva risparmiarmi una fraseologia sconveniente.
Ma, a parte questo, che è un riflesso totalmente personale, e sul quale io ho troppo buon gusto per insistere, rilevo che l’onorevole Turati, il quale appare l’apostolo più sollecito e indefesso dell’opera di pacificazione, oggi ha tenuto un discorso, che potrebbe pesare gravemente sul corso delle trattative future.
Egli, interpretando una frase dell’amico Grandi, che doveva intendersi in un senso spirituale e intellettuale, ha dichiarato che si parlano due lingua, che apparteniamo a due razze. Se questo è, allora nei protocolli di pacificazione si appalesano fin da questo momento il ridicolo e l’assurdo.
Turati: Siamo contro la guerra civile; siamo contro di voi, perché siete la guerra civile (approvazioni a sinistra, interruzioni e rumori a destra, scambio di apostrofi).
Mussolini: L’onorevole Turati dice: voi siete la guerra civile. L’onorevole Turati è, ancora, se non mi inganno, socio di un partito che per due anni ha magnificato, davanti alle folle italiane un classicoe esempio di guerra civile, quella che infuria nella Russia.
Turati: Quella è la rivoluzione!
Mussolini: Ma, onorevole Turati, badate: mentre io, in base a criteri umani, perché è ora di finirla di dipingerci come bevitori di sangue perché siamo uomini anche noi in base soprattutto a criteri di ordine nazionale, ho detto e ripeto che se non finisce si va a picco e andiamo tutti a picco; voi mi avete tacciato di “Maddaleno pentito”. Pessima frase, infelicissima. Prima di tutto voi sapete che qui e fuori di qui io ho sempre accettato la responsabilità delle mie azioni, di tutto quello che ho fatto e che qualche volta i miei compagni hanno fatto. Io non rinnego niente, accetto il fascismo in blocco, così come i rivoluzionari accettano la rivoluzione in blocco. E se da qualche tempo noi porgiamo il ramoscello d’olivo, non lo facciamo già perché ci siano degli elementi di retroscena politici e parlamentari che ci spingono a questo, perché noi siamo alieni da queste manovre e il Parlamento ci interessa mediocremente e nel Parlamento ci sentiamo discretamente a disagio; lo facciamo per ragioni superiori di Nazione e di umanità, ragioni che l’onorevole Turati fece squillare eloquentemente in un suo discorso e che oggi, evidententemente, ha dimenticato, quando ha parlato di maddalenismo, mentre invece doveva fare un riconoscimento esplicito e leale della nostra volontà di pacificazione, che deve vincere delle resistenze formidabili ed esasperate in noi e fuori di noi.
Ora noi prendiamo atto con molto piacere del voto della confederazione generale del lavoro e soprattutto prendiamo atto che la Confederazione generale del lavoro in questo scinde nettamente la sua responsabilità dai comunisti; ed è logico che questo sia, perché un conto è la confederazione generale del lavoro, che si propone una trasformazione graduale dei rapporti giuridici, una trasformazione graduale dell’economia nazionale, ed un conto sono invece i comunisti i quali, attraverso ad una insurrezione armata e fortunata, pretendono di impadronirsi del potere politico e quindi a colpi di decreti-legge, realizzare il comunismo.
Prendiamo atto anche che la Direzione del Partito Socialista non è aliena e che si dichiara favorevole a continuare le trattative e dichiaro anche che le condizioni poste, almeno quelle che appaiono sui giornali, io le accetto.
Ma bisogna però, ad evitare che le trattative non portino a quella conclusione che è attesa conspeiegabilissima ansia non solo dal Parlamento ma da tutta la Nazione, affinché queste trattative concludano, che si moderi il linguaggio, che si smetta di diffamarci, e soprattutto, siu smetta di credere che diversi atteggiamenti del Governo possano piegare le forze politiche e militari del fascismo. (applausi all’estrema destra).
Questo non sarà, perché vi ripeto, ed ho finito, che noi siamo disposti alla pacificazione, ma siamo anche prontissimi e disposti a continuare la lotta ed a prtarla alle ultime conseguenze.
(approvazioni all’estrema destra, commenti all’estrema sinistra).
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MessaggioInviato: Mar Feb 17, 2009 2:37 pm    Oggetto:  
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INSUFFICIENZE DEL MINISTERO BONOMI

Questo discorso - pronunciato alla Camera nella tornata del 23 luglio 1921, verso la fine della seduta, all'indomani del discorso pronunciato per i fatti di Sarzana - è, in apparenza, una semplice dichiarazione di voto. Ma, nella chiusa, va assai oltre. Dopo aver dichiarato i motivi del voto contrario al Ministero Bonomi, Mussolini prospetta la possibilità dell'unione delle tre correnti di masse - il movimento fascista, i Partiti socialista e popolare - « coalizzate sopra un programma » che ne costituisca « il minimo comune denominatore », per "condurre la Patria a più prospere fortune". Egli stesso si rende conto che la proposta è « paradossale », dato lo spirito dogmatico dei due partiti avversari. Tuttavia questo discorso - che s'inizia con una spiegazione attenuatrice della chiusa del discorso precedente - influì alla conclusione del « patto di pacificazione » fra socialisti e fascisti, che fu firmato pochi giorni dopo, il 3 agosto 1921, arbitro l'on. De Nicola, presidente della Camera. Tale patto, come è noto, non fu mantenuto dai socialisti, che si trincerarono dietro a ragioni sofistiche - allegando il pretesto della non accettazione da parte dei comunisti - per non rispettarlo, e fu denunciato nel successivo novembre dallo stesso Mussolini.

Data l'ora tarda io non voglio dirvi che sarò breve, per non farvi credere esattamente il contrario.
Il Gruppo Parlamentare Fascista mi ha incaricato di spiegare succintamente i motivi per cui esso nega la fiducia al ministro Bonomi. Ma mi permetterete innanzi tutto alcune dichiarazioni che devono precisare alcuni punti venuti in discussione.
Non si deve credere, non ostante la frase da me pronunziata ieri sera alla fine del mio discorso, che la no stra volontà di pacificazione sia venuta meno. Può darsi, anzi io ammetto, che la frase possa avere in qualche parte tradito il mio intimo pensiero. (Commenti).
E a dimostrare ciò vi basti sapere (credo che la Camera ne prenderà atto con soddisfazione) che noi stiamo provvedendo energicamente, e indipendentemente dall'esito che potranno avere le trattative, dirò così diplomatiche, a ristabilire nel nostro movimento una disciplina inflessibile, con una serie di norme che dovranno essere rigorosamente seguite da tutti i nostri inscritti.
Permettetemi di documentare questa affermazione. Noi abbiamo mandata una circolare ai Fasci, e la rendiamo di pubblica ragione, perché non abbiamo nulla da nascondere, nella quale imponiamo la cessazione di ogni forma di violenza individuale che non sia giustificata da ragioni di legittima difesa, e specie quando ci sia sproporzione di numero; cessazione immediata di spedizioni punitive contro organizzazioni economiche e cooperative; ricerca delle responsabilità per coloro che hanno ordinato azioni dannose alla causa fascista.
Credo fermissimamente che una tregua giovi a tutti, e oserei dire giovi anche ai comunisti che rappresentano una parte accessoria nel giuoco delle passioni politiche;
e mi permetto di dire, perché io credo di non essere in errore, poiché io seguo da vicino il movimento comunista italiano, che i comunisti italiani debbano aggiornare il loro movimento alla nuova realtà russa... (Commenti).
Mi permetto di dire che voi siete alquanto in ritardo! E, badate, che con questo non voglio negare l'enorme valore storico della rivoluzione russa, che consiste appunto in questo, non cioè nell'avere instaurato un comunismo impossibile e assurdo, ma nell'avere . preparato le condizioni necessariamente sufficienti allo sviluppo di una grande economia capitalistica in quel grandissimo e fecondissimo paese. (Commenti).
Ora, il nostro voto contrario al ministro Bonomi dev'essere interpretato al giusto segno. Noi non intendiamo di dichiararci con questo voto sempiternamente contrari, al Ministero dell'onorevole Bonomi, perché non abbiamo pregiudiziali di sorta, e non siamo legati da dogmi speciali ad una opposizione sistematica a tutti i Governi così detti borghesi.
Può darsi quindi che, a mutate condizioni di cose, muti necessariamente, di' conseguenza, il nostro atteggiamento. Ma il nostro voto contrario si parte da un duplice ordine di ragioni.
Debbo dichiarare che sono insoddisfatto delle dichiarazioni che l'onorevole Bonomi ha fatto in materia di politica estera. Siete stato insufficiente nelle dichiarazioni che avete fatto per la sorte di Fiume, assai vago ed incerto per quello che riguarda il Montenegro; ma, soprattutto, non avete detto verbo sopra una parte della politica estera che un giorno o l'altro (ed è stato già fatto dall'onorevole Treves) dovrà fornire vasto tema di discussione alla Camera italiana; cioè i rapporti economici fra i nostri alleati e con tutto il mondo. .
Riguardo poi alla politica interna, io non posso accettare, onorevole Bonomi, la vostra equazione, l'equazione che avete stabilito fra un movimento come il nostro, che si parte da motivi di esasperato idealismo patriottico e che mira a ristabilire energicamente l'autorità dello Stato, e un movimento contrario che si butta contro lo Stato per demolirlo. (Approvazione all'estrema destra).
Ammetto che voi siate imparziale dal punto di vista giuridico, dal punto di vista del codice penale, dal punto di vista della repressione di tutte le violenze, siano esse compiute dai fascisti o dai comunisti; ma io mi rifiuto di accettare la vostra equazione; e voi stesso, nella vostra intima coscienza, dovrete rifiutarvi, perché non potrete stabilire identità di sorta fra un movimento sovversivo che tende a capovolgere ab imis la stessa economia politica del Paese, e noi che non vogliamo, notate bene, conservare all'infinito istituzioni che siano rese difettose o insufficienti, ma che però in questo momento rappresentano la forza, la salvaguardia dello Stato.
Voi non avete ordinata nessuna inchiesta seria sui fatti di Sarzana, e soprattutto, mi duole dirlo, non avete avuto una parola di gentilezza e di compianto per quelle vittime, molte delle quali erano adolescenti, molte altre decorati, combattenti, feriti e mutilati. (Commenti).
È dunque per una ragione d'ordine più sentimentale che politico, che noi neghiamo la fiducia al Ministero Bonomi; ed io credo che tutta la Camera comprenderà e apprezzerà il nostro legittimo stato d'animo.
E poiché si parla di coalizione, oserei manifestare un'opinione che in questo momento può sembrare alquanto paradossale. Penso cioè che si va o presto o tardi ad una nuova e grande coalizione e sarà quella delle tre forze efficienti in questo momento nella vita del Paese. Esistono qui dei gruppi parlamentari numerosi; ma io vi domando se la democrazia e sociale e liberale ha delle forze solidamente inquadrate nel paese, mentre tutti sappiamo che tali forze non esistono, quando si astragga dalla massa assai fluttuante che vota nel giorno delle elezioni.
Ecco perché non accetto la tesi anti-proporzionalista, in quanto essa viene sostenuta col danno che ne ricavano i partiti deboli. Se i partiti sono deboli, o si rafforzano o muoiono, ma le grandi forze espresse dal Paese in quest'ora sono tre: un socialismo che dovrà correggersi e già comincia: notevole il voto confederale contro i comunisti, soprattutto notevole il nuovo punto di vista della Confederazione generale del lavoro per ciò che riguarda lo sciopero dei servizi pubblici; la forza dei popolari che esiste, che è potente, anche perché si appoggia, non so con quanto profitto per la religione, alla forza immensa del cattolicismo; e finalmente non si può negare l'esistenza di un terzo movimento complesso, formidabile, eminentemente idealistico, che raccoglie la parte migliore della gioventù italiana. Credo che a queste tre forze coalizzate sopra un programma che deve costituire il minimo comune denominatore, spetterà domani il compito di condurre la Patria a più prospere fortune. (Applausi all'estrema destra, commenti prolungati).
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MessaggioInviato: Mar Feb 17, 2009 2:38 pm    Oggetto:  
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DISCORSO DI MODENA

Discorso pronunciato a Modena, in piazza Sant'Agostino, la mattina del 29 settembre 1921, durante i funerali dei fascisti caduti nel conflitto del 26 settembre.

Non mai come in questa giornata di pianto e di gloria io ho sentito, con mortificazione, le deficenze del mio spirito.
Oggi vorrei assommare e armonizzare in me le divine facoltà dei poeti, per salutare con un epicedio queste superbe giovinezze stroncate da un'oscura e premeditata tragedia.
Il fato, nella sua tristezza, supera le mie possibilità oratorie. Vi parlerò da soldato, poiché questi che caddero appartenevano alla milizia migliore del nostro esercito; e da uomo pensoso non della sua, ma dell'altrui umanità.
Quale onda di commozione mi ha sopraffatto stamani quando ho visitato le salme raccolte nel sonno che non ha risveglio e quando i feriti, con elevatissimo morale di guerrieri e di martiri confessori di una fede, mi hanno accolto con un « alalà! » che mi ha scosso l'animo sino nelle più intime fibre.
E c'erano fra di loro i giovinetti imberbi, dai lineamenti gentili, le primavere sacre del nostro sangue latino, i virgulti schietti della nostra razza immortale; e c'era anche un uomo nella piena maturità degli anni, che ha visto cadere mortalmente ferito il figlio ed era magnifico di coraggio e di serenità.
Non un lamento, non un rimpianto è uscito dalle labbra dei nostri feriti. C'è in loro l'orgoglio del buon volontario che è lieto di consacrare col sangue la purezza della sua fede.
L'eccidio dell'altra sera è ricco di gravi insegnamenti. I nostri avversari sanno ora che quando c'è un pericolo da correre, un rischio da affrontare, una responsabilità da assumere, i capi dal fascismo sono al loro posto.
Se il malcostume degli avversari fosse anche il nostro, nessuno dei dirigenti il fascismo modenese sarebbe rimasto colpito.
Oggi tutta l'Italia guarda a Modena e non credo di commettere peccato se aggiungo che si attende con ansia ciò che io dirò.
Mi pare di sentire un coro anonimo di mille e mille voci levarsi dalle città, dai borghi, dai casolari e invocare ulna parola di pace. Noi che non siamo dei barbari, ascoltiamo questo grido di pace. La terra, dal 1914 ad oggi, ha bevuto tante lacrime e tanto sangue, che nessun uomo degno di questo nome può pensare senza raccapriccio che- questo orrore continui.
Ma se pace; la pace vera, si vuole, che cosa significa questo rinnovato, diabolico accanimento antifascista cui assistiamo?
Non pace sincera vi può essere sino a quando i fascisti saranno chiamati sicari, assassini, assoldati, compagnie di ventura; sino a quando saranno additati come l'oggetto dell'odio e della vendetta popolare.
Oh, la tragedia non è locale, ma è nazionale. I protagonisti sono più numerosi, la scena è vasta quanto il territorio della nazione.
Io affermo qui, io che non ho risparmiato le critiche più acerbe a talune manifestazioni del movimento fascista, che il fascismo è nel suo insieme uno dei movimenti più disinteressati, più spiritualistici, più idealistici, più religiosi che conosca la storia italiana ed europea.
Erano dunque sicari di qualcuno, difensori di qualche cosa - di un uomo o di un interesse, di una casta o di un privilegio - questi giovani che prima di sigillare le labbra per sempre hanno mormorato, negli spasimi dell'agonia, il grido di « Viva l'Italia! »?
No. Per questi giovani che sono caduti, per gli altri che rimangono, l'Italia non è la borghesia o il proletariato, la proprietà privata o la proprietà collettiva. L'Italia non è nemmeno quella che governa o sgoverna la nazione e non ne intende quasi mai l'anima. L'Italia è una razza, una storia, un orgoglio, una passione; una grandezza del passato, una grandezza più radiosa dell'avvenire.
Con questa fede, per questa fede, voi siete morti; per questo voi siete andati alla morte, come alle « braccia di arridente sposa ».
E noi siamo venuti qui, da ogni parte d'Italia, a rendervi onore. I tremori dei nostri avversari sono vani. Nessun tumulto, nessuna violenza deve turbare né turberà la manifestazione odierna, l'estremo onore. I nostri inni echeggiano dalle nostre fanfare. I nostri « alalà! » si levano solenni in questo dolce cielo di settembre. Li sentite voi ? Forse. Certo.
L'ondata formidabile dei nostri spiriti deve incontrare, scaldare i vostri che non sono morti.
Squillano le note di Giovinezza, l'inno della vita; ma voi, tra poco, scenderete nella terra negra. Per voi, o cari morti, stasera le stelle non avranno più brividi d'infinito; il sole di domani non avrà più splendori; nelle vostre famiglie si sentirà stasera il vuoto terribile che dà l'estrema dipartita e le lacrime amare cadranno nel silenzio.
Salve, oh morti dilettissimi. Noi non vi dimenticheremo. I vostri nomi rimarranno scolpiti nel nostro cuore profondo. Finché un solo fascista ci sarà in Italia, egli trarrà da voi l'esempio e l'auspicio.
Verrà giorno in cui il nostro esercito invitto e invincibile strapperà la definitiva vittoria. Allora, o fratelli di Modena, o fratelli caduti di altre città, un fremito improvviso farà sussultare i vostri resti mortali. Converremo allora alle vostre tombe di precursori e di avanguardie a sciogliere il voto della riconoscenza e della fede.
In nome dei cinquecentomila fascisti d'Italia, vi porgo l'estremo addio.
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Giovanni




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MessaggioInviato: Mar Feb 17, 2009 2:38 pm    Oggetto:  
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Discorso del 9 novembre 1921 Teatro Augusteo di Roma

Il 7 novembre 1921 s'inaugurò all'Augusteo, il Congresso Fascista di Roma che segna una pietra miliare nella storia del Fascismo, per la trasformazione del movimento in Partito e per la chiarificazione del problema sindacale.
Nella seduta del 9 novembre - essendo accaduti in Roma alcuni primi incidenti, provocati dai sovversivi allo scopo di coonestare uno sciopero generale - Mussolini esortò i congressisti a difendersi ma a non attaccare. Di fronte ad alcune proteste sorte nell'assemblea aveva replicato: « Non accetto da alcuno lezioni di coraggio ». Questo atteggiamento fermo e sereno non valse tuttavia ad evitare - come vedremo nello scritto seguente (cfr. pp. 209-231) - la provocazione sovversiva.
Ma intanto, il Duce lasciava da parte questo tèma spiacevole per elevarsi, com'Egli diceva, « a più spirabili aure ».

Eleviamoci a più spirabili aure e parliamo del nostro programma sul quale sono disposto a battermi senza quartiere. Devo anzitutto dichiarare che nel complesso sono ammirato per lo spettacolo di disciplina e dignità che il Congresso ha dato fino ad ora. Per fissare la attività politica del Fascismo è necessario esaminare partiti e organizzazioni economiche italiane. Cominciamo dall'estrema sinistra, dove troviamo gli anarchici con a capo Malatesia - santo e profeta - che è un fenomeno di coerenza che si può ammirare. Occorre stabilire che al Congresso anarchico di Ancona l'altro giorno è stato condannato il bolscevismo russo. Il comunismo attuale, giudicandolo da quello di Torino, è paragonabile alla corrente letteraria che aveva per esponente la rivista La cerca. Noi, per la Nazione, accettiamo la dittatura e lo stato d'assedio; anche i comunisti chiedono la dittatura per uno scopo classista. Anche nel comunismo c'è una ala destra ed un'ala sinistra. Il Partito socialista si basa sull'equivoco e ci nausea, sia che si tratti di Turati, che fa il formicone in un partito in cui non crede più, sia che si tratti di Serrati. Se il pus non avesse dietro di sé la Confederazione del lavoro, avrebbe un'importanza limitata. I repubblicani, partito secolare che ha dato all'Italia Mazzini e Garibaldi, che ha dato alla guerra il fiore dei suoi martiri, sono anch'essi travagliati da una crisi. Il Fascismo potrà integrare le teorie mazziniane, ma non potrà dimenticarle. Noi non abbiamo bisogno di andare a cercare i profeti in Russia o in altri paesi, quando abbiamo dei profeti che hanno detto un verbo nazionale, che è il prodotto dello spirito e della civiltà italiana. Nel mezzo troviamo un caos di partiti, democrazia liberale e democrazia sociale. Che cosa vogliono dire? E chi non è democratico al giorno d'oggi? Chi pensa di strappare al popolo tutto il mucchio di concessioni graziose - suffragio universale, rappresentanza proporzionale, ecc. - che ha avuto e di cui s'infischia? Sopra undici milioni di elettori, sei soli vanno a votare e spesso per ragioni alcooliche e pecuniarie. I partiti democratici sono un'accolta di capitani senza soldati, che soltanto nelle date fatidiche, in mesto e ben ordinato corteo, fanno della coreografia ufficiale.
Il Partito popolare, prima di fischiarlo, studiamolo. Ora questo è indubbiamente un partito potente, perché si appoggia a trentamila parrocchie, ha un'organizzazione politica disciplinata che scimmiotta il Fascismo. Potente per le banche, i giornali e il prestigio che lo fa ritenere espressione del mondo cattolico. Anch'esso è travagliato da crisi interne. Esso raccoglie molti elementi della più fetida neutralità; esso ha molti elementi che hanno sabotata la guerra e sul terreno agrario gareggia col bolscevismo vero e proprio. Abbiamo quindi due bolscevismi: quello rosso e quello migliolino. Contro questo partito, noi non possiamo non ingaggiare la lotta. Vi è l'ala destra di esso che cerca riconciliarsi con la Nazione, ma la riconciliazione comincia là dove si riconosce prima di tutto Roma capitale d'Italia.
Il popolo italiano ha una grande storia. Basta scendere a Roma per sentire che venti e trenta secoli fa era il centro del mondo e gli italiani nei secoli passati furono grandi nelle arti, nelle lettere e nei commerci. Dal loro popolo si espressero il genio di Dante e di Napoleone. L'Italia d'oggi ha vita da soli cinquant'anni. Soltanto attorno al '70 l'Italia ebbe gli uomini della destra che compresero, pure errando spesso, il suo avvenire. Furono quelli uomini pieni di intelletto e soprattutto di probità politica, che non avevano l'abitudine di mistificare le masse. Il fascismo deve volere che dentro i confini non vi siano più veneti, romagnoli, toscani, siciliani e sardi: ma italiani, solo italiani. E per questo il Fascismo sarà contro ogni tentativo separatistico, e quando le autonomie che oggi si reclamano dovessero portarci al separatismo, noi dovremmo essere contro. Noi siamo per un decentramento amministrativo, non per la divisione dell'Italia.
Durante gli ultimi decenni di travaglio nazionale l'Italia ebbe un uomo solo che ebbe... voi m'intendete! Parlo di Francesco Crispi. Egli solo seppe proiettare l'Italia nel Mediterraneo con anima e pensiero imperialistico. Ma quando parlo di imperialismo non intendo riferirmi a quello prussiano; intendo un imperialismo economico di espansione commerciale. Quei popoli che un giorno, privi di volontà, si rinchiudono in casa, sono quelli che si avviano alla morte.
Io non voglio essere un Mosè sbarbato che vi dice: « Ecco le tavole della legge, giuratevi sopra! n. No. Intendo dire che il Fascismo si preoccupi del problema della razza; i Fascisti devono preoccuparsi della salute della razza con la quale si fa la storia. Noi partiamo dal concetto di Nazione; che è per noi un fatto, né cancellabile, né superabile. Siamo quindi in antitesi contro tutti gli internazionalismi.
Il sogno di una grande umanità è fondato sull'utopia e non sulla realtà. Niente ci autorizza ad affermare che il millennio della fratellanza universale sia imminente.
Malgrado i sogni dell'internazionale, quando battono le grandi ore, quelli che rinnegano la patria, muoiono per lei. Partendo dalla Nazione, arriviamo allo Stato, che è il Governo nella sua espressione tangibile. Ma lo Stato siamo noi: attraverso un processo vogliamo identificare la Nazione con lo Stato. La crisi di autorità degli Stati è universale ed è un prodotto del cataclisma guerresco. È necessario però che lo Stato ritrovi la sua autorità, altrimenti si va al caos. Senza il Fascismo, il Fante Ignoto oggi non dormirebbe nel sarcofago dell'altare della Patria. Noi non ci vergognamo di essere stati interventisti, ma con ciò non intendiamo accomunarci con certi esaltatori della guerra, che attorno ad essa fecero della cattiva letteratura. Non esaltiamo la guerra per la guerra, come non esaltiamo la pace per la pace. Noi esaltiamo quella guerra che nel 1915 fu voluta dal popolo, da noi, contro tutti! M'intendete! Il popolo sentiva che quella guerra era il suo battesimo, che era la consacrazione della sua esistenza e se oggi l'Italia è a Washington a discutere con poche altre Nazioni della pace del mondo, lo deve agli interventisti del 1915. Il popolo disse allora all'Italia: Solo osando tu avrai diritto alla storia di domani!
Il regime! Si disse dopo le elezioni, a proposito di una mia dichiarazione e di un avverbio che fece fortuna, che io mi ero rovinato la carriera. Mi ricordai in quei giorni che fra i partiti c'era anche quello repubblicano e dissi che il Fascismo era tendenzialmente repubblicano. Così dicendo, non intendevo precipitare il paese in un moto rivoluzionario. Con quella dichiarazione, io intendevo soltanto aprire un varco verso il futuro. Chi può dire che le attuali istituzioni siano in grado di difendere sempre gli interessi, soprattutto ideali, del popolo italiano? Nessuno. Oggi un movimento repubblicano sarebbe destinato a un insuccesso. Potrebbe riuscire in un primo momento, per essere subissato da un moto successivo. Se una repubblica può essere in Italia, non potrebbe mai essere quella che Nitti, in combutta con altri, ha vagheggiato! Né -potrà essere la repubblica vagheggiata dal partito repubblicano ufficiale. Sulla questione del regime, il Fascismo deve essere agnostico, ciò che significa vigilanza e còntrollo. Perché per il regime è l'abito che deve adattarsi alla Nazione e non già la Nazione che si deve adattare al regime.
In economia siamo dichiaratamente antisocialisti. Io non mi dolgo di essere stato socialista, ho tagliato i ponti col passato. Non ho nostalgia. Non si tratta di entrare nel socialismo, ma di uscirne. In materia economica siamo liberali, perché riteniamo che l'economia nazionale non posso, essere affidata a enti collettivi e burocratici. Dopo l'esperimento russo, basta di tutto ciò. Io restituirei le ferrovie e i telegrafi alle aziende private; perché l'attuale congegno è mostruoso e vulnerabile in tutte le sue parti.
Lo Stato etico non è lo Stato monopolistico, lo Stato burocratico, ma è quello che riduce le sue funzioni allo strettamente necessario. Siamo contro lo Stato economico. Le dottrine socialiste sono crollate: i miti internazionali sono caduti, la lotta di classe è una favola perché l'umanità non si può dividere. Proletariato e borghesia non esistono nella storia; sono entrambi anelli della stessa formazione.
Non crediamo in queste fole. Il proletariato, anche là dove ha avuto il potere, è imprigionato dal capitalismo. Siamo antisocialisti ma non, necessariamente, antiproletari.
Si dice, bisogna conquistare le masse. C'è chi dice anche: la storia è fatta dagli eroi; altri dice che è fatta dalle masse. La verità è nel mezzo. Che cosa farebbe la massa se non avesse il proprio interprete espresso dallo spirito del popolo e che cosa farebbe il poeta se non avesse il materiale da forgiare? Non siamo antiproletari, ma non vogliamo creare un feticismo per sua Maestà la Massa. Noi vogliamo servirla, educarla, ma quando sbaglia, fustigarla. Bisogna prometterle quello che si sa matematicamente di poter mantenere. Noi vogliamo elevarne il livello intellettuale e morale perché vogliamo inserirla nella storia della Nazione. Perché con un proletariato riottoso, malarico, pellagroso non vi può essere un elevamento dell'economia nazionale. E diciamo alle masse che, quando gli interessi della Nazione sono in giuoco, tutti gli egoismi, così del proletariato come della borghesia, devono tacere. Può il Fascismo trovare le sue tavole negli statuti della reggenza del Carnaro? A mio avviso no. D'Annunzio è un uomo di genio. È l'uomo delle ore eccezionali, non è l'uomo della pratica quotidiana. Però negli statuti della reggenza del Carnaro c'è uno spirito, un imponderabile che possiamo far nostro: l'orgoglio di sentirci italiani, il proposito di voler lavorare per la grandezza della Patria comune. Così dicendo esprimiamo un concetto territoriale, politico, economico, e soprattutto spirituale. Ora questo spirito lo si trova, se non nelle parole, nell'essenza di quegli statuti. Onde noi dobbiamo guardare a quegli statuti come si guarda ad una stella, come ci si disseta ad una fonte. Ci sono in essi delle direttive perché il nostro- movimento, diventando troppo politico o sociale, non isterilisca i valori eterni della razza. Altri vi parlerà di politica estera.
Ancora vi devo una parola sui rapporti tra l'Italia e il Vaticano. Lo Stato è sovrano in ogni campo dell'attività nazionale. Prima di togliere la legge delle guarentigie occorrono cautele. La diplomazia vaticana è più abile di quella della Consulta. Bisogna imporre il rispetto a ogni fede; perché per il Fascismo il fatto religioso rientra nel campo della coscienza individuale. Il cattolicismo può essere utilizzato per l'espansione nazionale. Riguardo all'atteggiamento coi popolari ci regoleremo a seconda del loro atteggiamento. Si dice che questo programma è come gli altri: ma tutti gli uomini sono uguali; i piedi, sono tutti di una forma, la differenza è nei cervelli. Epperò, bisogna guardare allo spirito del programma. Che cosa importa dar fondo all'universo, se non ci sono energie necessarie per raggiungere la mèta comune? Ritengo che attorno a noi si raggrupperanno i frammenti degli altri partiti costituzionali. Noi assorbiremo i liberali e il liberalismo, perché col metodo della violenza abbiamo sepolti tutti i metodi precedenti. Mi permetterete che ci sia in me un sentimento di soddisfazione nel parlare davanti a questa imponente assemblea; forse la più imponente dal '70 ad oggi. Raccolgo il frutto di questi sette anni di dure battaglie. Non dico di non aver commesso errori: ammetto pure di essere un pessimo temperamento. In me lottano due Mussolini, uno che non ama le masse, individualista, l'altro assolutamente disciplinato. Può darsi che abbia lanciato delle parole dure; ma esse non erano dirette contro le milizie fasciste, ma erano dirette contro chi intendeva aggiogare il Fascismo ad interessi privati, mentre il Fascismo deve essere a guardia della Nazione. Preferisco l'opera del chirurgo che affonda il lucido coltello nella carne cancrenosa al metodo omeopatico che s'indugia nel da fare. Nella nuova organizzazione io voglio sparire, perché voi dovete guarire del mio male e camminare da voi. Solo così, affrontando le responsabilità e i problemi, si vincono le grandi battaglie. Vi raccomando di tener fede al principio animatore del Fascismo. In un canto del Paradiso, Dante esalta la figura del poverello di Assisi, che dopo aver sposato la povertà « poscia di dì in dì l'amò più forte ». Questo, o fascisti, è il nostro giuramento: amare di dì in dì, sempre più forte questa madre adorabile che si chiama: Italia.
(Un'entusiastica ovazione accoglie le ultime parole del Duce: vengono gettati fiori su lui quando scende in platea; è abbracciato e sollevato in trionfo dagli squadristi)
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MessaggioInviato: Mar Feb 17, 2009 2:38 pm    Oggetto:  
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FRANCESCO BALDINI

Discorso pronunciato a Milano, nel cimitero monumentale, dai primi gradini della scalinata del Famedio, il 14 novembre 1921, durante i funerali del fascista Francesco Baldini, caduto nei conflitti di Roma del 9 novembre.
Mussolini, a gran voce, scandendo bene le parole, dice:

Dirò poche parole, perché sento che le parole non possono esprimere il mio profondo dolore e la mia intima amarezza. Non voglio fare squillare note di violenza polemica, perché lo spettacolo dei figli del nostro caro caduto è tale che disarma gli spiriti. Noi siamo troppo generosi per fare ricadere sul popolo di Roma la responsabilità di questo freddo, feroce e vile assassinio. Ma riconosciamo lo stile dei nostri nemici, che noi abbiamo sempre sgominato e sgomineremo sempre in campo aperto; tanto che così non possono che ricorrere alla imboscata dei pusillanimi e dei criminali. Tutto ciò sarà pagato, perché nella vita tutto si deve pagare e soprattutto il delitto e soprattutto l'infamia. Noi fascisti milanesi non ci abbandoneremo ad azioni isolate, ad atti di violenza frammentari. Sappiamo dare uno stile ed una linea anche al nostro dolore. Ma sia detto in presenza di questo nostro caduto, sia detto che se la provocazione continuerà, noi allora, che non abbiamo mai agito come individui, ci scaglieremo come massa. Parlo chiaro, perché intendano tutti: dalle autorità, che sono qui presenti, agli avversari, se ci sono, ai fascisti tutti. Non siamo andati a Roma per terrorizzare la capitale, non siamo andati a Roma per andare all'assalto dei quartieri popolari. Siamo andati per compiere il nostro congresso, il nostro corteo, la nostra manifestazione di forza. E l'abbiamo compiuta.
Non è senza significato profondo che il battesimo del Partito Nazionale Fascista sia stato dato da un fascista milanese. E i suoi undici figli quante accuse smentiscono a terribile documentazione circa: la santità della nostra causa e la purezza della nostra fede! Ma tu, o compagno, non sei un morto. Sei un caduto nel duro combattimento che noi abbiamo impegnato per salvare la Patria. Non sei una vittima; sei un martire! La tua memoria rimarrà incisa per sempre nel profondo dei nostri cuori; la tua famiglia avrà tutte le prove della solidarietà dei fascisti milanesi e d'Italia. E tu ci sarai di sprone, di monito, d'insegnamento !
Noi ti vendicheremo non procedendo ad azioni individuali di rappresaglia; ma continuando inesorabilmente il combattimento fino a quando non siano realizzati tutti i nostri ideali. Addio! Ora ti accoglie l'ombra eterna ed il silenzio che non ha risveglio. Noi rimarremo addolorati, non affranti o rattristati, ma sempre in piedi e sulla tua memoria giureremo che il fascismo, questa forza mirabile della stirpe italiana, non diminuirà se stesso, ma continuerà a camminare.
Tu sei caduto, ed anche qui c'è un significato misterioso, sei caduto sulle soglie di Roma; sei quasi la vedetta perduta, che cade ancor prima - che l'avanguardia abbia iniziato la lotta. Ma noi sentiamo che il tuo cadavere è una pietra miliare, noi sentiamo che tu ci hai insegnato la strada per la quale andremo a Roma a dettare le leggi al popolo italiano, che non vuole morire sotto il disordine dei nemici della Patria, ma. vuole vivere e divenire grande. Addio!
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MessaggioInviato: Mar Feb 17, 2009 2:39 pm    Oggetto:  
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DISCORSO DEL 1 DICEMBRE 1921- Per la vera pacificazione

Il congresso fascista venne chiuso violentemente da un'aggressione sovversiva. In seguito a questo fatto, che si aggiunge ad altri simili, veniva denunciato il patto di pacificazione che durò dall'agosto a novembre e non fu mai rispettato sdai socialisti, senza contare i comunisti che ad esso non avevano nemmeno aderito.
I socialisti si atteggiavano a vittime e il 26 novembre 1921 avevano presentato una mozione accusando il Governo di tollerare le violenze fasciste. La discussione si protraeva inutilmente quando Mussolini prese la parola per dimostrare la debolezza del Governo e l'incoerenza dei suoi avversari.

Onorevoli colleghi! Ho ascoltato con viva attenzione i discorsi pronunziati in quest'aula dagli onorevoli Ferri, Dugoni e in parte dall'onorevole Vacirca. Ho ascoltato pure con vivo interesse il discorso dell'onorevole Graziadei e ho notato che il suo metodo polemico non cambia per volgere di stagione; egli cioè ci presenta due Graziadei: uno che è lo studioso e un altro che è, oggi, il comunista. Ma ascoltando appunto i discorsi degli onorevoli Ferri e Dugoni, io mi sono posto questo quesito, se, cioè, la discussione che dura da tre giorni abbia un'utilità qualsiasi.
Mi aspettavo, da quei banchi, dei discorsi che fossero per forma e per contenuto in relazione al testo più estremista della mozione. Ma l'onorevole Ferri e l'onorevole Dugoni, invece di sparare con le grosse artiglierie dell'intransigenza classista, riaffermata nel congresso di Milano, hanno a mio avviso fatto delle salve a scopo puramente dimostrativo, dei discorsi dai quali trasparivano evidenti delle nostalgie collaborazioniste, che la direzione del partito non può non sconfessare. E se così blandi sono stati questi discorsi, ciò significa in realtà che manca la materia del contendere.
Quando l'onorevole Ferri rimprovera all'onorevole Bonomi solo un'insufficienza di Governo, io non voglio qui precedere l'onorevole Bonomi, ma egli può trionfalmente rispondere che qualsiasi uomo a quel banco, per quanto possa essere saggio o potente più d'ogni altro, sarebbe sempre insufficiente davanti a qualche cosa.
E allora discutiamo se è possibile su l'utilità di questa discussione. Un'utilità innegabile si può sintetizzare in questa domanda: il Governo dell'onorevole Bonomi ha fatto quanto poteva e doveva per ristabilire il così detto impero della legge e la pacificazione interna del paese?
Mi permetto di rilevare che non c'è assoluta interdipendenza tra il ripristino dell'autorità statale e la pacificazione interna. Il ripristino dell'autorità statale può contribuire alla pacificazione interna, ma alla pacificazione interna devono contribuire altre forze, a mio avviso, e cioè la disciplina e il controllo dei partiti, il favore o meno dell'opinione pubblica. L'utilità positiva di questo dibattito può dunque consistere in questa domanda. Può la Camera e deve la Camera dare al Governo di oggi o a quello eventuale di domani una linea direttiva per raggiungere gli obbiettivi che stanno sul labbro di tutti, e cioè la restaurazione dell'autorità dello Stato e la pacificazione interna?
Io vorrei che a proposito della crisi italiana non si esagerasse. Prima di tutto gli altri popoli non stanno meglio di noi. Si dice da varie parti che la Germania sta riprendendosi energicamente, e può essere vero sotto un certo punto di vista economico, ma la Germania è però percorsa da una crisi morale acutissima.
Del resto in Italia questa lotta di fazioni è limitata a delle esigue minoranze di fronte a una massa imponente di popolazione. Ci sono delle province dove risse civili non ce ne sono mai state; ci sono delle province dove queste ci sono state, ma dove si sono ripristinate le condizioni del vivere civile; ci sono province dove la lotta infuria ancora. Se fosse concesso tirare due linee per individuare geograficamente la situazione, una linea andrebbe da Livorno ad Ancona e l'altra potrebbe essere data dalla Valle del Po. Ora domandiamoci: la situazione dall'agosto ad oggi è migliorata? È peggiorata? È stazionaria?
Ritengo che i punti neri della situazione siano il deficit finanziario, la disoccupazione e il caro-viveri; elementi favorevoli della situazione sono da considerare lo stato d'animo delle masse operaie e la situazione dei diversi partiti così detti sovversivi. È innegabile che il proletariato italiano si trova in un periodo che io chiamerei di sbandamento morale, non già per l'azione più o meno violenta del fascismo, ma per il crollo di tutta l'ideologia che aveva alimentato potentemente gli entusiasmi del dopo guerra. D'altra parte i partiti sovversivi sono in fiero contrasto fra di loro, ed io, che seguo attentamente la letteratura così detta sovversiva, ho motivo di rallegrare il mio spirito quando, per esempio, vedo i comunisti che definiscono il partito socialista come un circo Barnum. Per loro Serrati è un politicante qualunque; ma sono così privi di religione questi comunisti cerebrali di Torino e di Roma che non rispettano nemmeno gli idoli ed i santoni del sovversivismo italiano. Per loro, per esempio, Enrico Malatesta, questo spauracchio di tutta la borghesia, è un fanciullino che legge romanzi polizieschi, Luigi Fabbri, un teologo di villaggio, Armando Borghi un buffone, che non sa ridere e non fa ridere: dal canto loro gli anarchici definiscono il direttore dell'Ordine Nuovo, un finto stupido, finto veramente perché si tratta di un sardo gobbo e professore di economia e filosofia, di un cervello indubbiamente potente.
In questa situazione la borghesia italiana deve essere straordinariamente intelligente, non deve cioè irrigidirsi in posizioni di non necessaria intransigenza classista, e meno ancora pensare di respingere le masse laboriose della Nazione in condizioni di vita sorpassate, la quale cosa non potrebbe essere mai tollerata dal fascismo italiano.
Quando la Camera aggiornò i suoi lavori, mi pare nell'agosto, il ministro Bonomi ebbe un duplice viatico, un viatico di voti, un'enorme maggioranza, come non si poteva nemmeno sognare, e il trattato di pacificazione. Io credo che l'onorevole Bonomi non si sia fatto illusioni sulla reale efficienza di quel voto di maggioranza.
Quanto al trattato di pacificazione io devo farne parola perché molto se n'è discusso in questi giorni. Il trattato di pacificazione fu voluto indubbiamente da uomini di nobile sentire, preoccupati delle condizioni nelle quali la Nazione si trovava in quel periodo di tempo. Ma devo riconoscere che il merito precipuo della stipulazione di questo famoso e famigerato trattato deve essere assegnato al Presidente della Camera: egli fu di un'abilità portentosa per superare tutti gli ostacoli procedurali e di sostanza, perché fino all'ultimo momento, quando già si trattava della firma, l'onorevole Musatti sollevò le ultime eccezioni; furono trattative lunghissime, estenuanti, non se ne poteva più; e, d'altra parte, la coscienza nazionale reclamava energicamente un atto, un gesto, un qualche cosa che significasse volontà di pace.
Così venne alla luce il famoso trattato. Il quale ha dato quello che poteva dare.
Tutti dobbiamo riconoscere in questa Camera che da allora le spedizioni punitive fasciste in grande stile come quella di Sarzana, come quella di Treviso, come quella di Viterbo, non si sono più verificate.
D'altra parte s'è visto che il Governo con le sue misure di semplice polizia non ha potuto e non ha saputo fronteggiare la situazione.
I comunisti erano al di fuori del trattato, ma i socialisti non erano in buona fede quando lo firmarono, e lo hanno dimostrato con una similitudine curiosa; paragonando cioè il loro partito al galantuomo assalito da furfanti: il galantuomo consegna la pelliccia salvo l'indomani a far arrestare e fucilare i furfanti stessi!
Non è vero, onorevole Ferri, che quelle giornate di Roma siano la conseguenza della denunzia del trattato di pacificazione. Non è vero. Non è vero dal punto di vista cronologico, perché il trattato di pacificazione è stato formalmente denunziato all'indomani delle giornate di Roma.
Ma, a proposito di queste giornate, bisogna dire qui una parola di obbiettiva sincerità. Io riconosco, subito, che il fascismo nelle sue masse, nelle sue masse profonde non era preparato politicamente a conquistare le simpatie di Roma e non era preparato nemmeno moralmente. (Commenti, rumori).
È ridicolo e significa dar prova d'incomprensione dei fenomeni storici attribuire al fascismo italiano una specie di profanazione della storia e della gloria della capitale.
Noi fascisti, unici fra tutti i partiti italiani, abbiamo scelto giornata di festa il 21 aprile, annuale della fondazione di Roma; noi, per tutta la nostra forma mentis, per tutto il nostro stile, siamo degli esaltatori di tutto ciò che è romano. Non voglio qui esaltare Roma perché poeti, filosofi, pensatori prima di me e in modo magnifico lo hanno fatto; ma noi fascisti non possiamo dimenticare che Roma, questo piccolo territorio, è stato una volta il centro, il cervello, il cuore dell'impero; non possiamo dimenticare nemmeno che a Roma, su questo breve spazio di suolo, si è realizzato uno dei miracoli religiosi della storia, per cui un'idea che avrebbe dovuto distruggere la grande forza di Roma è stata da Roma assimilata e convertita in dottrina della sua grandezza.
Per tutto questo noi, senza contare le nostre reminiscenze letterarie, senza contare Carducci e d'Annunzio, noi siamo degli ammiratori, degli esaltatori di Roma, ed io in particolar modo insorgo e protesto contro certe manìe provinciali, perché la storia è stata sempre fatta dalle grandi città. Può qualche volta la storia finire in un piccolo villaggio, ma è concesso soltanto alle grandi agglomerazioni umane, alle grandi città, di determinare gli eventi capitali della storia.
C'è stato un fenomeno di incomprensione tra i fascisti e la popolazione romana e sono così sincero da ammettere che la simbologia fascista, pittoresca, se si vuole (commenti a sinistra), ma ricordante troppo da vicino i simboli della fase estrema della guerra, abbia urtato una popolazione come quella di Roma, che è fondamentalmente edonistica, cioè portata a vivere tranquillamente la propria giornata, con una psicologia speciale, dovuta al fatto che sulle mura di Roma si sono abbattute orde e civiltà di tutti i tempi.
I fascisti credevano che il popolo di Roma fosse loro contrario; viceversa il popolo romano credeva che i fascisti fossero venuti a Roma per fare chi sa quale mai fantastica spedizione punitiva.
Io ricordo che nel discorso dell'Augusteo dissi ai fascisti parole durissime, come forse non ne poteva dire nemmeno un socialista; dissi che era eccessivo il saluto ai gagliardetti; ma vi faccio considerare che le fedi che sorgono sono necessariamente intransigenti, mentre sono transigentissime le fedi che declinano e muoiono. (Approvazioni a destra).
Ed anche a proposito dell'Augusteo pareva che esso fosse stato schiantato dalle fondamenta. I danni, verificati minuziosamente, si riducono a 18.000 lire, e, quando voi considerate le condizioni eccezionali del momento, non sono eccessivi.
Sono così obiettivo da riconoscere che l'atteggiamento del Governo in quell'occasione può essere giustificato fino al giovedì sera. Il Governo tollerando lo sciopero generale non poté infierire sui fascisti e viceversa, ma il giovedì sera la situazione era mutata. Giovedì sera partirono i primi cinquecento operai fascisti del Grossetano. Il Governo ha portato per quattro giorni sulle sue braccia uno sciopero generale, che doveva essere fronteggiato fin dal giovedì sera, e solo domenica mattina e lunedì mattina si è ricordato che esiste un famoso articolo 56 che era applicabile ai ferrovieri scioperanti.
Molto si è gridato contro i danni dell'Augusteo che assommano a 18.000 lire, ma dei milioni di danni che lo sciopero dei ferrovieri romani e napoletani ha recato alla Nazione intera nessuno ha parlato. (Applausi a destra, interruzioni all’estrema sinistra).
È stato denunciato il trattato di pacificazione, e qui l'onorevole Dugoni è venuto con voce melodrammatica a gridare: Non si vive più! È verissimo. Io voglio immediatamente associarmi all'affermazione dell'onorevole Dugoni: non si vive più!
Noto che molti dei fascisti uccisi sono proletarî. (Commenti). Ricordo che il giorno in cui a Trieste cadeva ucciso il povero Müller, a Castel S. Pietro cadeva ucciso Remo Ravaglia, che non era un pescecane, non era uno sfruttatore del proletariato, ma un popolano fascista. E l'altro giorno a Bologna è morta una seconda vittima dell'agguato social-comunista di Castel S. Pietro, Giuseppe Barnabei, proletario, tanto proletario che ha lasciato la moglie e cinque figlioli.
Ebbene, leggendo le parole pronunziate da quell'umile proletario, mentre stava per morire, ho ripensato ad un periodo di un libro di Maeterlinck, il poeta belga, sulla saggezza e il destino. Dice il sommo poeta belga che il destino concede a tutti gli uomini, siano essi grandi o piccini, intelligenti o no, di compiere durante la loro vita un gesto di grandezza, di pronunziare una parola di grandezza.
Ebbene, quell'umile proletario, dopo essere stato confortato dalla religione, ha chiamato il padre e ha detto: «Hanno fatto male lassù a ferirmi, ma perdono loro». Voi sentite nelle parole estreme di questo oscuro bracciante qualche cosa che ricorda l'invocazione del Cristo che, crocefisso, perdonò i crocefissori. (Commenti). E veniamo ai fatti di Trieste. Io ho deplorato il fatto, apertissimamente, e lo deploro ancora oggi. Ma mi sono opposto e mi oppongo alla speculazione che su questo cadavere è stata inscenata dai social-comunisti, in malafede, perché, tra l'altro, il Müller non era comunista, non era socialista. (Commenti). Aveva nelle tasche una tessera della Società generale liberale Triestina, una della Società operaia e una della Lega Nazionale. Non solo. E qui la tragedia raggiunge veramente dei confini che stanno fra il sanguinoso e il grottesco: questo ucciso durante le ultime elezioni avrebbe lavorato per il blocco nazionale e avrebbe dato il voto preferenziale all'onorevole Giunta! (Commenti).
Voi vi siete afferrati a questo cadavere e ci avete speculato, ed avete dimenticato quello di Castel S. Pietro, ed avete negato a noi ogni sincerità di umanità e di partito!
Signori, io mi ricordo che quando si metteva in dubbio la vostra sincerità a proposito della vostra deplorazione dopo gli eccidî del Diana, voi protestavate con voce indignatissima. Noi vi chiediamo la reciprocità. Dovete credere alla nostra sincerità. Delitti come quelli di Trieste non danneggiano la compagine interna del comunismo che in modo appena percettibile, ma non giovano nemmeno al fascismo, perché non è nella linea di questa tragica altalena che si può trovare utilità da alcuna parte.
Noi dunque, almeno dal punto di vista politico, siamo sincerissimi quando deploriamo altamente episodî come quelli di Trieste. (Commenti).
Ma è proprio il caso di dire salus ex inimicis nostris. Voi avete risposto ai fatti di Trieste con uno sciopero tipografico generale. Io ho spezzato il vostro sciopero. Questo vi dimostra che i tipografi non sono tutti con voi. Non solo, ma annunzio che tutte le volte che vi sarà uno sciopero politico, al quale aderiranno i tipografi, il Popolo d’Italia uscirà egualmente! (Applausi all’estrema destra, rumori all’estrema sinistra).
Voi ricadete nello stesso errore di stancheggiare la massa operaia con una serie di scioperi... (Approvazioni, rumori all’estrema sinistra).
I socialisti ufficiali italiani hanno ormai tagliato tutti i rapporti con la Terza Internazionale. Non mi rivolgo a loro quindi in questo momento, ma ai comunisti quando contesto loro il diritto di lagnarsi di certi eccessi, di certe violenze compiute dai fascisti. Voi comunisti avete nella vostra tattica, nella vostra dottrina, l'esercizio del terrore. Anche oggi in Russia si continua a fucilare su tutta la linea. Sessanta persone sono state fucilate a Pietrogrado, e sessantatré a Odessa. (Applausi a destra, commenti, rumori all’estrema sinistra).
Voi dite che queste sono opinioni di un giornalista venduto alla vile borghesia; ma, allora, io vi prego di leggere gli scritti di un noto anarchico, di Luigi Fabbri, il quale racconta sul suo quotidiano che a Pietrogrado si è fucilato un anarchico, reo di avere avuto un momentaneo contatto con un agente provocatore della Ceka, che sarebbe la polizia russa attuale. (Rumori all’estrema sinistra, commenti).
Del resto, quando vi ponete sopra il terreno della forza (e la forza fatalmente ha degli episodî di violenza) non siete più in grado, non avete il diritto di lagnarvi se il fascismo vi attacca. (Vivi rumori all’estrema sinistra).
Onorevole Bonomi, vi si chiedeva una politica: voi ci avete dato una politica frammentaria, incoerente, acefala. Io non nego, per esempio, che l'onorevole Vacirca abbia delle doti per essere un eccellente questore socialista, perché egli sa che si poteva impedire l'agglomeramento dei fascisti in Roma, sia impedendo la loro partenza, sia impedendo il loro arrivo. (Rumori all’estrema sinistra, ilarità). Ora l'onorevole Bonomi, davanti a questa situazione aveva, a mio avviso, tre atteggiamenti diversi da prendere.
Tentare di schiacciare le due opposte fazioni. Diciamo subito che, per quello che riguarda noi, è assai difficile; ed aggiungo che la cosa non è scevra di pericoli, perché domani, e fascisti e comunisti, sottoposti quotidianamente ad un martellamento di polizia, potrebbero finire anche per intendersi... (ilarità, applausi all’estrema sinistra, commenti) salvo a conflittare energicamente dopo per la ripartizione del bottino (commenti), anche perché io riconosco che fra noi ed i comunisti non ci sono affinità politiche, ma ci sono affinità intellettuali. (Commenti).
Noi, come voi, riteniamo che sia necessario uno Stato accentratore ed unitario, che imponga a tutti i singoli una ferrea disciplina; con questa differenza, che voi giungete a questa conclusione attraverso il concetto di classe, e noi ci giungiamo attraverso il concetto di nazione.
Il Governo dell'onorevole Bonomi poteva appoggiarsi all'una delle fazioni per distruggere l'altra: non ha scelto questo secondo sistema, e ha preferito invece di vivacchiare alla giornata, di dare ragione un po' a tutti, di credere che una crisi politica così profonda come quella che ci travaglia possa essere risoluta attraverso a semplici, difformi ed incoerenti misure di polizia.
Ammessa dunque l'esistenza di una crisi che non si è aggravata, ma non segna nemmeno un accorciamento del nostro periodo di convalescenza, la soluzione quale può essere?
Io qui comincio a parlare più da spettatore che da attore. Ci potrebbe essere una soluzione extra-parlamentare, un Gabinetto di funzionarî e di tecnici, l'aggiornamento della Camera, la dittatura militare. (Vivaci commenti all’estrema sinistra).
Io non mi sono mai lasciato convincere da queste sirene, non ho mai creduto a queste suggestioni, anche se venivano da generali a spasso che credono di avere la ricetta specifica con cui si salva il mondo; ed anche perché la carta della dittatura è una carta grossa che si giuoca una volta sola, che impone dei rischi terribili, e, giuocata una volta, non si giuoca più.
C'è un'altra soluzione: l'appello al Paese, le nuove elezioni generali. (Si ride, commenti).
Io so che voi siete sicuri del vostro corpo elettorale, ma non credo di andare errato dicendo che la sola eventualità, lanciata così a scopo di polemica, di nuove elezioni, vi dà un leggero brivido lungo il filo della schiena. (Commenti, interruzioni all’estrema sinistra). Si tratterebbe dunque di provare con un terzo esperimento che il suffragio universale, integrato dal sistema proporzionale con scrutinio di lista, non può dare Governo diverso dall'attuale, che cioè non può essere possibile un Governo di partito, ma s'impone un Governo di coalizione. Escluse queste eventualità, occorre vedere se il crogiuolo di Montecitorio offra possibilità nuove.
Vi dico subito che non c'è nulla nel paese che denoti la volontà, in questo momento, di crisi ministeriale. (Commenti). Il Paese, nei suoi strati profondi, nelle sue moltitudini laboriose, quelle che infine formano la base della Nazione, è stanco, ha bisogno di quiete e tranquillità. (Commenti).
Questa Camera può prendere un'iniziativa del genere? Prima di tutto con quali uomini?
Si fa il nome dell'onorevole Nitti. Noi siamo avversarî tenacissimi di quest'uomo. Siamo contrarî a tutta la sua politica e soprattutto ad una sua mentalità che lo induce a misurare tutto il complesso fenomeno della storia umana sotto la specie del lato economista. (Commenti). Nitti dunque è da escludere in questo momento. D'altra parte, dopo le sassate che l'onorevole Labriola tirò nella piccionaia della democrazia unitaria, ci si domanda se questa non dovrà avere un primo esodo degli elementi nittiani, perché l'uomo che l'onorevole Labriola voleva colpire era l'onorevole Nitti.
L'onorevole Giolitti? Verso questo statista convergono sempre delle grandi simpatie. Del resto la storia è una successione di posizioni logiche e sentimentali; non si rimane sempre fissi nell'eterno amore o nell'eterno rancore. La vita è un continuo riconquistarsi. Gli amici di ieri diventano i nemici del domani e viceversa: questa è la vita. (Commenti). E voi dovete pensare al portato del relativismo o delle teorie di moda. Ciò è vero anche prescindendo da Einstein, che è un'intelligenza superiore.
Non è mia volontà parlare dell'onorevole De Nicola. Quest'uomo, piacendo a tutti, corre il rischio di dispiacere a tutti domani. (Ilarità, commenti).
La situazione politica non è veramente cambiata. Si aspettavano i congressi dei grandi partiti e ci sono stati. La situazione poteva essere data da un atteggiamento transigente di collaborazione del partito socialista; ha trionfato invece la tesi dell'intransigenza, sia pure formale.
La novità poteva essere data da un atteggiamento del partito popolare, cioè da un atteggiamento anticollaborazionista. Ma il partito popolare è un partito di pragmatisti fenomenali, che fanno la storia giorno per giorno: relativisti avant les lettres, che non hanno nemmeno lo scrupolo di collaborare con la massoneria, che non hanno nemmeno lo scrupolo di collaborare coi socialisti e forse nemmeno con noi, purché sia dato a loro una quota parte abbondante del bottino ministeriale. (Ilarità).
Dopo le elezioni io lanciai la candidatura dell'onorevole Meda, obbedendo a una logica di buon senso. Io dicevo, l'unico partito forte non solo nel Parlamento, ma nel Paese, forte per tradizioni politiche, morali, religiose e anche per la sua costituzione organica di partito, è il partito popolare. È il più numeroso che ci sia alla Camera: ha 107 deputati. Siccome il partito popolare non si ritira mai sull'Aventino ed è collaborazionista per definizione, è naturale che all'onorevole Meda tocchi logicamente il posto di presidente del Consiglio. Ma anche l'onorevole Meda pare che non voglia saperne, ragione per cui noi siamo ridotti al Ministero dell'onorevole Bonomi, il quale non è un Ministero di forza, ma è un Ministero di comodo (commenti), cioè il Ministero che tutti accettano apertamente, ma che intimamente tutti sopportano.
L'iniziativa di una crisi non viene, dunque, dal Paese e non può venire, per la situazione immutata dei partiti, nemmeno dei partiti più forti che siano alla Camera. Il partito socialista continua a rimanere sull'Aventino. C'è la democrazia sociale-liberale, che chiameremo unitaria, a scopo di brevità dei nostri nominalismi politici. La democrazia unitaria non può prendere essa stessa l'iniziativa di una crisi, perché rivelerebbe troppo apertamente il suo giuoco. Il pubblico direbbe: siete appena nati, avete appena messo i denti e avete un appetito così formidabile? (Commenti, ilarità).
E allora, signori, per uno di quei paradossi che non sono nuovi nella storia degli individui e dei popoli, e specialmente nella storia dei parlamenti, l'iniziativa di una crisi potrebbe partire dal Ministero stesso o meglio dai ministri democratici del Gabinetto Bonomi, i quali, parodiando Leopardi, potrebbero dire alla loro democrazia: «il seggio che mi desti, ecco ti rendo!». (Ilarità). Ma non credo, e me ne appello al mio amico onorevole Gasparotto, non credo ci siano tra i componenti del Gabinetto attuale delle intenzioni così manifestamente suicide. (Ilarità).
E allora la situazione, come vi dicevo, è per se stessa, per sua definizione, statica. Non ci potrà essere una nuova combinazione ministeriale, se non quando i socialisti si decideranno a spezzare il cerchio della loro intransigenza puramente formale; sino a quando la democrazia unitaria non avrà dato a se stessa un contenuto programmatico e una disciplina, che sino a oggi è totalmente mancata.
Noi votiamo contro il Ministero, non per determinare delle crisi, perché noi siamo estranei a questo giuoco per la nostra stessa posizione politica. Lo faremo per dovere di coscienza. E avrei finito, onorevoli colleghi, se non dovessi rispondere qualcosa all'onorevole Ferri, che è stato assai temperato nel suo discorso.
Veramente non è il caso di intraprendere una discussione sul positivismo e sullo spiritualismo, e io non presumo di essere depositario di una verità qualsiasi; ma quando l'onorevole Enrico Ferri parlava di trapassi di civiltà, enunciava una proposizione esclusiva, mi pareva di sentire la voce dei tempi lontani, come talvolta accade che il rombo dell'onda marina si oda ancora nel cavo di una vecchia conchiglia, abbandonata sopra un vecchio mobile di casa. (Ilarità).
Noi non ci intendiamo su questo terreno; voi socialisti siete testimoni che io non sono mai stato positivista, mai, nemmeno quando ero nel vostro partito. Non solo per noi non esiste un dualismo fra materia e spirito, ma noi abbiamo annullato questa antitesi nella sintesi dello spirito. Lo spirito solo esiste, nient'altro esiste; né voi, né quest'aula, né le cose e gli oggetti che passano nella cinematografia fantastica dell'universo, il quale esiste in quanto io lo penso e solo nel mio pensiero, non indipendentemente dal mio pensiero. (Rumori). È l'anima, signori, che è ritornata.
Ora se voi partite da queste premesse spirituali, allora vi sono di quelli i quali non vogliono capire che il fascismo non è più un fenomeno passeggero, ma è un fenomeno che durerà, si trasformerà. Io lotto per trasformarlo.
Perché qualche volta voi utilizzate quello che io vado dicendo contro gli stessi amici, come io utilizzo quello che dicono i comunisti contro gli anarchici, e gli anarchici contro i comunisti.
E voi, non volendo comprendere questo fenomeno, ed essendo incapaci di battervi sul terreno pratico per una ragione che io ho già esposto, perché il vostro materiale umano è inefficiente sul terreno della violenza, allora voi, con una contraddizione palese, formidabile, dite: dateci un Governo, che sarebbe un Governo borghese, ristabilite l'impero della legge, voi vi spiegherete certi aspetti apparentemente paradossali del fascismo italiano.
Vi si può dividere in due categorie di fronte al fascismo: alcuni di voi sono nella posizione del perfetto misoneista. (Bravo!). Tutte le mattine vi alzate e domandate: è finito? Non è finito! Passa questo ciclone? Non passa! E allora negate ostinatamente come il medico aristotelico nel «Dialogo dei massimi sistemi» che negava la circolazione del sangue, pure dovendola ammettere poiché la prova la ammetteva.
Ma pur senza disturbare le grandi ombre dei trapassati, c'è qualche cosa di recente che può darci qualche spiegazione di questa vostra cecità.
Quando nel 1873 sorse il partito operaio a Milano, lo stesso, identico atteggiamento che voi tenete di fronte al fascismo, fu tenuto dagli uomini della democrazia. Ettore Croce, Cavallotti, Romussi, che erano dei grandi ingegni, non potevano concepire il sorgere di questa nuova forza destinata a spostare l'asse della lotta civile, a mutare la posizione di predominio politico e morale della democrazia.
Ripeto, voi ricorrete all'ausilio del Governo, chiedete protezione alla forza di un Governo che è Governo borghese, e non sapete uscire da questa contraddizione in cui si annulla tutto il vostro programma. (Interruzioni all’estrema sinistra, vivi commenti).
Giunto al fine del mio discorso io pongo il dilemma: o pacificazione o guerra civile. L'onorevole Dugoni deve scegliere uno dei corni di questo dilemma, e deve dire se sceglie il primo o il secondo.
Noi ci sentiamo così forti che non abbiamo esitazione su questo terreno. Io vi rispondo subito che noi accettiamo il primo corno del dilemma, la pacificazione (commenti) per delle ragioni umane, o signori, perché i morti sono pesanti per tutti (approvazioni) e anche per ragioni politiche.
Io ho l'impressione, notate, potrei sbagliarmi, che la coscienza europea vada ritrovando faticosamente se stessa dopo i lunghi erramenti del dopo guerra, e che ritorni sulla strada della saggezza. I sintomi abbondano. Ho l'impressione che il 1922 possa essere un anno fatidico, come lo fu il 1914 che segnò lo scoppio della guerra mondiale, come lo fu il 1918 che segnò la fine delle ostilità. Forse il 1922 vedrà l'altra fine, con la revisione di tutti i trattati di pace, che non hanno dato e non potevano dare, sotto la mentalità di guerra, la pace al mondo. (Commenti).
L'Italia ha già una parte assai grande nella determinazione dei nuovi destini del mondo. È necessario che cessi il nostro guerreggiare interno, in modo che l'attenzione dei nostri circoli dirigenti e dell'opinione pubblica del popolo italiano, nel suo complesso, sia portata oltre le frontiere, e concentrata su quegli avvenimenti che maturano e che sono destinati a trasformare ancora una volta la carta europea.
Perché, il dilemma è questo: o una nuova guerra, o la revisione dei trattati! (Benissimo! Rumori, commenti).
Io ricordo che nel 1919, fra i postulati del programma dei Fasci di Combattimento, era detto chiaramente che si dovessero rivedere tutti quei trattati che contenessero in sé il fomite di nuove guerre.
Ora, siccome le popolazioni, esaurite, stremate, sfinite, che vogliono vivere (oramai, a mio avviso, il pericolo della catastrofe per la nostra civiltà è superato), non possono pensare alla guerra e devono premunirsi dalle guerre, ciò potrà essere dato solo dalla revisione dei trattati di pace.
È necessario allora che l'Italia si presenti nell'arringo delle Nazioni unita, compatta, libera dai fastidî d'ordine interno, in modo che possa dimostrare al mondo che ci guarda, perché ormai la nostra vita non è nazionale e nemmeno europea, ma mondiale, che l'Italia ha splendidamente superato la prova della guerra, che vuole la pace, e che dimostra con ciò di essere in grado di iniziare il quarto e più luminoso periodo della sua storia. (Vivissimi applausi a destra, rumori all’estrema sinistra, commenti, molte congratulazioni).
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Giovanni




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MessaggioInviato: Mar Feb 17, 2009 2:40 pm    Oggetto:  
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L'INDIRIZZO POLITICO DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA

Discorso pronunciato a Milano, nella sala superiore del teatro Lirico, la mattina del 4 aprile 1922, durante la seconda giornata del convegno del consiglio nazionale del partito fascista.
Nella prima giornata, tenutasi il pomeriggio del 3 aprile, era stata trattata la questione adriatica. Mussolini aveva proposto che si prendessero in esame questi tre argomenti:
1) questione di Fiume;
2) azione politica;
3) azione sindacale.
Poi aveva proseguito nei termini seguenti:
“Si tratta di sapere che cosa è Fiume per noi. Questo chiarirà la nostra posizione nei riguardi di Fiume, del trattato di Rapallo e nei riguardi anche del movimento legionario. Si discuterà poi dell'azione politica, poiché si tratta di sapere se noi dobbiamo diventare astensionisti, oppure se dobbiamo continuare per la strada, eccellente a mio avviso, seguita fin qui. In terzo luogo discuteremo dell'azione sindacale per sapere se dobbiamo abbandonare il sindacalismo fascista seguito finora, oppure no.
Propongo che, sull'argomento fiumano ci diano dei lumi coloro che a Fiume sono stati protagonisti degli ultimi avvenimenti. Intanto tengo a dichiarare che l'unico uomo in Italia che abbia fatto un gesto squisitamente fascista è l'on. Giuriati ". (Applausi). "Finalmente si è trovato uno che ha saputo obbedire. Perché qualche volta bisogna avere l'orgoglio e l'umiltà di sapere obbedire ". (Applausi)

Era seguita la discussione, durante la quale Mussolini aveva pronunziato un discorso, « illustrando un ordine del giorno » proposto « per chiudere la discussione sull'argomento ». Infine Giuriati, Rocca e Mussolini erano stati incaricati di compilare un ordine del giorno che riassumesse « i criteri prevalsi nel convegno ». La mozione, che era stata approvata all'unanimità, diceva

Il Consiglio nazionale fascista, riunito a Milano il giorno 3 aprile 1922, presa in esame la questione adriatica;
invia un reverente saluto ai morti ed ai combattenti che a prezzo di sangue compirono il 3 marzo la seconda riaffermazione del diritto italiano su Fiume;
chiede al Governo italiano che impedisca una riassunzione del potere da parte di Zanella e che nell'attesa del compimento del destino naturale di Fiume, già espresso col voto plebiscitario del 3 ottobre 1918, vengano prese immediatamente a favore della città e del porto di Zara, tutte le provvidenze economiche necessarie a farli rifiorire; impegna i deputati del Gruppo ed il Partito ad agire perché non sia effettuato lo sgombero della terza zona, visto che la Jugoslavia non ha ancora adempiuto alle clausole favorevoli all'Italia e soprattutto allo spirito informatore del trattato;
invita gli onorevoli Giuriati, De Stefani e Giunta, insieme con Balbo e Bastianini, a compilare sollecitamente un " libro " nel quale sia ampiamente documentata la parte avuta dal fascismo negli avvenimenti fiumani nel marzo 1922.

Come vi dicevo ieri, questa discussione in un certo senso è inutile, se si tratta di arrivare attraverso a questa discussione ad una modificazione programmatica, che non può essere fatta che da un congresso nazionale. Ma è utile in quanto la situazione politica, economica, morale e nazionale del fascismo, muta di giorno in giorno; ragione per cui necessita di quando in quando prospettarci tutti gli elementi della situazione per vedere quale tattica noi dobbiamo seguire di fronte alla nuova situazione di fatto.
Dopo l'articolo di Grandi, che tutti avrete letto, il dibattito ha esaurito gran parte del suo interesse perché Grandi ha fissato chiaramente i termini di questo preteso dissidio. In gran parte tutti i dissidi sono dissidi di temperamento e di mentalità e di stato d'animo. Vi sarebbero, insomma, due concezioni: quella del colpo di Stato, e della marcia su Roma, e l'altra, che è la mia da due anni a questa parte. Ora bisogna sappiate che in un certo periodo di tempo non ho escluso dai calcoli delle probabilità la rivoluzione violenta, come non la escludo in modo assoluto per il domani. Non si può ipotecare l'avvenire.
Oggi si tratta, come dice Grandi nel suo articolo, di inserire, sempre più intimamente e profondamente, il fascismo nella vita totale della nazione italiana. Bisogna intanto porsi dinanzi agli occhi tutti gli elementi della situazione, assai complessa : la situazione economica accenna a migliorare; i cambi sono stabilizzati e c'è un sintomo di ripresa industriale. Gli operai hanno superata l'ondata di pigrizia ed. hanno una manifesta riluttanza a scioperare. Evidentemente, per dirla in volgare, gli operai non vogliono rinunziare all'uovo oggi per la ipotetica gallina social-comunista di domani.
Quanto alla situazione politica, ecco alcuni elementi degni di rilievo; spuntano da ogni parte giornali nittiani; l'Epoca, il Mondo, il Paese, ed a Milano il Secolo ed altri minori. Alcuni di questi giornali nittiani, sembra tendano a circuire elementi che vivono in margine al fascismo. È sintomatico che taluni legionari, dopo avere inclinato al comunismo, trovano larga ospitalità sul Mondo, argano di quei nittiani che una volta sputarono tutto il veleno della loro anima obliqua contro D'Annunzio e l'impresa di Fiume. Quando io parlo di dittatura militare non bisogna intendere che essa sarebbe esercitata necessariamente e soltanto come forza di reazione contro gli operai e i contadini. Niente affatto. I primi ad essere puniti sarebbero qualche dozzina di bolscevichi borghesi, pi o meno « democratici », che hanno fatto all'Italia certamente tanto male quanto ne hanno fatto gli incoscenti e fanatici del Pur.
La tendenza di molte forze. politiche di sinistra e del centro è chiara. Si cerca di isolare moralmente e materialmente il fascismo. Il voto della Camera non ha molta importanza: 82 contro 71. Si dirà che è un voto raccattato all'ultima ora. Dovete però considerare che all'estero la vita politica di una nazione appare attraverso le discussioni parlamentari.
In Europa si è constatato che il Parlamento italiano ha isolato il fascismo. La nostra situazione oggi non è dunque brillante. Ed è per questo che mi piace lottare. Quando il vento è in poppa, tutti sono capaci di tenere il timone. Traccio la situazione colla freddezza di un clinico. Quell'alone di simpatia che ci seguì nel 1921 si è attenuato. Popolari, repubblicani, socialisti, comunisti, democratici, ci sono contro. Non faremo più assolutamente blocchi. I democraticî che hanno utilizzato i nostri giovani deputati per presentarsi alle folle ed oggi li abbandonano, dovranno pagare la loro truffa. Il fascismo nelle prossime elezioni cercherà di determinare la massima ecatombe dei deputati appartenenti all'equivoca sinistroide plutocratica democrazia parlamentare. (Applausi).
Chi sono i nostri amici? I liberali sono ancora quelli che non ci fanno la forca. Questi liberali in fondo sono innocui: hanno una simpatia per noi come in genere i vecchi hanno simpatia per i giovani. Ma io comincio a diffidare energicamente delle attestazioni di simpatia dei nazionalisti. Non vorrei che essi fossero i pescicani del fascismo; che ci sfruttassero e si arricchissero alle nostre spalle. Intanto non faremo più il loro gioco parlamentare, che consiste nel farci fare le parti di forza. L'ori. Misuri, che continua a rivolgermi delle epistole chilometriche, dopo essere stato convalidato dal fascismo, passa al nazionalismo e il nazionalismo lo accoglie. Riassumendo noi non abbiamo amici. Le simpatie del vasto pubblico si sono attenuate e sono in ogni caso mutevoli.
Dobbiamo contare solo sulle nostre forze; sulla nostra saggezza e sulla nostra fede. Perché accanto ai pericoli esterni del fascismo, vi sono anche i pericoli. interni. Bisogna che la Direzione del Partito sia straordinariamente severa nel soffocare tutti quei tentativi di secessionismo automatico, alcuni dei quali possono spiegarsi per ragioni passionali (come a Firenze), ma altri hanno un carattere grottesco, come a Taranto.
Un altro fatto sul quale richiama la vostra attenzione è quello di un possibile contrasto o meglio della possibilità che gli elementi squadristi possano ad un dato momento imporre la loro volontà agli elementi dirigenti politici del fascismo. Questo pericolo è stato sempre chiaro agli occhi dei dirigenti. Ora bisogna dire due cose: prima di tutto che bisogna mantenere in assoluta efficenza tutto il nostro esercito, il suo inquadramento, il suo attrezzamento. Non bisogna farsi illusioni che la bestia social-comunista abbia rinunziato alla lotta, malgrado i suoi pianti e le sue false lamentazioni.
D'altra parte però bisogna evitare il pericolo che questi elementi diventino materia malleabile per tutti quelli che vogliano figurare per poco o per molto come i capitani di ventura del fascismo.
Poiché di blocchi non si parlerà più, bisognerà affrontare il problema dell'elezionismo. Bisogna sapere se siamo parlamentari o antielezionisti. Ed in questo caso saremo con gli anarchici o con i mazziniani puri.
Gli uni e gli altri non contano affatto come forza politica. Bisogna che il fascismo dichiari nettamente che è elezionista e cioè che partecipa coscientemente alla lotta elettorale. La volta scorsa abbiamo fatto i blocchi; la prossima volta non li faremo più. Ma tutti i partiti sono elezionisti : i comunisti ed i nazionalisti stessi. E nessuno mai ha avuto paura che il parlamentarismo sia 1'infangatore di tutte le coscienze. Nello stesso Parlamento italiano vi sono stati uomini e ve ne sono ancora che in trenta anni di vita parlamentare si sono mantenuti onesti e illibati. Se uno è corruttore e corrompibile, lo sarà anche fuori del Parlamento. E soprattutto bisogna dire che è ora di non tenere i deputati nello stesso conto nel quale erano tenuti dai socialisti: di farne la testa di turco ad ogni occasione. Non deve essere permesso diffamare uomini come quelli che siedono sui nostri banchi. Non è permesso chiamarli complici della delinquenza nazionale. E soprattutto non bisogna credere che noi siamo là per tramare, per fare la politica di corridoio. E non bisogna credere che questi corridoi siano una specie di misteriose catacombe dove si va a cospirare. Il fascismo fa parte della maggioranza: benissimo. Deve forse imitare il Partito del Rinnovamento, che alla fine si è sbandato senza nulla avere combinato?
Non bisogna nemmeno escludere l'eventualità di una partecipazione dei fascisti al potere dello Stato. Bisogna affermare che se domani sarà necessario ai fini supremi della nazione, i fascisti non esiteranno a dare i loro uomini al governo dello Stato.
Si dice: ritorniamo alle origini! Alle origini non si ritorna. Il. grido ritornare alle origini applicato nella vita e nella storia è di una imbecillità perfetta: è il preciso sintomo della impotenza senile. Il fascismo è grande perché è nato da un piccolo gruppo e da una immensa passione; ma oggi è grande anche perché si è sviluppato e non è rimasto una conventicola di impotenti. Se uno resta alle origini resta bambino. La forza è di non ritornare alle origini. Non è possibile storicamente e moralmente tale ritorno. D'altra parte non c'è da attendere. A Milano, l'on. Grandi disse due cose importanti: che il fascismo doveva considerarsi come una sintesi eretica e di tre movimenti a loro volta eretici; e disse anche che il fascismo non doveva rimanere sulla montagna, ma scendere sulla pianura della realtà. E ciò perché il mondo oggi va in fretta. Noi oggi siamo già dei veterani. La nazione oggi non può attendere: essa è malata moralmente ed economicamente. Sarebbe ridicolo, bestiale e criminoso che noi in questo momento eccezionale imitassimo il gesto prudente di Ponzio Pilato.
E veniamo alla violenza. Bisogna avere il coraggio di dire che c'è una violenza fascista legittima e sacrosanta. Ma mettersi dietro una siepe, andare nelle case, non è fascista. Non è umano e non è italiano. Anche la cronaca delle bastonature deve finire. A poco a poco si determina uno stato d'animo negativo nei nostri confronti. A poco a poco la opinione pubblica si allontana da noi. Bisogna ridurre la violenza alla legittima difesa.
La conclusione è questa: permettere al fascismo parlamentare di agire e non vessarlo, con un pignolismo critico, deprimente e intollerabile; mantenere in efficenza le nostre squadre perché sono una garanzia del nostro movimento e delle nostre idee; imporre assolutamente l'egemonia del pensiero politico fascista; e, soprattutto, mantenersi fedeli al nostro statuto e al nostro programma.
Bisogna avere uno spirito un po' largo di tolleranza. Non possiamo essere tutti uguali: appunto in questa varietà è la forza e la bellezza della vita.
Ho fiducia nel movimento fascista soprattutto ora. Perché credo che a poco a poco tutti questi elementi venuti a noi da tante parti finiranno per amalgamarsi. È un'opera un po' difficile, ma non impossibile. Il Partito Fascista deve essere Partito di azione politica, non frammentaria o caotica e profittatrice per certi individui e per certe categorie. Deve essere un movimento di realizzazione in cui ognuno, capo e gregario, si affatica giorno per giorno coll'animo e la volontà tesa verso la mèta : il benessere e la grandezza della nazione italiana.
(Il discorso di Mussolini è coronato da unanimi, calorosi applausi)
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UGO PEPE

Discorso pronunciato a Milano, nel cimitero monumentale, dalla scalinata del Famedio, il pomeriggio del 26 aprile 1922, durante i funerali del fascista Ugo Pepe, assassinato dai socialcomunisti il 22 aprile 1922.

Siamo venuti tutti a renderti l'estremo onore e l'estremo rimpianto, o nostro eroico compagno caduto! Non i soli fascisti milanesi, ma i fascisti di Genova, di Venezia e di altre città sono accorsi qui a te, quasi a dimostrare che nelle grandi ore la grande famiglia fascista italiana non ha che un palpito solo. Ci sono i veterani poiché tu eri un veterano, uno della prima ora, uno della vigilia. E ci sono anche quelli che sono venuti a noi nel secondo tempo, e attorno c'è stato tutto il popolo milanese. Anche il piccolo popola che ci ha visto sfilare ed ha avuto ancora una volta lo spettacolo della nostra invincibile potenza. Noi vorremmo piangere in quest'ara; ma noi non ti consideriamo alla stregua di tutti i morti. Tu eri un soldato. Noi siamo dei soldati della tua causa. Possiamo ascoltare e raccogliere il grido di tua madre: « Non vendetta, ma giustizia ». Una prima, una grande, una significativa rappresaglia morale è stata quella che noi abbiamo compiuto oggi; ma se i nemici della nazione non desistono dal loro criminale sistema di lotta, noi crediamo, o. nostro compagno caduto, di onorare degnamente e santamente la tua memoria accettando la battaglia sul terreno che i nostri avversari ci impongono.
È triste; ma è fatale. Doloroso; ma è necessario. Sono forze in contrasto; sono forze tese. Una di esse deve scomparire. Come veramente ancora una volta il massimo Poeta di nostra gente coglieva nel segno quando parlava di una « virtù che scende per li rami », non è senza un profondo significato, o amici fascisti, che il nipote di quel generale che nel 1848-'49 corse a difendere Venezia, il nipote di questo purissimo e grande patriota sia venuto nelle nostre file, sia accorso sotto i nostri gagliardetti. Evidentemente sentiva la voce del sangue che gli diceva che un discendente da una famiglia di nobili patrioti non aveva altra bandiera da scegliere che non fosse quella sulla quale sta inciso il romano e superbo fascio littorio. Non abbiamo bisogno che i morti rivendichino le nostre virtù e la nostra probità, anche se parole di scherno e di ingiuria sibilano nell'atmosfera infuocata delle passioni. Qui, al cospetto di questo nostro caduto, caduto compiendo non il grande dovere ma l'umile dovere, poiché, qualche volta, bisogna sapere compiere l'umilissimo dovere, noi possiamo affermare che il fascismo, nella sua anima, nella sua struttura, nella sua volontà, nella sua religione, è il movimento più puro che fiammeggia sotto il cielo della Patria.
Compagno caduto, noi ti facciamo due promesse. La prima è questa nessuno di noi procederà alla piccola vendetta o a piccole rappresaglie. I nostri nemici cospirano nell'ombra e tramano qualche altro colpo contro la nazione! Sarà quella l'ora in cui noi impegneremo il combattimento di massa.
Noi ti promettiamo di conservare nei nostri cuori viva e vigile la tua memoria; ci ripromettiamo di seguire il tuo esempio.
Ti collochiamo sull'altare del martirio fascista insieme ai cento e cento giovinetti che hanno saputo consacrare, che hanno voluto celebrare la loro purissima fede con il loro purissimo sangue.
Addio, o compagno! Questa parola mi strazia profondamente, perché ho raccolto, si può dire, il tuo ultimo anelito di vita. Ma tu vivi in noi. Ma tu ci precedi, tu ci insegni, tu ci sproni a compiere ora e sempre, con nobiltà, con purezza, con sincerità il nostro dovere verso il fascismo e verso la Patria.
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