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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Sab Nov 08, 2008 4:31 pm Oggetto: Scritti di Giovanni Gentile sulla Vittoria della 1° G.G. Descrizione: |
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Camerati e amici del Covo,
pubblico in esclusiva per Voi, da oggi, in occasione dei 90 anni dalla conclusione dela Grande Guerra, gli scritti che Giovanni Gentile raccolse in un volume delle edizioni "LaVoce" (la più bella esperienza letteraria della storia d'Italia), riguardanti la Vittoria e il Suo significato.
Inutile ribadire quanto attuali siano tuttora e quanto fosse geniale Gentile, una delle menti migliori mai esistite.
Prefazione
Gli scritti qui raccolti furono già pubblicati sparsamente in giornali e riviste, nel primo anno dopo la vittoria, che concluse per noi e, si può dire, per tutti la guerra mondiale. Sono frammenti, anch’essi, come quelli che radunati in altro volume sotto il titolo di Guerra e fede; ma frammenti di un concetto costante della politica italiana della guerra e del dopoguerra, e del pensiero italiano, storico e filosofico, a cui tale politica va ricollegata: un concetto, che illumina i fatti e rende ragione delle idee, con cui questi fatti si devono guardare, chi non voglia cadere nel vano e stupido pessimismo di coloro, che, anche a guerra finita, giungono a pensare che essa, per tutti i popoli e segnatamente pel nostro, sia stato un evento arbitrario e accidentale, che uomini più accorti o diversamente orientati avrebbero potuto evitare, o indirizzare per altra via; e si domandano ancora a che sia servito tutto questo orrendo macello.
Quale concetto sia sarebbe inutile adombrarlo in questa prefazione, se esso non tralucesse dagli scritti in questa prefazione, se esso non tralucesse dagli scritti seguenti. Tra i quali il lettore troverà il commento al fatto o all’idea del giorno, e troverà saggi di una speculazione astratta, che gli potrà parere remota da ogni vero e proprio interesse politico. Ma confido che in tutti risentirà un motivo fondamentale, che può giovare a discernere e fissare il concetto, che io ho variamente propugnato lungo questo travagliato periodo di delusioni e inquietudini d’uomini, di classi e di popoli, che è succeduto alla guerra. E dal quale ho per fermo che usciremo così lentamente che nessuno se ne accorgerà. Ma usciremo non inquinando, come altri va ripetendo, il passato, che in quanto tale s’è liquidato da sé, ma costruendo una vita nuova, che è già nata, e già si sviluppa attraverso a questo nostro travaglio, e dimostrerà coi fatti, fra qualche decennio, perché la guerra fu combattuta, e quale trasformazione profonda essa doveva dolorosamente generare.
Molte cose si sperarono dalla guerra che parevano grandi all’immaginazione popolare, ed erano, almeno le più, assai piccole alla meditazione dello storico. E le speranze ad una ad una sono cadute, o vanno cadendo. Chi si ricorda più, per esempio, della Società delle nazioni, per cui si commossero tanti cuori? Viceversa, le conseguenze maggiori, che effettivamente nasceranno dalla guerra, gli uomini non le hanno prevedute, non ci hanno pensato e non ci pensano. E sono le conseguenze intrinseche, necessarie e immancabili, che non dipendono dal beneplacito dei tigri e dei leoni della politica o di altri animali feroci, ma dallo stesso spirito dei popoli, che è quello ci si fa da s e s tesso, come lo spirito dei singoli individui.
Chi non ha tanto sentimento d’umanità, e stavo per dire tanta fede religiosa, da saper guardare a questa storia interiore dove ogni evento umano, anche politico, anche economico, matura, non troverà niente di interessante e di serio in questo libro. Egli è avvertito: questo libro non è per lui. E alzi pure le spalle, e dica che in questo libro si fa della politica, che non è politica. L’ultimo scritto riprodotto in questo volume mi dà il diritto di non tener conto di questi giudizi.
Roma, 20 gennaio 1920
G.G _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Sab Nov 08, 2008 5:27 pm Oggetto: Descrizione: |
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1. IL SIGNIFICATO DELA VITTORIA
Non possiamo dire ancora quanto sia vicina la pace, e non abbiamo bisogno, né voglia di predire il futuro. Quel che importa sopra tutto è che la pace è già sorta sull’orizzonte, e la vediamo a giorno a giorno avanzare insieme con la vittoria degli Alleati degli Imperi centrali, mente una convinzione penetra sempre più addentro nell’animo dei nostri nemici: la convinzione della fatalità e ineluttabilità della loro sconfitta e della conseguente necessità d’una pace che sia il riconoscimento effettivo della supremazia nostra. E poiché la pace non può essere altro, in sostanza, che questo riconoscimento, e quindi l’accettazione della volontà contro la quale si combatteva, si può ben dire che la pace non è più desiderio, né una speranza, ma un fatto reale. Un fatto, ben inteso, come tutti i fatti reali non è propriamente un fatto compiuto, ma un fatto in via di compiersi.
La pace, insomma, è la vittoria: e la vittoria si svilupperà fino al segno fatale del crollo di tutte le forze avverse; ma nel suo sviluppo, come celebrazione, ancora sanguinosa, ma per ciò stesso più solenne, del suo avvento, è meta già gloriosamente raggiunta, è conquista già definitiva dei popoli dell’Intesa, e per essi della umanità.
La guerra è perduta ha detto il nemico. E’ tempo di aprire gli occhi e guardare coraggiosamente al proprio destino, e accettarlo con animo forte. Socialisti e conservatori lo vengono ripetendo nel cuore della Germania desiderosi di arrestare la patria sulla china del precipizio, per cui è avviata: e sulla quale non sarebbe ora possibile dire a qual punto si arresterà. Certo, la Germania di sei mesi fa è scomparsa dalla faccia del mondo. Quel blocco, che pareva già attuare l’ideale superbo della Mitteleuropa, e formare la base granitica al più vasto edificio di dominio universale del germanismo; quel blocco, il quale minacciava di soffocare tutti gli sforzi che la umanità offesa nel suo profondo sentimento di un diritto inviolabile opponeva alla prepotenza di una forza spietatamente organizzata, quel blocco è infranto: la Germania, spinta da’ suoi alleati di ieri, a raccomandarsi al presidente degli Stati Uniti, come la maggiore de’ suoi nemici, dichiarandosi pronta alla pace sulla base delle condizioni da lui stesso una volta indicate, si volge indietro, e si trova isolata, costretta a difendere da sola le ultime richieste e a salvare, se non la potenza, l’onore. La Germania del Kaiser, che era la Germania di Naumann, e sopra tutto la Germania di Hindenburg, di Ludendorff e di von Tirpitz, non esiste più. “Bisogna fare sacrifici”, diceva ieri Massimiliano Harden al popolo di Berlino. “Anche l’imperatore tedesco deve farne. Egli deve adattarsi a vivere nella nuova Germania e nella nuova Prussia, deve limitarsi ad impersonare la nazione, ed a precludere ai suoi successori ogni possibilità di recar danno alla nazione. Non più l’imperatore deve gettarsi nella lotta, nell’arte, nella cultura e nella politica; deve dichiarare solennemente di subordinarsi alla nuova Germania, e di non volere essere che il primo cittadino della Germania”. E poiché Guglielmo II era appunto questo imperatore, che voleva essere il primo nella lotta, e guidare e dominare con la sua opinione non pure nella politica, ma nella cultura e nell’arte e nella religione, e imporre la fede e la missione al suo popolo, egli è tramontato; e con lui la Germania, che s’addensava attorno a lui, come attorno al simbolo delle proprie aspirazioni e della propria anima _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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Marcus Cittadino Fascista-Gruppo ADMIN


Età: 50 Registrato: 02/04/06 11:27 Messaggi: 2613 Località: Palermo
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Inviato: Sab Nov 08, 2008 7:29 pm Oggetto: Descrizione: |
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Quintox la domanda forse ti parrà cavillosa ma, non essendo al prima volta che lo fai ed avendo più volte dibattuto al riguardo sul tema, desideravo sapere a chi ti rivolgi di preciso quando qui sul Covo scrivi ai...camerati? _________________ " Forse che non conoscendo a fondo il pensiero del Duce si può affermare di essere fascisti? Noi diciamo di no! Che il fascismo non è istinto ma educazione e perciò è conoscenza della sua mistica,che è conoscenza di Mussolini" (N. Giani) |
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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Sab Nov 08, 2008 9:15 pm Oggetto: Descrizione: |
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Marcus ha scritto: | Quintox la domanda forse ti parrà cavillosa ma, non essendo al prima volta che lo fai ed avendo più volte dibattuto al riguardo sul tema, desideravo sapere a chi ti rivolgi di preciso quando qui sul Covo scrivi ai...camerati? |
A voi... perchè?  _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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Dvx87

Registrato: 04/04/06 07:04 Messaggi: 2336
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Inviato: Dom Nov 09, 2008 1:17 am Oggetto: Descrizione: |
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perchè qui siamo cittadini non camerati!  |
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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Dom Nov 09, 2008 8:06 am Oggetto: Descrizione: |
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Dvx87 ha scritto: | perchè qui siamo cittadini non camerati!  |
Ah, d'accordo...
Allora userò "Cittadini fascisti", che suona meglio  _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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Marcus Cittadino Fascista-Gruppo ADMIN


Età: 50 Registrato: 02/04/06 11:27 Messaggi: 2613 Località: Palermo
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Inviato: Dom Nov 09, 2008 8:11 am Oggetto: Descrizione: |
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...ecco Quintox il fatto che tu continui a definirci per ciò che non siamo, perché quì NON SIAMO CAMERATI MA CITTADINI FASCISTI, dimostra insomma che ,o perché non vuoi leggere quanto scriviamo o perché ti rifiuti di comprenderne il significato, vi é chiaramente incompatibilità tra il nostro modo di vedere le cose ed il tuo...non te la prendere ma mi pare una constatazione evidente. _________________ " Forse che non conoscendo a fondo il pensiero del Duce si può affermare di essere fascisti? Noi diciamo di no! Che il fascismo non è istinto ma educazione e perciò è conoscenza della sua mistica,che è conoscenza di Mussolini" (N. Giani) |
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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Dom Nov 09, 2008 9:18 am Oggetto: Descrizione: |
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Se non va bene il termine, non lo si usa, per me non vi sono problemi. _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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Dvx87

Registrato: 04/04/06 07:04 Messaggi: 2336
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Inviato: Dom Nov 09, 2008 11:15 am Oggetto: Descrizione: |
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perfetto!  |
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tribvnvs Cittadino Fascista-Gruppo ADMIN


Registrato: 04/04/06 23:22 Messaggi: 2097
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Inviato: Dom Nov 09, 2008 11:27 pm Oggetto: Descrizione: |
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Senti Valentino, per curiosità, ma non lavori più a quel'iniziativa che dovevate fare con Martorana e minkiella.net? Già sprofondato tutto? |
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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Mar Nov 11, 2008 1:39 pm Oggetto: Descrizione: |
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tribvnvs ha scritto: | Senti Valentino, per curiosità, ma non lavori più a quel'iniziativa che dovevate fare con Martorana e minkiella.net? Già sprofondato tutto? |
Come ti ho detto al telefono Giacomo, ora è tutto finito. _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Lun Nov 24, 2008 4:52 pm Oggetto: Descrizione: |
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La scomparsa di un uomo avrebbe scarso significato storico, se quest'uomo non rappresentasse la tendenza di un popolo, e quindi una forza realmente operante. E ne è anche l'istituzione, che nell'uomo s'incarna, e con l'uomo o nell'uomo si vuole oggi abolita, potrebbe col suo sparire importare conseguenze considerevoli, se la istituzione non fosse già stata profondamente radicata nella storia e nella coscienza nazionale, e se il sistema, di cui l'istituzione è organo, non avesse già avuto un solido fondamento nella realtà politica, sociale, economica, spirituale della nazione. Che è, come tutti sanno, il caso della Germania. Della cui iniziativa allo scoppio della guerra, della cui teoria di lotta devastatrice ignara di ogni legge d'umana pietà nel corso della guerra, della cui ostinata protervia in una politica sfidatrice di ogni minaccia della pubblica opinione e degl'interessi dei neutri nella condotta della guerra, pur di raggiungere presto la meta; e sopra tutto del cui programma di istaurazione violenta e subitanea d'un predominio vastissimo ad onta di ogni principio di diritto ideale, nella presunzione, tra misticamente fanatica e mestofelicamente mentita, d'una superiorità indiscutibile di razza e di civiltà; di tutto ciò sarebbe puerilità vana attribuire individualmente la responsabilità a Guglielmo II, o all'uno o all'altro dei suoi consiglieri: quantunque non sia da revocare in dubbio anche la loro precisa responsabilità personale.
Il capo di un governo, finché egli non sia deposto o lo rappresenti legalmente, ha una personalità che non si limita alla sua individualità, ma abbraccia e contiene la volontà del suo popolo. Egli fa soltanto quello che il suo popolo vuol fare. E quali che possano essere i piccoli inganni onde un governo può influire sulla opinione pubblica, e indirizzarla al segno che a lui piaccia, tutto ciò non può riguardare altro che il patricolare; ma il complesso e l'indirizzo generale della vita di una grande nazione moderna non può essere che il prodotto delle libere forze native del popolo stesso. Le quali non si può né anche dire che agiscano alla cieca, senza nozione del fine a cui altri possa rivolgerle: perché esse acquistano coscienza di sé a grado a grado che si vengano sviluppando; né lo sviluppo stesso sarebbe possibile senza la predeterminazione progressiva delle filnalità singole e complessive a cui quelle forze si indirizzano. Nel caso della Germania anzi si può parlare piuttosto di un eccesso di consapevolezza e di riflessione, onde quel popolo, non meno alacre e tenace nell'elaborazione speculativa e dottrinale che nel perseguimento pratico dei fini della sua condotta, ha per mezzo secolo lavorato instancabilmente a tracciare a se stesso l'iedale e il programma del suo avvenire, nell'insieme e nel dettaglio, a teorizzare la sua politica, ad alimentare di proposito la sua fede, ad esasperare le proprie energie conquistatrici, con alta e baldanzosa coscienza della loro potenza e con orgoglioso concetto della mira a cui fossero da rivolgere. Nessun altro paese del mondo ha avuto mai, in pari intervallo di tempo, e fatte pure le debite proporzioni tra l'esuberante produzione letteraria tedesca e quella delle altre più civili nazoni, così gran numero di trattati di politica e di programmi nazionali. Chi non conosce ormai la ricca letteratura del pangermanesimo? La quale ebbe bensì le simpatie e gl'incoraggiamenti di Gugliemo II o d'altri dei maggiori responsabili della politica germanica; ma fu essenzialmente prodotto affatto caratteristico e schietto e genuino dello spirito nazionale. Prodotto inesplicabile, per esempio, senza due fatti, che non dipendono certamente dalla volontà di nessuno di quegli individui responsabili: la sovrappopolazione e la sovrapproduzione industriale: condizioni, si badi, e non cause del pangermanesimo.
Dietro agli individui, dunque, sta il popolo con la sua volontà; che, a sua volta, non è una qualunque velleità capricciosa, ma un saldo, complesso processo storico, in cui consiste appunto l'individualità concreta del popolo stesso. Il che non scema, come ho detto, la responsabilità personale, di chi questo popolo rappresenta, per quella stessa ragione per cui si può dirsi che egli rappresenti il suo popolo dentro i limiti della sua costituzione politica e della sua stessa politica realtà. Giacché la volontà d'un popolo è la stessa volnotà di chi lo governa, e la volontà di chi lo governa è la stessa volontà del suo popolo. Né l'uno né l'altro dei due termini, finché il rapporto duri, può crearsi un alibi nella volontà dell'altro. _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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AquilaLatina

Registrato: 07/05/07 21:34 Messaggi: 1482 Località: Stato Nazionale Fascista
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Inviato: Sab Nov 29, 2008 12:00 pm Oggetto: Descrizione: |
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Citazione: |
Che è, come tutti sanno, il caso della Germania. Della cui iniziativa allo scoppio della guerra, della cui teoria di lotta devastatrice ignara di ogni legge d'umana pietà nel corso della guerra, della cui ostinata protervia in una politica sfidatrice di ogni minaccia della pubblica opinione e degl'interessi dei neutri nella condotta della guerra, pur di raggiungere presto la meta; e sopra tutto del cui programma di istaurazione violenta e subitanea d'un predominio vastissimo ad onta di ogni principio di diritto ideale, nella presunzione, tra misticamente fanatica e mestofelicamente mentita, d'una superiorità indiscutibile di razza e di civiltà;
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Guarda un po come parole scritte nel 1919 erano ancora valide nel 1939... |
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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Sab Nov 29, 2008 4:29 pm Oggetto: Descrizione: |
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Orbene, con Guglielmo II cade la Germania di Guglielmo II, che è e non è la Germania di Bismarck. La quale infatti constava di elementi diversi, parte vitali perché veri, e parte falsi e destinati a perire. La Germania vera e vitale, uscita dal genio e del gran Cancelliere, instauratrice della propria unità, questa Germania recante in sé una grande idea, com’è quella della costituzione politicamente unitaria d’un popolo, che ha coscienza della propria unità e personalità, e che aspira quindi a realizzare nel sistema effettivo della vita internazionale del mondo la propria natura spirituale, questa Germania non poteva morire, e accenna invero a crescere e svilupparsi ulteriormente, destinata ad assorbire prima o poi nel suo circolo vitale gli elementi tedeschi dell’Austria. (Anche qui G. Gentile si rivela più profetico che mai, ndr).
La nazionalità non va astrattamente considerata come presunta comunità di fatto, naturale o storica, in ambo i casi considerata come base preesistente al diritto politico. La nazionalità è essa stessa in concreto una realtà dinamica che si realizza in virtù della conoscenza comune d’un popolo, la quale non presuppone, ma crea con la propria attività la sostanza comune di cui è coscienza. Un popolo insomma è un popolo, moralmente e politicamente, in quanto si sente un popolo; o nelle memorie o nelle speranze de’ suoi scrittori, ma anche sopra tutto nella volontà operosa ed efficace onde si fa valere nel mondo. Di guisa che il valore del principio di nazionalità consiste tutto nella stessa energia spirituale che gli corrisponde, ed è maggiore o minore in ragione del grado e della potenza di questa energia. Nessun dubbio, infatti che dove s’afferma una forza spirituale, ivi è vita, che va rispettata, è bene che ridonda a incremento della somma dei beni, che forma il valore del mondo. Ma la Germania che il genio di Bismarck trasse dalle vittorie del ’66 e del ’70, e s’accampo quindi minacciosa nel mezzo dell’Europa, superba della sua forza, sicura tanto di sé quanto spregiatrice degli altri, con l’animo volto a un vasto programma economico e politico, ma senza più un’idea di valore universale, sospettosa e guardinga verso la sua grande vicina dell’Occidente, prostrata e umiliata, ma perciò anelante forse alla riscossa; questa Germania, fervente di vita industriale, ma pronta sempre a roteare il suo provato pugno di ferro, crebbe nell’esaltazione e nel culto di sé, grandeggiando nell’ombra, che, volte al sole le spalle, proiettava innanzi a sé, convinta d’essere la nazione destinata al dominio perché privilegiata di una soverchiante potenza, fatta di carattere e di forza interiore. Una nazione che aveva avuto filosofi della originalità e genialità di un Leibniz, di un Kanti, di un Hegel, s’era ridotta al pedantesco scolasticume di un Wundt, di un Natorp o di un Cohen, o al bolso dommatismo di un Eucken, quando non si chiudeva, modestamente, nelle prudenti riserve del Windelband e della sua scuola. La religione stessa, attraverso la teologia a base di critica storica e di filologia, era presso a svanire in una vaga e impalpabile professione di fede puramente formale ed estrinseca. Nessuna idea viva e vigorosa usciva più dal cervello tedesco, nessuna profonda ispirazione, ideale e morale, nutriva il movimento della sua cultura, rimasta sempre apparentemente rigogliosa per l’abbondanza delle sue esterne manifestazioni, anzi divenuta veramente lussureggiante; ma più vistosa che sostanziale, più solida pel meccanico congegno della sua pratica alimentata interiormente. Grande ostentazione di apparato scientifico, e ogni idea distesa a trattazione sistematica in opere voluminose; e trattati ed enciclopedie e grandi imprese per collaborazione di forze ingenti e numerose, e apprestamento di lessici e manuali d’ogni sorta di sussidi estrinseci del sapere. Vasta mole, ma priva dell’anima che potesse agitarla e avvivarla. Il vero spirito scientifico, che scaturisce da un orientamento generale degli spiriti nel mondo superiore delle idee, che è lo stesso mondo della storia in cui tocca all’uomo di realizzare il progresso con lo slancio creatore dell’ingegno, e richiede perciò una filosofia, una fede, un pensiero capace di sollevare le menti, nel loro complesso, verso un’altra meta, come alla Germania stessa era accaduto nel periodo romantico; questo spirito era assente. Quindi il dispregio cinico, con la degenerazione materialistica dei concetti immanentistici propugnati dal pensiero germanico della prima metà del sec. XIX venne diffondendo nell’anima tedesca, verso quegl’ideali umanitari e giusnaturalistici, che la filosofia classica tedesca aveva bensì superati, ma non aveva perciò messi da parte e annullati. E invece la Germania di Bismarck e degli epigoni si fece quasi un vanto di sostituire ai principii le forze, e al diritto della forza, e agl’ideali la realtà, predicando quella politica realista, che la catastrofe di questa tragica guerra può darsi le insegni quanto poco sia realista.
Giacché in fatto di realismo politico bisogna intendersi. Il realismo ha un aspetto negativo, ma ne ha, e ne deve avere anche uno positivo. Esso ha un valore semplicemente negativo come critica dell’astrattezza del moralismo politico, o della politica dei principii, e questo valore gli deriva non, come spesso si crede, dalla profonda deficienza che esso scorge tra i principii ideali e le forze reali del meccanismo sociale o, come più brevemente si dice, tra la morale e la politica, ma tra morale astratta e politica concreta; ed è quella differenza stessa che distingue non solo la politica, ma anche la morale concreta dalla morale astratta. La quale non è altro che la morale stessa della vita realmente vibrante del sentimento morale, ma considerata da un lato solo, e quindi astratta dalla vita in cui la morale si realizza: considerata cioè nel suo solo aspetto obiettivo, storicamente determinato sempre in funzione dell’uomo, che si conforma a una data legge, obiettivamente concepita come obbligatoria, perché rappresentante per lui la soluzione di un reale problema sorto dalla sua situazione personale, ossia dallo svolgimento stesso della sua personalità. C’è la legge, e c’è la volontà; e staccata da questa diventa qualcosa di astratto, che si può continuare illusoriamente a credere ancora legge; ma legge non è più, perché le manca il completamento necessario del volere. Una legge, che trascenda la storia, cessa per ciò di essere legge.
Ma tale critica della trascendenza della legge non importa già la negazione di questa; bensì solo la negazione dell’astrattezza della legge. E questo è il principio negativo del realismo; il quale, per altro, non sarebbe men falso dell’idealismo a cui si contrappone, se dopo aver negata quell’astrattezza, che è l’effetto della separazione della legge dalla volontà, non ristaurasse la unità dei due termini, e non reintegrasse il concetto stesso della volontà, come volontà della legge. La morale infatti, viva e vera, non è solo volontà, personalità, carattere, nel suo vigore e nella sua potenza, onde liberamente interviene nel mondo e vi celebra la propria forza originale, creatrice, e perciò responsabile; ma è volontà buona, cioè volontà, che nella sua individualità determinata, nell’atto in cui si realizza, è razionale, ossia quale deve essere, conforme alla sua legge. E qui, in questo suo lato positivo, sta il vero significato del realismo, e la sua importanza. _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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Quintox
Età: 38 Registrato: 02/04/06 20:14 Messaggi: 226 Località: Padova
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Inviato: Ven Dic 05, 2008 5:03 pm Oggetto: Descrizione: |
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Lo spirito tedesco degli ultimi tempi piegò invece al concetto meramente negativo del realismo; e per esaltare l’elemento soggettivo, la volontà, la forza, annullò l’obiettività della legge, ossia il momento proprio del diritto. E in questo senso tornò al Machiavelli, com’è stato tante volte rilevato, sforzandosi tuttavia di non essere trascinato dalla ferrea logica del pensatore fiorentino a quelle conseguenze estreme, che è merito dell’ingegno e della sincerità del Machiavelli avere coraggiosamente affrontate. Anche pel Machiavelli, conviene avvertirlo, la questione non è politica nel senso che riguardi soltanto, come s’è creduto, vita dello Stato, e non riguardi quella dei privati; né postula una morale pubblica diversa dalla privata. Tutte distinzioni pericolose, le quali possono servire a scuotere le fondamenta della moralità, pubblica o privata che si chiami, in quella ch è la sua propria ed unica sede, la coscienza dell’uomo, sempre individuo, ma non mai privato.
Il problema di Machiavelli è politico, appunto perché è problema essenzialmente morale; esso è il problema della volontà, da lui astratta dal suo valore, e cercata come pura volontà, come forza capace di creare l suo mondo (il principato, per Machiavelli) indipendentemente da ogni giudizio intorno al suo valore di bontà. La famosa virtù, di cui parla il Machiavelli, non è, come tutti sanno, abito etico, ma forza, cioè energia, tenacia del volere illuminato nel fine e nei mezzi. Né egli si propone d’insegnar altro che questo: che cosa sia, e che in che consista siffatta virtù. Problema che in Machiavelli, nel fiorire del Rinascimento italiano, ha il suo grande significato storico; ma che doveva necessariamente incontrare l’opposizione e la lotta di tutte le concezioni storiche del diritto e della morale, appena fosse rilevato nell’angustia dei limiti, in cui il Machiavelli, da stretto rappresentante dello spirito del Rinascimento, era portato a chiudere il suo concetto della volontà. Tutto il Rinascimento, come è noto, è rivendicazione, o meglio, per la prima volta, affermazione del valore dell’uomo per la potenza che egli è capace di spiegare sul mondo delle forze naturali e storiche; ossia del valore dell’uomo come individuo. Donde la contrapposizione celebre di virtù (volontà umana, empiricamente intesa, come volontà dell’individuo) e di fortuna (complesso di cause naturale o sociali, di cui lo sforzo dell’arbitrio umano, singolarmente preso, deve trionfare). Affermazione che, come un primo passo contro la trascendenza delle legge rivelata o immediatamente stabilita, tradizionale o altrimenti limitatrice della libertà dell’uomo, e quindi presupposta come un antecedente dello svolgimento dell’individuo, era senza dubbio un gran passo; anzi fu la rivoluzione operata dal Rinascimento contro il dommatismo medievale; ma aveva un gran difetto, che fu pure il germe della decadenza dell’Italia. Il difetto era, che questa celebrazione della volontà creatrice e signoreggiatrice così degli Stati come di ogni realtà storica, mirava a una volontà individuale, e in generale allo spirito del momento dell’individualità, che è la radice dell’opera artistica, ma non è il reale soggetto della storia. Chi non lo sa? L’attività creatrice dello spirito individuale – che prescinde dal tutto, e si espande nella sua assoluta libertà nel mondo infinito che si dispiega al di là e al di sopra dell’esperienza e in generale della vita universale e compatta del pensiero – è sufficiente a creare il sistema coerente e saldo, nella sua sfera, della realtà artistica; ma questa è una realtà in cui lo stesso individuo creatore non si ritrova nella sua realtà effettuale, perché quella realtà ha la coerenza e la saldezza d’un sogno.
E’ un sogno, ossia un’opera d’arte, è la creazione dell’artista, sia che l’artista chiamisi Ludovico Ariosto, sia che si chiami il duca Valentino, l’eroe del Principe; mirabile evocatore, dal caos delle forze preesistenti, di un principato, che fu certamente un portento di virtù; atto a colpire la fantasia del Machiavelli, vagheggiatore di quell’ideale opera d’arte che era per lui uno Stato; ma effimero, perché privo di un vero fondamento storico della realtà, violentemente costretta a piegarsi alla volontà individuale, e non più reale quindi d’un mondo fantastico, saldo anch’esso finché non si esca dal campo della fantasia, ma pronto a dissiparsi e svanire appena incontri l’urto del tutto, che forma il sistema dell’esperienza.
Il machiavellismo dunque (affrettiamoci a chiudere questa parentesi è la concezione della volontà sottratta alla legge del mondo reale, in cui consiste la storia e il fondamento reale razionalmente riconosciuto della volontà stessa, e da cui soltanto le sarebbe dato di attingere quella universalità, che è l’indefettibile carattere di ogni attività veramente e pienamente spirituale. Una volontà che cera la storia, ma non ne presuppone la realtà; che crea il diritto, e gettando la base al costume sancisce la morale, ma è di là della morale, e non ha un diritto innanzi a sé.
Per una tale concezione il trattato è un pezzo di carta al modo stesso che un principio di diritto ideale non è altro che una vuota ideologia di chi disconosce il potere creativo delle forze storiche. Ogni fatto, in quanto tale, è legittimo, poiché il diritto non può essere altro che la conseguenza del fatto. Il diritto non è, in nessun mondo, al di qua della volontà che lo impone, e da cui soltanto può farsi valere. E questa fu la schietta concezione prevalente nello spirito della Germania, che parve creata dalla volontà ferrea d’un uomo: grande forza, avente perciò il valore d’una grande legge pel mondo. La caricatura di questa audace teoria anacronistica, ingenuamente profonda in tutto il suo rigore consequenziario, è la famosa dottrina, d’invenzione schiettamente tedesca, della così detta creazione libera del diritto, dello stesso diritto privato; per cui, al postutto, il giudice, interpretando, non applicherebbe la legge, ma la creerebbe di pianta: che è la più mostruosa confusione che possa essere generata nel campo pratico da un’astratta concezione speculativa.Anacronistica, ho detto, perché altro è il Rinascimento, sorto dall’Umanesimo, che fu una intuizione estetica del mondo, - che, esteticamente apparisce infatti cerato dall’individuo; altro il nostro tempo, tutto compreso nel senso dell’irrealtà dell’individuo astratto dalla storia, nel più ampio senso della parola. Oggi non c’è più bisogno di ritornare alla trascendenza medievale per riconoscere la realtà della legge; poiché questa realtà va cercata insieme con quella della volontà in una unità inseparabile, fuori della quale non c’è volontà umana o forza spirituale, perché non c’è diritto; e non c’è nemmeno vero diritto perché il diritto contrapposto alla libertà perde tutto il suo valore spirituale, che è poi la sua moralità.
La Germania degli ultimi tempi, nello spirito delle sue tendenze e nella sua professione di fede politica concependo il diritto, ossia la volontà sostanziale dello Stato, come astratta forza, soppresse nella sua coscienza così la nozione del bene come quella del diritto. Quel suo concetto di una forza spietata, che, chiusa ad ogni senso di umanità, dovrebbe creare un’umanità nuova, lo Stato pangermanistico, quel concetto, che destò da ogni parte l’abominio del mondo, fu il tallone di Achille della potenza germanica, e la causa remota della sua rovina. Giacché nessuno negherà il valore effettivo degl’interessi, la cui coalizione s’è abbattuta sulla diplomazia e sugl’interessi degl’Imperi Centrali, e principalmente del maggiore di essi; ma nessuno intenderebbe più nulla della storia della guerra se dietro agli interessi non mirasse alle anime, che questi interessi han fatto valere; alle mentalità che si sono schierate di fronte alla difesa degli opposti interessi; alla psicologia, e sto per dire umanità, che è entrata in giuoco fin dal principio, anzi ha preparato la guerra, l’ha combattuta e condotta impetuosamente alla catastrofe, come questione che fosse da risolvere, di vita o di morte. Ora, quella Germania, che volle rinnovare tra il secolo XIX e il XX il problema del Rinascimento, nella sua crudezza, è caduta; e la sua caduta segna l’estremo epilogo del movimento storico iniziato dal Rinascimento; e si può dire che coincida con l’accettazione che con la nota di Massimiliano di Baden essa fece dei principi di Wilson. I quali bensì, nella loro formulazione teorica, possono parere l’astratta antitesi del falso realismo germanico; ma nell’accorgimento dei sottintesi e delle applicazioni che già cominciano a delinearsi, tendono piuttosto a quel sano contemperamento del dinamismo storico della forza, in cui si realizza la volontà dei singoli popoli, con la ferma universalità degl’ideali e delle leggi superiori, da cui o spirito attinge le fede nel valore assoluto delle proprie aspirazioni. Giacché anche la Lega delle Nazioni, se non mirasse ad instaurare una più salda norma delle relazioni internazionali, destinata a svilupparsi anch’essa con lo sviluppo della vita, ossia dell’equilibrio instabile delle forze internazionali, si tradurrebbe in una morta gora, anzi in un baratro, destinato ad inghiottire la povera umanità – se pure un tale baratro fosse concepibile – anzi che riuscire quella garanzia che essa vuol essere, di più alto potenziamento delle energie nazionali ed umane. La Lega delle Nazioni non vorrà ripetere a un secolo di distanza l’utopia sciocca della Santa Alleanza; poiché l’umanitarismo del dottor Wilson non ha niente di simile del misticismo dello Czar Alessandro; né la democrazia delle nazionalità e dell’autodecisione a rovescio il legittimismo del trattato di Vienna. Oggi cade la Germania, ma cade anche l’Austria, cadde pur ieri la Russia e tutte le cittadelle del legittimismo sono smantellate, nel momento stesso che ruit mole sua la più potente creazione di quello spirito, che la Santa Alleanza voleva fronteggiare. _________________ Il culto delle memorie è indice sicuro del grado di civiltà di un Popolo e della coscienza che esso ha della propria forza. |
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