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Vinciguerra recensisce i nostri lavori!

 
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Marcus
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MessaggioInviato: Ven Nov 01, 2013 8:15 pm    Oggetto:  Vinciguerra recensisce i nostri lavori!
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Siamo grati a Vincenzo Vinciguerra di aver voluto recensire i nostri lavori e siamo lieti che egli li abbia giudicati positivamente dal suo particolare punto di vista, quello di soldato politico che ha deciso di testimoniare col proprio esempio la coerenza nel rifiutare di scendere a compromessi con la repubblica antifascista, anche a costo della propria libertà volontariamente sacrificata a vita. Con uguale spirito di coerenza assoluta (nel nostro caso con la Dottrina del Fascismo, che condividiamo in modo integrale e di cui abbiamo scritto negli stessi lavori che egli ha recensito), accertata la condivisione della denuncia nei confronti del cosiddetto “neofascismo” che anche noi facciamo nostra e che qualifichiamo da sempre come negazione del totalitarismo fascista mussoliniano e quale "cane da guardia" del sistema antifascista instaurato dalla “repubblica nata dalla “resistenza”, va precisato che non condividiamo alcuni giudizi e valutazioni politiche da egli espresse in merito al Fascismo, quasi che tale fenomeno politico possa riassumersi esclusivamente nella ricerca di una più alta giustizia sociale, calcando volutamente l'accento sulla sua sostanza SOCIALISTICA, assunta erroneamente da Vinciguerra (e da troppi altri!) a concetto "basilare", quando essa invece DISCENDE direttamente e solo consequenzialmente dalla visione Morale, Spirituale e Civile del Fascismo, che le STA A MONTE. Nel merito ci ripromettiamo di redigere una risposta più ampia e dettagliata. Ciò detto, in nessun caso tale divergenza di vedute diminuisce la nostra considerazione ed il nostro rispetto verso Vincenzo Vinciguerra che rimane comunque un testimone chiave essenziale di fatti di importanza storica ed un raro esempio di UOMO che vive all’insegna dell’ONORE.

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LA LINEA DI CONFINE

Carcere di Opera, 18 settembre 2013

Inizia a sgretolarsi il mito di un neo-fascismo postbellico che si è collocato nell’ambito della destra nazionale e si è identificato con essa pur conservando le idee del fascismo.
L’operazione iniziata, ufficialmente, il 26 dicembre 1946 con la costituzione del Movimento sociale italiano che pretendeva – e per anni ha preteso – di raccogliere l’eredità del fascismo e, addirittura, quella della Repubblica sociale italiana e di rappresentarsi come un “ordine di credenti e combattenti”, si è conclusa nella maniera grottesca del ripudio pubblico ed ufficiale delle idee e del passato con la trasformazione del partito in “Alleanza nazionale” e l’adesione incondizionata ai valori dell’antifascismo.
Non si è, però, conclusa la mistificazione storico-ideologica dell’esistenza in questo Paese, come forza politica organizzata, di un neo-fascismo operante con le sue diverse articolazioni in sede parlamentare ed extra-parlamentare per quasi mezzo secolo.
Un contributo poderoso, determinante alla creazione di questa leggenda è, purtroppo, venuto da quella sinistra che ha qualificato come “fascista” tutto ciò che era politicamente e culturalmente avverso ad essa, assumendosi una responsabilità sulla quale ci sarà modo e tempo per riflettere.
È doveroso sottolineare come la necessità di ristabilire la verità sulla contrapposizione fra destra e fascismo non è stata avvertita negli ultimi anni perché, viceversa, è dalla metà degli anni Ottanta che chi scrive l’afferma in modo perentorio in tutte le sedi.
Non uso, per scelta e personalità, a combattere battaglie solo teoriche, lo scrivente ha un passato ed un presente di militanza politica che non accetta che venga ancora qualificata come neofascista.
Non lo dico oggi.
L’11 maggio 1987, in quello che è stato l’unico e solo processo politico del dopoguerra, svoltosi a Venezia dal 23 marzo al 25 luglio 1987, dinanzi alla Corte di assise presieduta da Renato Gavagnin, presentavo un documento di cui è giusto riportare alcuni passi, sempre ignorati da giornalisti, storici veri o presunti, commentatori ed esperti impegnati e negare la verità sulla persona, le sue idee, le sue scelte e le loro motivazioni.
“Non sono mai stato di destra. – scrivevo – Il termine ‘destra’ è sempre riuscito ad evocare in me l’immagine di un mondo meschino, intessuto di ipocrisia, di perbenismo apparente e formale, di morale elastica, di retorica pomposa e fasulla, di un mondo di droghieri, professori, parlamentari, avvocati e barbieri.
Il Fascismo nel quale ho creduto è quello antistatalista del 23 marzo 1919, quello emarginato durante il Ventennio, quello risorto nella breve e sanguinosa stagione della Rsi, quello fisicamente annientato, politicamente cancellato e ideologicamente tradito nel 1945″.
Non posso, oggi, che registrare con piacere che altri, per altre e diverse vie, siano giunti ad affermare la contrapposizione fra la destra ed il fascismo negando alla radice che, in Italia, nel dopoguerra ci sia stata qualche forza politica organizzata che abbia raccolto l’eredità del fascismo.
Lo hanno fatto persone che si sono ritrovate nella Federazione nazionale dei combattenti della Rsi, di cui oggi uno degli esponenti, Maurizio Barozzi, pubblica un saggio storico significativamente intitolato, “MSI. Il grande inganno”.
E‘ un documento ponderoso, dettagliato, scritto con passione e lucidità che sottopone ad una critica severa e, spesso, spietata gli uomini e la politica del Movimento sociale italiano destinato a passare alla storia italiana come una delle più grandi truffe politiche, dei peggiori inganni, perpetrati ai danni di migliaia di persone, soprattutto giovani e giovanissimo abbagliati dalle foto di Benito Mussolini esposte nelle federazioni del partito, dai saluti romani, dai discorsi pubblici dei suoi esponenti di maggiore spicco.
Maurizio Barozzi illustra il suo documento con una breve presentazione:
“Genesi e nascita di un partito che ha disatteso gli ideali di coloro che avrebbe dovuto rappresentare, ha stravolto l’immagine del fascismo e in quasi 50 anni di vita ha tradito tutti gli interessi reali della Nazione”.
Sintesi mirabile di quello che è stato realmente il Movimento sociale e di quanto hanno fatto, in concreto, i suoi dirigenti nell’arco di quasi mezzo secolo.
L’elemento più rappresentativo di questo partito è stato, certamente, Giorgio Almirante che, oggi, in tanti si affannano a presentare come il “fondatore della destra moderna”.
Lo abbiamo scritto ormai tante volte. Lo ribadiamo ancora oggi qui: Giorgio Almirante non ha mai subito un processo nel dopoguerra, non è mai comparso cioè dinanzi ad una Corte di assise straordinaria per rispondere del “reato” di “collaborazionismo” con i tedeschi perché ha tradito i propri camerati quando era già al servizio del ministro della Cultura popolare, Fernando Mezzasoma.
Giorgio Almirante è rientrato nel novero di coloro ai quali il governo presieduto da Ferruccio Parri, con un decreto legge del 4 agosto 1945, ha concesso l’impunità per avere favorito, sia pure aderendo alla Repubblica sociale italiana, il movimento partigiano.
Abbiamo invitato alcuni anni or sono gli apologeti di Giorgio Almirante a fornire una documentata e dettagliata smentita di cui avremmo preso atto: nessuno ha smentito.
Non è un dettaglio fondamentale perché per condannare Giorgio Almirante ci basta l’esame della sua azione politica dal 1946 in avanti, ma è comunque importante perché aggiunge un tassello al mosaico della nascita di un partito che si pretendeva erede del fascismo, in un momento in cui le truppe alleate ancora occupavano il nostro territorio.
Coloro che, in quel mese di dicembre 1946, hanno creduto in buona fede che gli Alleati consentissero ai fascisti di rientrare nella vita politica del Paese, in pochi anni hanno tutti abbandonato il Movimento sociale italiano i cui dirigenti hanno avuto mano libera per trascinare i giovani che, via via vi aderivano, in una guerra civile di cui sono corresponsabili, senza attenuanti ne giustificazioni di sorta.
Adolescenti ai quali hanno insegnato che vi era stato un fascismo “buono” fino al 1938, anno dell’emanazione delle leggi razziali e del suo allineamento con la Germania, così come vi era stata una Repubblica sociale italiana che difendeva solo l’onore d’Italia, opponendosi sia agli anglo-americani che ai tedeschi e ai fascisti rappresentanti, questi ultimi, di una “Salò nera” dalla quale prendevano debitamente le distanze esaltando le figura dell’apolitico maresciallo Rodolfo Graziani e dell’aristocratico principe Junio Valerio Borghese, cancellando ogni traccia di Alessandro Pavolini e dei suoi camerati.
La “Salò tricolore” che, come la Repubblica di Vichy in Francia, si erge come scudo alla ferocia germanica che vorrebbe fare della Italia terra bruciata per punirla del tradimento perpetrato da Vittorio Emanuele III e dal maresciallo Pietro Badoglio, con Benito Mussolini equiparato al maresciallo Philippe Pétain.
Un’azione sottile, graduale, sostenuta da tutto lo schieramento politico del centro-destra cattolico e liberale che necessitava dei voti del Msi in Parlamento e di una massa di manovra nelle piazze da contrapporre a quella comunista.
Il documento di Maurizio Barozzi rende con efficacia anche la realtà di questo tradimento, che si accompagna alla politica antinazionale di quanti hanno avuto l’ardire di presentarsi infine come “Destra nazionale”.
Vogliamo ricordare la sordida opposizione del Movimento sociale alla politica energetica di Enrico Mattei, partigiano democristiano, anticomunista, fra i fondatori delle strutture clandestine, poi definite Stay-behind ma proteso a fare dell’Italia una protagonista in campo energetico sottraendola allo sfruttamento delle multinazionali del petrolio.
Se italiano c’è stato che, nel dopoguerra, ha cercato di rendere l’Italia più indipendente e più libera dalle potenze anglo-sassoni questo è stato Enrico Mattei che ha, infine, pagato con la vita, il 27 ottobre 1962 morendo sull’aereo esploso in volo nel cielo di Pavia, il suo sogno.
Chi ha avversato in tutti i modi lo sforzo di Enrico Mattei, con altri, sono stati i dirigenti del Movimento sociale italiano per i quali gli interessi dell‘ambasciata americana erano preminenti su quelli dell’Italia.
E questa è storia documentata e documentabile che, da sola, fa giustizia del preteso patriottismo dei vertici del Movimento sociale italiano.
Abbiamo proposto, poco tempo fa, di sostituire il termine “neofascisti” ancora in uso, con quelli di conservatori ed evoliani, perché nell’estrema destra italiana non c’è traccia di fascismo e di fascisti ma solo di conservatori, reazionari ed evoliani che, a ben vedere, sono sempre stati complementari gli uni con gli altri.
I conservatori “nostalgici” del “buon tempo andato”, quelli che vedevano nel fascismo divenuto regime solo il ristabilimento della legge e dell’ordine, che scrivevano libri ed articoli per dire che Benito Mussolini sarebbe rimasto nella storia d’Italia come una fulgida figura se solo avesse avuto il buon gusto di ritirarsi a vita privata nel 1938, che giudicavano il fascismo una “fazione” sacrificabile per il bene della Nazione giustificando la defenestrazione di Benito Mussolini del 25 luglio 1943.
Quanti di costoro hanno militato nel Movimento sociale italiano e nei gruppi collegati? Migliaia.
Gli evoliani sono il frutto di una sottile opera di distruzione del fascismo che ha raccolto i suoi frutti fra gli adolescenti degli anni Cinquanta, divenuti i giovani degli anni ’60, quelli da utilizzare, come predicato da Julius Evola, per difendere lo Stato, anche “uno Stato vuoto come questo”.
Perché Julius Evola è stato presentato ed imposto come l’anti-Gentile, il filosofo di un regime di massa che andava dimenticato e sconfessato.
I “neofascisti” del dopoguerra hanno avuto come “maestro” uno studioso che non è mai stato fascista, che nel mese di novembre del 1943 passava al colonnello Kappler informazioni negative sul conto del segretario del Partito fascista repubblicano, Alessandro Pavolini.
Per Julius Evola era condannabile tutto ciò che si era verificato nel mondo a partire dal 14 luglio del 1789, a Parigi, ma, suo malgrado, il fascismo come affermava Renzo De Felice era, per quanto “spurio”, figlio della rivoluzione francese.
Difatti, il fascismo non si è mai rappresentato come antitesi alla rivoluzione francese e a quella marxista, bensì come le loro naturale evoluzione, la “terza rivoluzione”, quella del Novecento che esprimeva in una sintesi mirabile i contenuti cella rivoluzione borghese del 1789 e di quella proletaria del 1848.
Per comprendere l’opera di intossicazione compiuta nel mondo giovanile riunito attorno al Movimento sociale italiano è sufficiente ricordare come Pino Rauti condannasse in blocco il Risorgimento che, viceversa, era alla base, in modo particolare le figura di Giuseppe Mazzini, del fascismo e di quello repubblicano in special modo.
Non siamo i soli a dirlo, non più.
Piacevole è stata la sorpresa di leggere due saggi di Marco Piraino e Stefano Fiorito che sono riuniti sotto il titolo, quanto mai esplicito, di “L’estrema destra contro il fascismo”, introdotti da una citazione di Benito Mussolini:
“Mi rifiuto di qualificare di destra la cultura cui la mia rivoluzione ha dato origine. Cultura di destra, del tutto rispettabile, è quella che fa capo all’Action Francaise. Cultura di destra è quella di cui la gente di Codreanu è fautrice. Cultura di destra è da considerarsi quella alla quale il mio amico inglese Mosley sta lavorando. Ma la cultura fascista che recupera valori dell’intero Novecento italiano non è di destra”.
I due autori avevano già scritto il libro “L‘identità Fascista – progetto politico e dottrine del fascismo”, Lulu, 2008, al quale nessuno ha avuto l’interesse di dare un’adeguata e meritata pubblicità per l’ovvia ragione che non si ritiene opportuno rinunciare alla menzogna del “neofascismo” postbellico, con l’inevitabile corollario del “terrorismo nero” e dei “terroristi fascisti” che hanno combattuto contro la democrazia.
Marco Piraino e Stefano Fiorito introducono il loro mirabile saggio scrivendo:
“Può sembrare paradossale ma in realtà, come ci accingiamo a esporre brevemente, parlare di un ‘fascismo dopo il fascismo‘ con riferimento alla recente storia italiana risulta inappropriato. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia si andò, infatti, delineando una situazione politica particolare, frutto della sconfitta militare e dell’inserimento della nazione italiana nella sfera d’influenza politica statunitense, durante la quale, pur assistendo al proliferare di gruppi politici che nominalmente si autodefinivano come ‘neo-fascisti‘, si è visto quegli stessi soggetti finire col boicottare e abbandonare progressivamente l’ideologia fascista (che mai si era proclamata come forza politica di destra ma al contrario rivoluzionaria e totalitaria), per sostituirla con battaglie politiche reazionarie assai lontane nella sostanza dall’ideale dello Stato Etico corporativo presagito durante il regime mussoliniano, facendo anzi del più grande partito ‘neofascista’ d’Europa, il Movimento Sociale Italiano, una forza di destra nazionalista e conservatrice, caratterizzata essenzialmente da anticomunismo viscerale nonché saldamente legata alla “Alleanza Atlantica” nel periodico storico della ‘Guerra fredda‘…” (pag.5).
Nell’aprile del 2011, quando i due studiosi scrivono il loro saggio quanto espongono non è più “paradossale” da molti anni, lo è il fatto che non si riesca a suscitare un dibattito ampio e pubblico su questo tema che consentirebbe di rivalutare l’operato dell’estrema destra italiana rendendo finalmente comprensibile all’opinione pubblica la ragione per la quale i presunti “neofascisti” italiani hanno da sempre operato, in maniera occulta ed ufficiale, a favore dello Stato antifascista, sorto dalla Resistenza, ovvero dalla sconfitta militare del fascismo e dei fascisti.
Mai nella storia mondiale si è assistito allo spettacolo dei vinti che si precipitano ad offrire i loro servigi ai vincitori pur pretendendo di non rinnegare le loro idee ed il loro passato, nel breve volgere di qualche mese dalla fine del conflitto.
Eppure, nel Paese del 25 luglio 1943 e dell’8 settembre 1943 si è verificato anche questo senza che ancora oggi si riesca a far conoscere agli italiani questa verità.
Il Movimento sociale italiano, fin dal suo sorgere con nome, simbolo e struttura mutuati da un partito straniero (il Movimento sociale francese – Msf), insieme a tutti i gruppi collegati sorti via via nel tempo ha rappresentato una forza del regime politico antifascista, di matrice cattolica e liberale, conservando solo l’esteriorità di una simbologia fascista che, a partire dalla metà degli anni Settanta, è stata anch’essa gradualmente modificata e ripudiata.
Non riteniamo accettabile che si parli di “neofascismo” postbellico e, tantomeno, di una sua storia che va da Mussolini a Berlusconi.
Si deve, giustamente, porre l’accento su una storia che va dalla Confindustria, rappresentata da Jacques Guiglia nel fondazione del Msi, al capitalista e pregiudicato Silvio Berlusconi; da Alcide De Gasperi ad Enrico Letta; da Pio XII a Francesco I; dal Servizio informazioni militari all’Agenzia per i servizi di sicurezza interni ed esteri odierni.
Una storia che riconosca come la nascita del Movimento sociale italiano sia stata semplicemente un’operazione politico-spionistica varata dalla forze che abbiamo sopra citate: Confindustria, Democrazia cristiana, Vaticano, servizi segreti.
Perfino dopo la conversione del Msi-Dn in Alleanza nazionale, con la creazione di gruppi dissidenti, non uno solo di questi ultimi si è posto all’opposizione del regime, tutti restando intruppati in quell’area di centro-destra che oscilla fra Silvio Berlusconi e il Vaticano.
D’altronde, nessuno di questi gruppi osa più rifarsi alla storia del fascismo, scegliendo di rappresentarsi come erede del Movimento sociale italiano, mantenendo pertanto la coerenza dell’asservimento alle forze politiche che la sconfitta militare del fascismo e della Italia ha portato al potere.
Dalla parte dei vinti, in Italia, sono rimasti solo poche persone, come gruppo organizzato la Federazione nazionale dei combattenti della Repubblica sociale italiana con Giorgio Pini, tutti gli altri si sono entusiasticamente affiancati ai vincitori.
In conclusione, il compito degli storici oggi è di ristabilire la verità sulla estrema destra italiana, unico modo per ricostruire quella della lotta politica che si è svolta nel Paese dal dopoguerra in avanti.
Per questa ragione saggi come quello di Maurizio Barozzi, da un lato, e di Marco Piraino e Stefano Fiorito, dall’altro, vanno valorizzati e divulgati presso un pubblico sempre più ampio perché finalmente si possa discutere sui fatti e non sulle menzogne, sulla realtà e non sulla propaganda.

Vincenzo Vinciguerra

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L’IDENTITA’ FASCISTA

Carcere di Opera, 9 ottobre 2013

Avevamo apprezzato e salutato come il primo, serio studio analitico sulla incompatibilità fra destra e fascismo nel dopoguerra, il saggio di Marco Piraino e Stefano Fiorito intitolato “L’estrema destra contro il fascismo” esplicitamente dedicato dai due autori allo “stravolgimento dell’identità fascista attuato dalla destra italiana”.
Se questo era dedicato alla mistificazione che il Movimento sociale italiano e i gruppi collegati hanno fatto dal 1946 in avanti, fino ad oggi, dell’idea fascista per farla aderire ai loro programmi politici di destra conservatrice e reazionaria, il saggio di cui ora parleremo è dedicato proprio alla ideologia ed alla dottrina del fascismo.
Pubblicato nel 2008, “L’identità fascista – Progetto politico e dottrina del fascismo”, in 271 pagine ci riconduce all’essenza del fascismo mussoliniano dalle origini alla sua conclusione.
Con cristallina chiarezza, i due autori ci restituiscono l’immagine di un fascismo proteso a togliere, con la inevitabile gradualità, “dalle mani delle oligarchie conservatrici dei liberali le leve del comando a beneficio di tutta la comunità” (p.21), per procedere alla fondazione dello Stato etico corporativo.
Stato che è non quello di Julius Evola e dei nazionalisti, esplicitamente condannato dal fascismo perché come ricordava Giovanni Gentile, “lo Stato nazionalista era…uno Stato aristocratico, che aveva bisogno di costituirsi nella forza conferitagli dalla sua origine, per quindi farsi valere sulla massa” (p.60), imponendosi pertanto come forza dominante su un popolo suddito, costretto a riconoscere la sua autorità e ad essa assoggettato.
“Lo Stato fascista…, a differenza di duello nazionalista, è una creazione tutta spirituale. – scriveva ancora Giovanni Gentile – Ed è Stato nazionale, perché la stessa Nazione, dal punto di vista del fascismo, si realizza nello spirito e non è un presupposto. La Nazione non è mai fatta; è così pure lo Stato, che è la stessa Nazione nella concretezza della sua forma politica…” (p.60)
“Ma questo Stato che si attua nella stessa coscienza e volontà dell’individuo, – chiariva Gentile – non è una forza che s’imponga dall’alto, non può avere con la massa del popolo lo stesso rapporto che era supposto dal nazionalismo” (p. 60).
Lo Stato come mito a sé stante dalla Nazione e dal popolo, imperatore dispotico senza corona, tiranno burocratico senza volto, senza anima, senza cuore, non è quello concepito dal fascismo, per il quale “lo Stato fascista invece è Stato popolare; e in tal senso democratico per eccellenza”.(p. 60)
La pretesa di Julius Evola e di quanti insieme a lui hanno preteso di mobilitare le generazioni nate dopo il fascismo per difendere lo Stato, “anche uno Stato vuoto come questo”, non ha mai rispecchiato lo spirito e l’essenza del fascismo, ma si è collocata all’opposto della sua concezione di Stato.
“Lo Stato è nazione” (p.56), scriveva Giovanni Gentile, ma dall’8 settembre 1943 la Nazione aveva cessato di esistere.
Il fascismo finirà a Dongo il 28 aprile 1945, con la eliminazione fisica dei suoi dirigenti e dello stesso Benito Mussolini.
Ne sono seguiti anni, tanti anni, di mistificazione, di falsità, di inganni per far dimenticare il fascismo come ideologia e dottrina con un’operazione che ha visto protagonisti, per primi, quanti strumentalmente rivendicavano l’eredità non soltanto storica del fascismo e, perfino, della Repubblica sociale italiana.
A Giovanni Gentile è stato contrapposto Julius Evola, all’assertore dello “Stato popolare”, il cantore dello “Stato aristocratico”, alla visione fascista della storia come evoluzione proiettata quindi nel futuro, quella conservatrice della involuzione e del ritorno ad un passato tanto mitico ed irreale quanto improponibile nel presente ed irrealizzabile nel futuro.
La contrapposizione fra fascismo ed estrema destra “neofascista” è netta. Piraino e Fiorito lo sottolineano con forza:
“Dunque a livello ideologico il fascismo si scontrava con la concezione della destra, liberal-oligarchica o passatista e tradizionalista e con quella della sinistra marxista, materialista e internazionalista” (p. 24).
Perché il fascismo “si poneva al di sopra di queste realtà per lui sorpassate che negavano a suo modo l’unica realtà concreta e unitaria veramente esistente, cioè il Popolo italiano” (p.24).
E se il fascismo si poneva al servizio degli interessi del popolo italiano, i suoi successori si sono posti a quello dei vincitori della Seconda guerra mondiale, Unione sovietica da un lato, Stati uniti dall’altro, e del Vaticano.
Se il popolo italiano era il fine del fascismo, non il mezzo, i suoi presunti eredi, conservatori ed evoliani, lo hanno dimenticato tanto da farne il bersaglio di stragi indiscriminate per favorire un potere antifascista che dal confronto storico e ideologico con il fascismo ha tutto, ancora oggi, da perdere.
Perché il saggio di Piraino e Fiorito, nella sua essenzialità, con la pubblicazione di documenti che pochi hanno letto e tutti hanno dimenticato ci restituisce anche l’attualità di una concezione ideologica che non è tramontata, che non è stata soffocata nel sangue di Dongo e di mille altri luoghi nei quali i fascisti sono stati: ammazzati in nome della libertà e della democrazia.
Nel momento in cui lacerante si avverte l’ennesima crisi economica, in cui le industrie spostano i loro stabilimenti all’estero per aumentare i profitti dei loro proprietari, in cui le multinazionali estere comprano a prezzi irrisori le imprese italiane in patria, decidendo il licenziamento di migliaia di impiegati e di operai, in cui emerge l’incapacità della democrazia liberale di risolvere il problema sociale, è giusto rivolgersi al fascismo che, a differenza del comunismo non è fallito per la semplice ragione che è stato eliminato con la forza delle armi prima che esso potesse esprimersi in tutta la sua potenzialità.
Cosa dice il fascismo?
“1. Riconoscimento del valore dell’iniziativa individuale: da cui deriva come corollario che normalmente l’attività produttiva continua ad essere svolta dai singoli e non viene assunta dallo Stato se non quando si ritenga che l’iniziativa individuale non sia sufficiente o che motivi di ordine politico lo consiglino (statalizzazione delle industrie appartenenti a settori-chiave), e che, sempre normalmente, la proprietà dei mezzi di produzione resti al singolo” (p.143).
Ovvero, resterebbe uno Stato fascista indifferente dinanzi alla fuga indecenti di capitali ed industrie all’estero per aumentare i profitti dei “padroni” noncuranti della disperazione in cui lasciano i loro operai ed i loro impiegati in Italia?
La risposta è negativa. Lo svizzero Marchionne, amministratore delegato della Fiat, che quasi ogni giorno minaccia il trasferimento all’estero dell’azienda, con il fascismo in Italia sarebbe entrato solo come turista.
Ma non il diritto delle “Stato popolare” di intervenire è il punto più interessante, questo è il seguente:
“L’iniziativa non è più solo iniziativa di capitale e la proprietà dei mezzi di produzione non è più decisiva nella determinazione del processo produttivo: in questo ha parte fondamentale il lavoro in tutte le sue forme, da quelle organizzative e direttive a quelle esecutive; ed al lavoro in quanto tale deve essere affidata la gestione dell’impresa e la disciplina della produzione; da cui deriva la conseguenza che il lavoro debba anche partecipare agli utili che dalla gestione dell’impresa, ed in genere dalla produzione, derivano” (p.143).
Non desta meraviglia che nel momento in cui il capitalismo gusta la sua vittoria sul comunismo, dopo averla ottenuta con il comunismo sul fascismo, quest’ultimo sia rappresentato come il “male assoluto”, perché è un nemico che potenzialmente può risorgere con altri nomi, altri simboli, per rivendicare il diritto del lavoro alla parità con il capitale, il diritto dei lavoratori a partecipare alla gestione dell’impresa, alle scelte strategiche che la riguardano, alla politica aziendale e alla partecipazione agli utili.
Insomma, non ci sarebbe posto per questi padroni che scappano all’estero asportando come ladri i macchinari delle fabbriche nel periodo di ferie dei dipendenti. E tantomeno per la banda Marchionne-Elkan-Agnelli.
Il problema del rapporto lavoro-capitale, il problema sociale, l’equa distribuzione delle ricchezze, la lotta contro le diseguaglianze sociali non ha mai trovato soluzione, avendo fallito in questo compito sia la Rivoluzione francese che quella marxista, mentre inattuata è rimasta la terza rivoluzione, quella della sintesi e del superamento delle due precedenti, quella fascista.
Il saggio di Marco Piraino e Stefano Fiorito ha il merito di far scoprire a tanti, soprattutto giovani, quello che è stato il fascismo sul piano ideologico e dottrinario e, insieme a quello sull’“estrema destra contro il fascismo”, andrà diffuso e divulgato perché su entrambi si apra un dibattito serio e fecondo con persone intelligenti che ancora esistono in questo nostro Paese, in tutti gli ambienti, compreso quello della destra.
Un confronto può segnare l’inizio di una revisione storica del dopoguerra e, in modo specifico, del ruolo che in esso ha ricoperto l’estrema destra, impropriamente definita “neofascista”, in realtà, come noi affermiamo da tanti anni ormai, milizia paramilitare dello Stato antifascista.
Può, questo dibattito, anche rappresentare il principio di una rivisitazione del fascismo che non sia condizionata – per essere condannata – solo dalla emanazione delle leggi razziali, ma sia estesa a tutto ciò che il fascismo ha proposto, tentato di fare, fatto in concreto.
Storici di indubbia serietà come Marco Piraino e Stefano Fiorito difettano in questa Italia dove il conformismo prevale sulla intelligenza e sull’etica di quanti si avventurano nella scrittura della storia.
Ce ne saranno altri provvisti della loro onestà intellettuale, della loro preparazione culturale, della loro volontà di far conoscere in modo oggettivo la verità sulla storia italiana.
Li invitiamo a venire allo scoperto per prendere parte attiva e fattiva alla ricostruzione di una storia che i più non conoscono e che tanti conoscono in maniera deformata e falsificata.
Può darsi che alla fine del cammino, qualcuno possa realizzare che la rivoluzione italiana del XX secolo, ufficialmente iniziata il 23 marzo 1919, a Milano, rimasta incompiuta e, infine, soffocata nel sangue nelle “radiosa giornate” della primavera del 1945, abbia ancora, in parte, molto da proporre ed ispirare a beneficio di questo è di altri popoli per i quali la giustizia sociale rimane un miraggio che tutti vedono e nessuno ha mai raggiunto.
Non chiediamoci se alla fine si raggiungerà un risultato: iniziare, è già un risultato.

Vincenzo Vinciguerra

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" Forse che non conoscendo a fondo il pensiero del Duce si può affermare di essere fascisti? Noi diciamo di no! Che il fascismo non è istinto ma educazione e perciò è conoscenza della sua mistica,che è conoscenza di Mussolini" (N. Giani)
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MessaggioInviato: Lun Nov 04, 2013 2:55 am    Oggetto:  
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Rispondi citando

Bisogna dare merito a questo signore, che sta scontando l'ergastolo per le sue colpe, di essere sempre rimasto coerente. In fin dei conti si è liberamente costituito autodenunciandosi, e dichiarando di averlo fatto per non essere ulteriormente strumentalizzato dall'estrema destra ben inserita nell'apparato dello stato (antifascista) e di altre potenze straniere tutti impegnati nella strategia della tensione.
Non mi risulta che il sig. Vinciguerra abbia mai ricercato alcun vantaggio personale nelle proprie dichiarazioni, che anzi nell'epoca in cui le fece erano "scandalose".
Fa piacere constatare che proprio chi è stato insieme vittima e carnefice di questo radicalismo di destra ad uso dell'antifascismo del sistema, e che certo non ha motivo di dire cose diverse da quelle che sinceramente pensa, confermi per l'ennesima volta l'avvedutezza delle nostre posizioni.
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Marcus
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MessaggioInviato: Lun Nov 04, 2013 9:05 am    Oggetto:  
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Rispondi citando

...come già anticipato, abbiamo pubblicato oggi sul nostro blog "Biblioteca Fascista del Covo" l'articolo in risposta alle recensioni di Vincenzo Vinciguerra. Inseriamo di seguito il link:
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MessaggioInviato: Lun Nov 04, 2013 10:04 am    Oggetto:  
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tribvnvs ha scritto:
Bisogna dare merito a questo signore, che sta scontando l'ergastolo per le sue colpe, di essere sempre rimasto coerente. In fin dei conti si è liberamente costituito autodenunciandosi, e dichiarando di averlo fatto per non essere ulteriormente strumentalizzato dall'estrema destra ben inserita nell'apparato dello stato (antifascista) e di altre potenze straniere tutti impegnati nella strategia della tensione.
Non mi risulta che il sig. Vinciguerra abbia mai ricercato alcun vantaggio personale nelle proprie dichiarazioni, che anzi nell'epoca in cui le fece erano "scandalose".
Fa piacere constatare che proprio chi è stato insieme vittima e carnefice di questo radicalismo di destra ad uso dell'antifascismo del sistema, e che certo non ha motivo di dire cose diverse da quelle che sinceramente pensa, confermi per l'ennesima volta l'avvedutezza delle nostre posizioni.


Assolutamente d'accordo.

Quello che risulta essere continuamente perseguito, come abbiamo dimostrato nell'articolo contenente la nostra "risposta", spiace constatarlo, è però il misconoscimento del Fascismo. Con o senza "dolo", direttamente o indirettamente, ciò che nella realtà politica, culturale e sociale di questo "paese" è sempre perseguito, da chiunque, è esattamente questo misconoscimento. Il Fascismo, nonostante le dichiarazioni in senso opposto che alla prova dei fatti lasciano il tempo che trovano e sono invero presenti alternativamente in tutte le "correnti" del neofascismo, è nella peggiore delle ipotesi usurpato a fini hegelianamente "atlantici"...nella "migliore" per democraticizzarlo...IL CHE A NOI SEMBRA ESATTAMENTE LA STESSA COSA. Sovente lo smascheramento della strategia di "destra", che abbiamo portato avanti e che è condiviso da più ambienti politici e culturali, è stato inserito (come abbiamo letto anche in queste recensioni) in un ambito che non solo ci sta stretto ma non ci rappresenta affatto! L'ambito di un'altra vulgata, che potremmo chiamare di "sinistra". Per quanto questo termine abbia una funzione unicamente indicativa, rispetto all'altra "vulgata" di "destra", quella più estesa e "potente".

In questa "vulgata di sinistra" si ritrovano, come nella sua parente prossima opposta/uguale, tutti i "principi" della Guerra Fredda. Estesi anche dopo la sua "fine". Buchignani (e non solo) ha eseguito uno studio interessante proprio sulla "spartizione" di quelli che si dichiaravano fascisti, tra chimere di destra e sinistra "nazionale", che è in sostanza il fine ultimo dell'antifascismo "mondiale": cancellare il Fascismo ed inserire i suoi "rigurgiti" in un Sistema controllato...Questo avviene perché proprio lo smembramento del Fascismo attraverso l'imposta divisione dei Fascisti, inverato prima della fondazione dell'MSI proprio a causa della Guerra Civile italiana, ha determinato la "frantumazione" della sua Dottrina. Infatti si è partiti da questa frantumazione - che noi combattiamo con tutte le nostre forze, azione la nostra che tutti ci rimproverano essere un "ozio" per mascherare chissà quale nostra inattività -per distruggere la valenza davvero rivoluzionaria del Fascismo e quindi ANNULLARE la sua portata e la sua efficacia. Il modo migliore per proteggere il Sistema è esattamente questo: inserire forzatamente il Fascismo in una delle categorie politiche consentite. E stimolare la divisione del corpo dottrinario Fascista, alimentando i gruppi e gruppuscoli, le correnti, i "movimenti", che a questa frammentazione si ispirano e danno vita.

Siamo l'unica Associazione Politica al mondo che difende e diffonde il Fascismo per quello che è ed in modo intransigentemente "unitario". Per questo, E SOLO PER QUESTO, ci siamo trovati ad essere attaccati, insultati, vilipesi e calunniati. E' l' "arma migliore" per silenziare. Chi calunnia ha maggiori mezzi. E si avvale spesso di "agenti disgregatori" (nel senso letterale del termine) che sono formati o direttamente o indirettamente dal sistema antifascista.

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"La mistica appunto precisa questi valori...nella loro attualità politica...e dimostra l'universalità di luogo e di tempo del Fascismo"(Giani)
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