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Filosofia-Idealismo hegeliano

 
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MessaggioInviato: Gio Apr 06, 2006 6:47 pm    Oggetto:  Filosofia-Idealismo hegeliano
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Sembrerà strano, ma anche un certo idealismo è antitetico alla nostra concezione, soprattutto quello più affiliato al razionalismo.

Hegel, l'esponente più in vista dell'idealismo, fa una sintesi che dà la base alla filosofia dialettica di Marx. Infatti Marx sviluppa la dialettica Hegeliana, nel suo materialismo dialettico.

I seguaci di Hegel formano due scuole di applicazione del suo pensiero: la Destra Hegeliana e la Sinistra Hegeliana. Marx supera Hegel e supera queste due scuole, sintetizzando la dialettica materialista, concependola come soluzione delle diatribe e delle velleità dei due soggetti in concorrenza.

L'idealismo non è una corrente univoca. Si diparte in almeno tre filoni. C'è quello di Hegel (poi quello di Marx), quello di Fichte e quello di Schelling.
Ogni filone fa riferimento ad una concezione a sè, per esempio l'idealismo di Gentile, che riforma Hegel, si rifà a quello di Fichte.

idealismo

Si intende genericamente per idealismo ogni concezione filosofica che pone nella mente o nell'idea il principio costitutivo della realtà. Il termine, già presente in Leibniz per designare la "dottrina delle idee" di Platone, trova tuttavia una sua congrua motivazione filosofica soltanto nel pensiero moderno, a partire da Descartes. Si possono distinguere due forme di idealismo: una più propriamente gnoseologica, che mira a individuare nel pensiero le forme del conoscere; e una storicamente circoscritta alle differenti modalità della filosofia dell'Assoluto, quali emersero agli inizi del sec. XIX in Germania.
L'idealismo gnoseologico. L'indagine sulle forme del conoscere nel soggetto nasce in Descartes, che nel riconoscimento della centralità del cogito (io penso), come fondamento della conoscenza e della coscienza, dà luogo a un "idealismo problematico" (secondo la definizione di Kant nella Critica della ragion pura). La fondazione soggettiva del conoscere trova in Berkeley un suo esito radicale: l'idealismo "soggettivo" (oppure, per usare la terminologia kantiana, "dogmatico") di Berkeley nega l'esistenza del mondo esterno (con il principio dell'esse est percipi, ovvero essere è essere percepito), pervenendo a un deciso immaterialismo. La fondazione gnoseologica più solida dell'idealismo si avrà però soltanto all'interno del criticismo trascendentale sulla dottrina della "idealità trascendentale" dello spazio, del tempo e delle categorie. Le forme del conoscere risultano infatti necessariamente presenti nel soggetto conoscente, anche se esigono l'attivazione preliminare dell'esperienza esterna. Non solo Kant non nega l'esistenza del mondo esterno espressa dal limite posto nell'inconoscibilità della "cosa in sé", ma accetta un presupposto realista, connesso alla primarietà delle sensazioni nella sintesi conoscitiva. Così, l'idealismo trascendentale è una confutazione dell'idealismo di Descartes e Berkeley, e un superamento della polarizzazione filosofica tra idealismo e realismo.
Alla propensione gnoseologica dell'idealismo, quale si è espressa nel criticismo kantiano, si richiamano in tempi recenti i più diversi esponenti della tradizione neokantiana, da Ch. Renouvier a H. Cohen, da P. Natorp a W. Windelband. Così pure si è autoqualificato idealismo trascendentale il metodo fenomenologico di E. Husserl: in questo caso il richiamo al trascendentalismo kantiano e al cogito cartesiano si configura come un tentativo di fondare una scienza rigorosa delle "essenze" o idee che muove dalla dinamica intenzionale della coscienza, sì da rendere impossibile e inutile sia l'a priori realista che quello idealista.
L'idealismo come filosofia dell'Assoluto. La sintesi kantiana viene messa in discussione nella filosofia tedesca dall'opera di Fichte, Schelling e Hegel, attraverso la progressiva eliminazione della polarità-limite rappresentata dal concetto kantiano di "cosa in sé". Con Fichte l'idealismo trascendentale diviene marcatamente soggettivo, in quanto l'oggetto si presenta come risultato dell'attività dell'Io, ma al contempo appare come "etico", in quanto predomina in esso la dimensione pratica. L'Io diviene così realtà, anzi fonte assoluta del reale. Con Schelling l'idealismo trascendentale intende farsi "oggettivo", in quanto nell'Assoluto viene ripristinata una polarità Io-natura vista come processo dell'identità.
Hegel critica l'idealismo dei predecessori e tende, da un lato, a generalizzare l'idealismo come proprio di ogni filosofia in quanto momento dello svolgersi dell'Assoluto; dall'altro identifica l'idealismo assoluto con il realismo assoluto, negando che la propria filosofia sia circoscrivibile nella denominazione di idealismo ("L'Idealismo della filosofia - dirà nella Scienza della Logica - consiste soltanto in questo: nel non riconoscere il finito come un vero essere. Ogni filosofia è essenzialmente idealismo o almeno ha l'idealismo per suo principio e si tratta solo di sapere fino a che punto questo principio vi si trovi effettivamente realizzato"). Nell'autorealizzarsi dell'Idea come Assoluto Hegel valorizza la logica dialettica; e in questo può riconoscersi la specificità del suo idealismo.
A questa tradizione dell'idealismo si ricollegano le riformulazioni neoidealistiche, diffuse nelle varie forme dell'hegelismo e in specie in quello italiano e angloamericano. Se con Croce l'idealismo assume la forma dello "storicismo" e dell'umanesimo estetico, con Gentile si ritorna a una modalità etico-soggettiva dell'idealismo, come espressione dell'atto del pensiero pensante, che richiama Fichte. Nella direttrice angloamericana si prospettano forme di idealismo scettico e a sistematico in F. H. Bradley; un'accentuazione mistico personalistica in E. Caird, B. Bosanquet e J. Mc Taggart, una dimensione panteistico-assoluta in J. Royce.

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Ultima modifica di RomaInvictaAeterna il Mer Gen 04, 2012 10:06 am, modificato 3 volte in totale
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MessaggioInviato: Gio Apr 06, 2006 6:49 pm    Oggetto:  
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Hegel, Georg Wilhelm Friedrich
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda 1770 - Berlino 1831) è stato uno dei massimi pensatori dell'Europa moderna, la cui sistemazione filosofica ha profondamente influenzato la riflessione tedesca ed europea in generale, fino ai nostri giorni, e ha dato luogo, in particolare nel sec. XIX, alle distinte correnti della destra e della sinistra hegeliane (v. hegelismo).
LA VITA E LE OPERE
Figlio del segretario ducale Ludwig, Hegel compie a Stoccarda studi umanistici con forte impronta religiosa, in particolare negli 11 anni presso il Gymnasium Illustre della città. Anni di intensa maturazione, in cui scrive un diario (in latino e in tedesco), e alcuni scritti che evidenziano il suo interesse per i rapporti fra società e cultura (come la Religione dei greci e dei romani, Alcune caratteristiche dei poeti antichi). All'Università di Tubinga è borsista del seminario teologico protestante, studia filosofia, matematica, teologia, e pensa di intraprendere la carriera ecclesiastica. Condivide con Hölderlin e con Schelling le esperienze di vita studentesca e i primi entusiasmi politici, come pure il vivo interesse per la Rivoluzione francese. Nel 1790 è magister philosophiae, nel 1793 tiene la dissertazione di laurea e accetta l'occupazione di precettore (a Berna e a Francoforte) mentre continua il suo lavoro filosofico. Produce una Vita di Gesù, la Positività della religione cristiana (1797), lo Spirito del cristianesimo e il suo destino (1797); si occupa di diritto, di economia politica e di storia (lavora alla Costituzione della Germania). Dopo la morte del padre (1799) va a Jena dove già insegna Schelling e dove ottiene la docenza con una tesi Sulle orbite dei pianeti e pubblica la sua prima opera di grande rilievo teorico: Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schelling. Come libero docente tiene corsi a piccoli gruppi di allievi sul sistema della filosofia e sulla storia della filosofia. Nel 1802 fonda e dirige con Schelling il "Kritisches Journal der Philosophie" (Giornale critico della filosofia) e vi pubblica fra l'altro lo scritto su Lo scetticismo nel suo rapporto con la filosofia. Ha un importante rapporto epistolare con Goethe, che conoscerà solo in seguito di persona, e che gli ottiene un incarico retribuito all'Università. Nel 1806 lascia Jena, teatro della battaglia contro le truppe napoleoniche: vi ha composto e pubblicato (1807) una delle sue opere più importanti, la Fenomenologia dello Spirito. In seguito, redige la "Bamberger Zeitung", poi diviene rettore dello Aegydiengymnasium della Baviera, a Norimberga, e in seguito è consigliere scolastico. Nel 1811 sposa Marie von Tucher, da cui avrà due figli (un figlio naturale era nato nel 1807, da un'amica di Jena, e Hegel lo accoglie nella casa coniugale).
Pubblica la Scienza della logica (1812-16, 3 voll.). Nel 1816 ottiene la cattedra di filosofia all'Università di Heidelberg, pubblica (1817) l'Enciclopedia delle scienze filosofiche: logica, filosofia della natura, filosofia dello spirito, e assume la redazione della rivista "Heidelberger Bücher für Literatur". Nel 1818 viene chiamato alla cattedra di filosofia dell'Università di Berlino, succedendo a Fichte. Nella lezione inaugurale esprime la sua consapevolezza di filosofo ufficiale della Prussia e disegna il suo progetto di filosofia della storia. A Berlino rimane fino alla fine della vita, troncata dal colera; nel 1829 è stato fatto rettore. Compie alcuni viaggi per l'Europa (Belgio, Olanda, Praga), le sue lezioni (raccolte postume dagli allievi) attirano molti studenti e suscitano un profondo interesse; i temi trattati riguardano l'estetica, la filosofia della storia, la filosofia della religione, l'Enciclopedia delle scienze filosofiche (queste ultime edite nei tre volumi postumi della "grande Enciclopedia"). Ha pubblicato nel 1821 Lineamenti di filosofia del diritto, ossia Diritto naturale e teoria dello Stato in compendio. Un frutto rilevante del suo successo di filosofo a Berlino sono gli Annali berlinesi di critica scientifica ("Berliner Jahrbücher"), l'organo ufficiale del vasto gruppo degli hegeliani.
Le opere di Hegel furono pubblicate per la prima volta in 21 tomi, dal 1832 al 1845; due edizioni critiche sono state intraprese in questo secolo, a cura di G. Lasson (dal 1911) e di J. Hoffmeister (dal 1952), editore anche di 3 dei 4 voll. delle Lettere. Numerose sono le traduzioni italiane, e particolarmente importante è la sua biografia scritta da Rosenkranz (ed. it. 1966).
LA FILOSOFIA DI HEGEL
"Il reale è razionale, il razionale è reale". Nella celebre asserzione Hegel esprime la sostanza del suo pensiero metafisico e il significato profondo della contrapposizione con Fichte e Schelling, a proposito del problema dell'assoluto.
C'è identità fra realtà e ragione, il finito guardato nella luce della ragione non è tale, è lo stesso infinito; dunque non siamo in presenza di una struttura finalistica, dove indefinitamente si contrappone il finito all'Io, per spiegare il movimento progressivo della natura e della storia; e neppure a un processo di identificazione per annullamento, che ha il suo luogo privilegiato nell'intuizione artistica; anche la riflessione di Kant, che aveva distinto ragione e realtà, indicato i residui inattingibili, affidato il dover essere a un ambito extrarazionale, viene criticata da Hegel come contraddittoria, sebbene rimanga il punto di riferimento da cui procedere. La ragione, scriverà nella Fenomenologia, "è la certezza della coscienza di essere ogni realtà", e dunque la realtà è lo stesso regno dei fini; il compito della filosofia è comprendere e chiarire questo, non proiettare fuori dalla realtà ideali, teorici o morali, come avviene agli uomini e ai momenti storici non filosofici.
Dialettica. Specialmente nell'Enciclopedia Hegel elabora e illustra il concetto di dialettica triadica, che dà conto della struttura stessa della ragione e del reale nel suo dispiegarsi, e mostra come si possano spiegare "scientificamente" le fasi della storia in cui si ha alienazione, assenza di consapevolezza dell'essere razionale della realtà. Il ritmo triadico è quello che passa dall'impostazione dei conflitti - i reali conflitti che la natura e la storia ci fanno continuamente registrare - al momento della pacificazione nella sintesi - dove la ragione diventa autocoscienza e si manifesta il significato positivo di quanto era apparso contraddittorio e negativo. La natura e la storia sono il campo della dimostrazione scientifica del perenne verificarsi di questo ritmo, e portano all'autocoscienza assoluta, che nella dimostrazione riconosce se stessa nella sua pienezza, nella sua assoluta giustificazione. E' da questo motivo che, nei tardi anni berlinesi, Hegel ricaverà la giustificazione assoluta della realtà storica, in particolare del sistema politico dominante in Prussia. Ma è anche dalla riflessione sulla dialettica che negli anni di Jena e nell'entusiasmo dei successi napoleonici Hegel guarda alla filosofia come allo strumento per l'annuncio di una nuova epoca: la realizzazione del regno della ragione è qualcosa, allora, che storia e filosofia sembrano prevedere e promettere, non solo constatare.
Gli anni giovanili di Tubinga e di Jena sono per lui anche gli anni degli studi dei pensatori francesi dell'illuminismo come Diderot e degli economisti, in particolare Adam Smith, che presenta un sistema dell'economia come "scienza", vale a dire come esplicitazione di leggi necessarie, "naturali", anche in un ambito specifico della realtà umana e sociale, analogo a quello del diritto, cui Hegel si dedica con gli studi sulla Costituzione del Württemberg e la Costituzione della Germania. Sono anche gli anni in cui Hegel guarda alla religione come alla realizzazione della sintesi dialettica, al momento più alto dello Spirito (richiamandosi al pensiero di Schleiermacher).
Lo Spirito: fenomenologia ed enciclopedia. Nella Fenomenologia dello Spirito Hegel percorre il cammino che lo Spirito realmente compie per conquistarsi come autocoscienza, e indica uno dei concetti più produttivi, più frequentati dalla riflessione successiva, il concetto di coscienza infelice (nella sezione Coscienza), che emana dall'analisi della relazione servo-padrone in cui si è incarnata la duplicità della coscienza nell'età classica: la coscienza infelice è quella che si nega nella contemplazione della coscienza-altra, quella di Dio (tale è la condizione dello spirito umano all'epoca delle grandi religioni, l'ebraica e la cristiana).
In un'altra sezione, quella dedicata al sapere assoluto, la religione storica viene interpretata come allegoria della ragione stessa, vicenda dello Spirito che passa dall'alienazione alla consapevolezza di sé per sé. Superato l'individualismo scisso del Rinascimento, la ragione si ritrova nel moderno concetto di Stato, che incarna l'eticità dello Spirito e dove scienze (della natura, quelle in cui la ragione scissa rinascimentale credeva di aver colto la verità dello Spirito) e morale si ricongiungono armoniosamente.
Nell'Enciclopedia, con gli approfondimenti specifici della Scienza della logica e della Filosofia del diritto, Hegel ripercorre il sistema dello Spirito assoluto, secondo una disposizione triadica del divenire della ragione che ha nella filosofia neoplatonica un suo esplicito referente (v. neoplatonismo). La scienza dello Spirito è insieme la sua storia, conoscersi è farsi dello Spirito, la logica dello Spirito non può essere distinta come altro dallo Spirito, gli è rigorosamente immanente. E' così che per Hegel logica e metafisica coincidono. Seguendo il ritmo dialettico, il filosofo pone le coppie essere e nulla, identità e differenza, diversità e opposizione. Il significato profondo della sintesi sta, logicamente e ontologicamente, nell'osservazione che nessun termine singolo di una coppia ha senso per sé, ma che ogni termine trova nell'esistenza dell'altro il suo pieno significato. La contraddizione è in realtà il luogo stesso, immanentisticamente, della sua propria sintesi. Se l'Idea è l'insieme dei concetti che costituiscono la vicenda dello Spirito, la natura (che occupa la seconda parte dell'Enciclopedia) è l'alienazione per sé, il mondo opaco dell'altro che non consente né una scienza (su basi materialistiche o empiristiche; v. materialismo; empirismo) né tanto meno una speculazione produttiva che consenta, secondo percorsi classici della filosofia (come la prova cosmologica dell'esistenza di Dio) una qualche illazione ontologica. Hegel non appare sensibile all'immagine di una natura in movimento, luogo di mutamento e di evoluzione, che dalla biologia o da singoli settori della fisica emergeva nel suo tempo, e riproduce una struttura fissa, uno schema sistematico della conoscenza naturale, che non ha comunque rilievo per lo Spirito.
Se nel diritto si configura la forma etica dello Spirito, incarnata nell'idea di popolo e di Stato, nell'arte e, rispettivamente, nella religione e nella filosofia, Hegel considera le tre forme in cui lo Spirito assoluto si realizza e si manifesta.
L'arte manifesta lo Spirito attraverso forme sensibili, e dunque, esclusa ogni finalità utilitaria (educare con il bello ecc.) e ogni tematica di riproduzione della natura, è un modo di manifestare lo Spirito nella sintesi di oggetto (il materiale sensibile) e soggetto (lo spirito dell'artista), esprimendo nella sua purezza il concetto stesso.
La religione è a sua volta una manifestazione, una rappresentazione, dello Spirito, e solo la filosofia della religione, nel considerarla, sa indicarne la natura del sapere del divino: nel passaggio dalla pura fede, dato esteriorizzato che ci troviamo dinanzi, alla sapienza del divino, si ha anche, storicamente, il passaggio da una presenza della religione come trascendenza e altro da noi, alla perfetta realizzazione nella società politica del principio stesso della fede, la libertà umana. E' la libertà infatti che si realizza nello Stato etico, e la religione è allora, per la filosofia, nient'altro che il pensiero pensante.
La storia della filosofia. L'idealismo hegeliano culmina in qualche modo nella sua concezione della filosofia come "storia della filosofia" - un tema presente in tutti i suoi scritti ma che ha una trattazione particolare nei testi delle Lezioni pubblicate postume. Poiché l'idea coincide con la realtà, la storia delle idee o della filosofia coincide con il loro dispiegarsi storico. "La successione dei sistemi filosofici che si manifesta nella storia è identica alla successione che si ha nella deduzione logica delle determinazioni concettuali dell'idea", scrive. Sicché per lui e per una lunga tradizione storiografica successiva - la storia della filosofia conferma il ritmo logico del dispiegarsi dell'idea, e il sistema hegeliano non può essere, infine, in quanto "filosofia della storia della filosofia", che la narrazione di quel ritmo e l'estrapolazione della sua logica: dunque "filosofia in senso definitivo", "la conclusione dei conati dello spirito, in quasi due millenni e mezzo di lavoro [...] per conoscersi".

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MessaggioInviato: Gio Apr 06, 2006 6:51 pm    Oggetto:  
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hegelismo

Si designa con hegelismo il movimento interpretativo della filosofia di Hegel che, pur nelle sue profonde differenziazioni, intende mantenersi fedele allo spirito della filosofia hegeliana. La partizione della scuola hegeliana in una "destra" e in una "sinistra" (secondo la terminologia introdotta da D. Strauss per indicare le opposte interpretazioni del rapporto fra filosofia e cristianesimo nel pensiero di Hegel che si fronteggiarono in gruppi detti anche "vecchi" hegeliani e "giovani" hegeliani), indica una prima frattura tra i discepoli diretti di Hegel e pone già il problema della più autentica riflessione hegeliana. In un primo periodo la fedeltà all'hegelismo fu rivendicata dal "centro" hegeliano (costituito da E. Erdmann, K. Rosenkranz e, solo in parte, da K. Fischer, autore di importanti opere di storia della filosofia). A partire dal 1865 (anno nel quale compare un'opera di J. H. Stirling su Hegel, che inaugura la diffusione del suo pensiero in Inghilterra), l'hegelismo si integra nelle diverse tradizioni filosofiche nazionali. In Inghilterra, grazie a Stirling, E. J. McTaggart, B. Bosanquet, J. e E. Caird, J. B. Baillie, si sviluppa un hegelismo segnato dalla polemica contro il positivismo, dall'avvicinamento tra Hegel e Kant, da accentuati interessi nel campo logico dialettico e in quello eticoreligioso. L'hegelismo inglese troverà una originale sintesi in F. H. Bradley, che proporrà un monismo metafisico centrato sull'Assoluto hegeliano.
Negli Stati Uniti l'hegelismo, introdotto dal movimento di St. Louis, trova il suo maggiore esponente in J. Royce, che tenta di superare le aporie evidenziate da Bradley nel sistema di Hegel e si impegna a ricostruire i termini di una compatibilità tra Assoluto e individuo.
In Francia l'avvicinamento a Hegel non è mai disgiunto da problematiche nazionali, quali il coscienzialismo e lo spiritualismo (con O. Hamelin), o con la tradizione esistenzialista (come avviene in J. Wahl, A. Kojève, J. Hyppolite): non si può parlare quindi di vero e proprio hegelismo, se non nell'opera di E. Weil, che si concentra sullo storicismo e sulla filosofia del diritto hegeliani.
Una ricca tradizione neohegeliana si è invece consolidata in Italia, a partire dall'attività di A. Vera, portavoce di un hegelismo sistematico di "destra"; di F. De Sanctis, che ripropose originalmente l'estetica hegeliana, e soprattutto di B. Spaventa, che valorizza in chiave soggettivistica la dialettica hegeliana proponendone per primo una riforma. Sulla strada aperta da Spaventa e percorsa anche da C. De Meis e D. Jaja si pongono i due maggiori esponenti del neohegelismo italiano, B. Croce e G. Gentile. Il primo propone una riforma della dialettica nella quale all'unità degli opposti si sostituisca il nesso dei distinti, presente nella quadripartizione dei momenti dello Spirito, accentuando la lettura storicista di Hegel. Il secondo, su un piano più marcatamente teoretico, opera una riforma nella quale la centralità dell'atto soggettivo del pensiero sostituisce - in una prospettiva che rimanda al pensiero di Fichte - la dialettica del divenire. Attualmente, ad un hegelismo filosofico è subentrato un più attento studio storico, critico e filologico dell'opera di Hegel.

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MessaggioInviato: Gio Apr 06, 2006 6:59 pm    Oggetto:  
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Fichte, Johann Gottlieb
Johann Gottlieb Fichte (Rammenau, Sassonia 1762 - Berlino 1814) è uno dei maggiori tra i filosofi idealisti tedeschi del sec. XIX.
Vita e opere. Compiuti studi universitari di teologia a Jena (e anche a Lipsia), dal 1788 è precettore a Zurigo. Nel 1790 compie la lettura, decisiva per la sua formazione, degli scritti di Kant, che nel 1791 si reca a conoscere a Königsberg. Pubblica anonimo, con l'aiuto e la sollecitazione di Kant, il suo primo Saggio di una critica di ogni rivelazione (1792). Del 1793 sono la Rivendicazione della libertà di pensiero e il Contributo per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese. Fichte coglie la crisi, politica ed etica, che sconvolge l'Europa, e rivendica, con i circoli intellettuali più aperti della Germania, i valori della razionalità umana. L'idealismo trascendentale, come lo trovava definito in Kant, rappresentava per lui l'orizzonte di una nuova dottrina totale del mondo, capace di un sistema di certezze nuove, in un'epoca scossa dalla Rivoluzione in Francia e dalle sue pesanti ripercussioni in tutta Europa.
Nel 1794 Fichte comincia a insegnare all'Università di Jena, con una prolusione Sul concetto di dottrina della scienza. Scrive nello stesso anno: Alcune lezioni sulla destinazione del dotto. Pubblica Il fondamento del diritto naturale (1796-97) e Il sistema della dottrina morale (1798). Nel 1797 si ha la rottura con Kant, sull'interpretazione dell'idealismo trascendentale. La polemica sull'ateismo che vede in quell'anno Fichte protagonista avalla l'idea che non vi sia conciliabilità fra il sistema filosofico di cui è il propugnatore, l'idealismo trascendentale, e il cristianesimo. Fichte è costretto a dare le dimissioni dalla sua cattedra universitaria. Aveva avuto fra i suoi discepoli alcuni dei futuri protagonisti del movimento romantico (fra di essi Novalis). Fichte si trasferisce a Berlino; pubblica La destinazione dell'uomo, Lo Stato commerciale chiuso (1800), tiene corsi di lezioni, frequentati da intellettuali di rilievo, su Lineamenti dell'epoca presente, l'Avviamento alla vita beata (fra l'altro). Nel 1805 insegna per un breve periodo all'Università di Erlangen. Lascia Berlino, con la corte messa in fuga dall'esercito francese napoleonico, e vi torna solo nel 1807. Vi tiene, molto ascoltati, i settimanali Discorsi alla nazione tedesca. Nel 1810 ha una cattedra nella nuova Università di Berlino, e vi è nominato anche preside della Facoltà di filosofia; è rettore nel 1811.
La sua figura di filosofo ed esponente di un orientamento politicamente impegnato diviene controversa dopo il 1800: molti suoi ammiratori lo rinnegano - da Goethe, agli Schlegel e a Schelling -, mentre gli studenti esprimono violentemente il loro dissenso. I corsi di quegli anni (pubblicati dopo la sua morte) toccano temi fondamentali - I fatti di coscienza, Il rapporto della logica con la filosofia -; Fichte tiene inoltre molte conferenze politiche: preferisce infatti dedicarsi a questo tipo di filosofia "popolare", fatta per uditori non smaliziati, da lui ormai definita "realismo". Si pubblicherà postuma la nuova redazione (1814) della sua opera Dottrina della scienza.
Le opere di Fichte furono pubblicate in 11 volumi, a cura del figlio, fino al 1846, e comprendono le importanti Lettere.
La filosofia di Fichte. Il principio della dottrina della scienza è per Fichte nell'intuizione, che gli si presenta come rivelazione improvvisa del tema fondamentale dell'autocoscienza, l'Io che sa di essere io, con una spontanea e immediata percezione di sé come pensiero di sé. La comprensione e l'esplicazione di questo principio, nella sua potenzialità di dare conto (nella compiuta "dottrina della scienza") di tutti gli ambiti in cui si distingue il sapere, dalla fisica alla logica all'etica, è il fine cui l'uomo indefinitamente tende, con un processo di proiezione sempre rinnovato ("la destinazione dell'uomo non è di raggiungere quella meta... è di avvicinarsi indefinitamente a tale meta").
Il ritmo in cui si scandisce ogni processo conoscitivo è quello triplice indicato già nei princìpi della logica classica, cui Fichte attribuisce spessore ontologico: l'Io è io, l'Io si oppone a un non Io, l'Io oppone nell'io all'io divisibile un non-io divisibile. Sono i tre princìpi di identità, non-contraddizione e ragion sufficiente, che fondano la conoscenza logica e naturale (delle scienze), umana e morale. Fichte accentua nello schema la funzione di vero e proprio "fatto" originario che ha la "coscienza" dell'Io. E questo processo si rinnova continuamente, in quanto ogni nuova acquisizione manifesta all'analisi nuove contraddizioni che si devono sciogliere, ridurre.
La dottrina della scienza si dichiara trascendentale poiché esplicitamente osserva, insieme all'oggettività dell'Altro - il non Io, che si propone alla riflessione -, anche la sua natura di oggetto presente alla coscienza e la cui autonomia non è mai isolamento dalla coscienza.
La dottrina morale di Fichte coglieva la centralità del tema dell'individuo nell'Io, e di quello, connesso, di una molteplicità di enti razionali - tutti gli uomini - come necessaria alla libertà di ogni singolo di porre se stesso come oggetto, per la conoscenza e per l'azione. Questa forte esigenza di dare un contenuto individuale morale alla dottrina dell'Essere ha fatto definire l'idealismo di Fichte come idealismo etico, e ha provocato la distinzione - ritenuta eccessiva dai suoi contemporanei e anche da molti studiosi a lui posteriori - nei suoi scritti successivi al 1800, fra dottrina della scienza (sistema ontologico) e dottrina morale. In quest'ambito si svolge la riflessione sull'Essere, su Dio, degli scritti tardi di Fichte, in cui egli si richiama agli antichi, in particolare a Platone, per indicare nell'atto del pensare la realtà originaria precedente a ogni pensiero e coincidente con Dio.

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MessaggioInviato: Gio Apr 06, 2006 7:06 pm    Oggetto:  
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Approfondimenti su Fichte:

Johann Gottlieb Fichte
Johann Gottlieb Fichte, filosofo tedesco (Rammenau 1762 - Berlino 1814). Di famiglia umilissima, fu aiutato negli studi da un nobile che ne aveva apprezzato la precoce intelligenza. Finiti gli studi di teologia, fu precettore a Zurigo. Tornato in patria, a Lipsia venne casualmente in contatto col pensiero di Kant, e se ne entusiasmò dedicandosi a un lavoro ispirato al suo pensiero, la Versuch einer Kritik aller Offenbarung (1792; Critica di ogni rivelazione), applicazione dei principi kantiani alla filosofia della religione, impresa alla quale stava attendendo, fra la generale aspettativa, Kant medesimo. Pubblicata anonima, fu dal pubblico attribuita a Kant, il che, nonostante la smentita, fece la fortuna di Fichte, che passò di colpo dall'oscurità alla fama. Nel frattempo egli, grande ammiratore dei principi della Rivoluzione francese, andava pubblicando anonimi alcuni scritti sull'argomento. Nel 1794 ottenne la cattedra a Jena, dove scrisse le sue opere più celebri. Allontanato dall'insegnamento sotto l'accusa di ateismo, passò a Berlino e poi a Königsberg e a Copenaghen per tornare a Berlino, dove nell'inverno 1807-08, nella città occupata, pronunciò i suoi celebri Reden an die deutsche Nation (Discorsi alla nazione tedesca). Dopo la fondazione dell'Università di Berlino (1810), vi insegnò e fu anche rettore per qualche tempo. Morì di colera. Intento di Fichte era la fondazione di una filosofia della libertà: un pensiero che mettesse al centro della speculazione quella "libertà" ch'era al tempo stesso il nucleo dell'etica kantiana, di carattere decisamente antideterministico, e l'ideale della Rivoluzione francese, d'ispirazione francamente antiassolutistica. Ma un residuo deterministico rimaneva ancora nella filosofia kantiana, ed era il concetto di "cosa in sé", di cui non si capiva bene se esercitasse un'azione causale sulla coscienza. Fichte, con una meditazione penetrante e ostinata, venne a capo della difficoltà, scrivendo l'opuscolo Über den Begriff der Wissenschaftslehre (1794; Sul concetto di dottrina della scienza) e il libro Grundlage der gesammten Wissenschaftslehre (1794; Fondamenti dell'intera dottrina della scienza). La soluzione di Fichte è in breve la seguente: l'io teoretico è subordinato all'io pratico, la conoscenza non ha altra spiegazione se non l'azione. La limitazione che l'io subisce nella conoscenza non è dovuta a una dogmatica "cosa in sé": il mondo delle cose, inteso come oggetto di conoscenza, non è altro che il mondo morale tradotto in termini sensibili, il mondo intelligibile che l'io teoretico trova di fronte a sé sotto forma di cose da conoscere e rappresentare. Alla base del non io v'è una produzione dell'immaginazione, intesa come attività inconscia, anzi appartenente alla preistoria della coscienza; ma la ragione per la quale c'è l'immaginazione, il non io, il mondo sensibile, è che l'io deve trovare di fronte a sé un ostacolo: solo con un ostacolo da superare l'io è pratico, è morale, ha sopra di sé un dovere da eseguire e un ideale da realizzare. L'io puro, che è attività pura e infinita, s'interrompe dunque in un punto mediante un "urto", ma quella stessa attività originaria, così interrotta, tende a ristabilirsi: nasce in tal modo la moralità, che è realizzazione dell'ideale e consapevolezza del dovere in quanto è "tendenza" dell'io a recuperare la pura attività originaria. L'io finito, che è l'uomo reale, è necessariamente "pratico". Stabiliti questi principi generali, Fichte si propone di derivarne le conseguenze nei vari campi, conformemente a quella che è la Bestimmung des Gelehrten (1794; Missione del dotto), cioè il primato della filosofia nell'incivilimento umano. Fichte espone così il Grundlage des Naturrechts (1796-97; Diritto naturale) e il System der Sittenlehre (1798; Sistema della morale), dove diritto e morale sono disposti secondo una graduazione che va dal primo alla seconda: mentre da un lato la dottrina del diritto spiega la molteplicità degli individui, la loro vita corporea e le relazioni intersoggettive basate sulla reciproca limitazione in virtù della sola libertà, la dottrina morale spiega l'unità-distinzione fra legge e impulso, e mostra come la realizzazione del dovere porta a una progressiva unificazione dell'umanità. Le prossime tappe avrebbero dovuto essere la dottrina politica (che infatti portò nel 1800 alla pubblicazione dello Geschlossene Handelstaat, Stato commerciale chiuso, originale affermazione di socialismo) e la dottrina della religione, per la quale Fichte fu accusato di ateismo. Un più intenso ripensamento della dottrina della religione è rappresentato dalla suggestiva operetta Die Bestimmung des Menschen (1800; La missione dell'uomo), dove alla concezione di Dio come "ordine morale del mondo" si sostituisce una sorta di panteismo morale, nel quale Dio è considerato come l'assoluto non più visto nella sua idealità, come nel 1794, ma nella sua realtà, a permeare di sé l'intera vita dell'uomo. Questa svolta religiosa porta al ripensamento dei fondamenti del sistema filosofico: nascono così le due celebri e fondamentali nuove esposizioni della dottrina della scienza del 1801 e del 1804 e le tre "opere popolari" del 1806: L'essenza del dotto, l'Introduzione alla vita beata e i Caratteri del tempo presente. La nuova dottrina della scienza più che una teoria dell'io è una teoria dell'essere e del verbo; al primato della ragion pratica si sovrappone ora un'affermazione della "visione" e della "luce": la "filosofia della libertà" si approfondisce in una "filosofia della vita". Il sapere negherebbe se stesso se non fosse sapere dell'essere; ma l'essere è non sapere, e quindi non essere del sapere. Attraverso questa dialettica di essere e non essere e di sapere e non sapere, la critica della prima esposizione, che per affermare l'assoluto senza uscire dal punto di vista del finito ne sosteneva la mera idealità si trasforma in ontologia, che afferma risolutamente la realtà dell'assoluto; ma vige anche qui la preoccupazione di non abbandonare il punto di vista del finito, il che fa sì che questa ontologia acquisti un carattere "mistico". Qualsiasi attività, anche quella solamente umana, non può essere che vita divina: al di fuori di Dio non può esserci che l'immagine di Dio, lo schema della vita divina, schema che è principio d'ogni agire e d'ogni trasformazione del mondo: altro non v'è in generale che Dio e la sua manifestazione. Non per nulla se la "prima dottrina della scienza" si prolunga in una filosofia del diritto e della morale, gli ulteriori sviluppi della dottrina della scienza culminano in una filosofia della religione e in una filosofia della storia, come appare dalle tre "opere popolari". Ciò che rimane costante nel pensiero di Fichte è l'interesse politico, che tuttavia si sposta sotto l'urgenza delle guerre franco-prussiane, che lo trovano fieramente antinapoleonico e predicatore entusiasta della "guerra di liberazione": più tardi scrisse Der Patriotismus und sein Gegenteil (1807-08; Il patriottismo e il suo contrario) e Die Staatslehre (1801; La dottrina dello Stato), opere che esaltano la realizzazione di un'umanità migliore, di una comunità più elevata, in cui la politica acquista un carattere non più soltanto filosofico ed etico, ma addirittura mistico e religioso.

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Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph
Friedrich Schelling (1775-1854), filosofo idealista tedesco (v. idealismo), si forma all'Università di Tubinga, dove studia teologia, filosofia e filologia e fa amicizia con Hegel, si reca poi a Lipsia e a Jena, dove ascolta le lezioni di Fichte e ne studia l'opera. Dal 1798 al 1803 insegna all'Università di Jena, produce i suoi scritti migliori, intreccia fruttuosi rapporti con alcune delle figure maggiori del movimento romantico, da Novalis agli Schlegel, e prosegue la collaborazione con Hegel.
L'io come principio della filosofia... (1795) e le Lettere filosofiche su dogmatismo e criticismo (1796) indicano le tappe della sua riflessione sulla filosofia di Kant e di Fichte, a confronto con una lettura decisiva nel suo pensiero, quella di Spinoza.
Con Idee per una filosofia della natura (1797), L'anima del mondo (1798), Primo progetto di una filosofia della natura (1799) e infine il Sistema dell'idealismo trascendentale (1800), Schelling chiarisce i moventi e le linee del suo sistema, a partire dall'esigenza di conciliare due modi contrapposti e autonomi della tradizione speculativa, quello che guarda all'oggetto quale luogo dell'Assoluto, come nella rigorosa formulazione spinoziana, e quello che fa dell'attività del soggetto l'unica fonte del reale. La Natura assume in Schelling, in una prospettiva romantica ma anche nell'attenzione viva agli sviluppi delle scienze fisiche e biologiche del suo tempo, un significato nuovo: ripensata alla luce delle scoperte chimiche (l'ossigeno), delle esperienze su elettricità e magnetismo, e nella prospettiva di una densa carica di significati spirituali e vitali estesi dal mondo organico e umano a quello inorganico, essa deve essere interpretata secondo un più profondo principio che ne indichi l'unità nel dinamismo, la diffusa spiritualità, prima e oltre la coscienza.
L'Io - il grande tema dell'idealismo - si manifesta come intuitività, che prima e oltre l'intelletto è capace di cogliere l'unità indifferenziata di soggetto e oggetto nella totalità. Un percorso triplice porta l'Io a coincidere, nell'attività del volere assoluto, con un livello più alto dell'espressione dell'Assoluto, l'opera d'arte, capace di produrre da sé l'originaria identità conscio inconscio.
Allontanato da Jena, Schelling insegna a Würzburg (1803-07), a Erlangen, a Monaco (dal 1827); è segretario dell'Accademia delle scienze di Monaco. Dal 1841, a Berlino, si contrappone all'hegelismo ma esce sconfitto e lascia l'insegnamento.
Le opere del periodo più tardo manifestano una continua evoluzione del suo pensiero, in direzione soprattutto religiosa; lo studio del mistico Jacob Böhme vi rappresenta un riferimento importante. Sono Filosofia e religione (1804), Sulla relazione dell'ideale e del reale nella natura (1806), Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana (1809), e gli scritti più tardi, editi postumi, su Filosofia della mitologia, Storia della nuova filosofia, Empirismo filosofico. Vi domina una visione della storia come manifestazione di natura escatologica dell'Assoluto e del divino, mentre una filosofia positiva, empiristica, resta l'unica a poter dare conto dell'esistente, assolutamente autonomo rispetto all'essere dell'Assoluto, cui si accede solo per via mistica. Oscurità e irrazionalità, nel pensiero di Schelling, sono la fonte anche del razionale, dello storico, del positivo, e la riflessione del filosofo, l'attività dell'artista, il vate romantico, cercano di attingere questo nesso profondo.
Le sue opere sono state edite in un'edizione completa già nell'Ottocento (14 voll., 1856-61) e, in questo secolo, vi è stata una nuova edizione a cura di M. Schroter (12 voll., 1927-54). Tutte le opere maggiori sono tradotte in italiano; di particolare interesse l'edizione di Empirismo filosofico e altri scritti, a cura di Giulio Preti (1967).
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