tribvnvs Cittadino Fascista-Gruppo ADMIN
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Inviato: Ven Gen 06, 2017 12:28 am Oggetto: Il Fecia di Cossato della resistenza: il partigiano Cincino Descrizione: |
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E' il caso di ricordare un partigiano degno di massima lode e rispetto: "Cincino" Francesco Montanari, morto suicida per protesta contro lo schifo resistenziale. Lui ex partigiano, documentò tutto il suo sdegno per i suoi ex "compari" nel libro denuncia dal significativo titolo "Qui il più pulito ha la rogna", riferito naturalmente agli assassini resistenziali e alla relativa plutopartitocrazia massonica mafiosa da essi derivata e persistente a tutt'oggi.
Permettetemi di dire che se la marina ha avuto un Fecia di Cossato, la resistenza ha avuto un Cincino. Ma quest'ultimo è forse molto più scomodo, e quindi molto più dimenticato.
Anche perchè non si è ucciso poco dopo i fatti, come fece Fecia di Cossato quando capì effettivamente l'essenza del tradimento senza costrutto monarchico/badogliano, ma molti anni dopo i fatti, quando era ormai chiaro qual era "il frutto" - il risultato finale - della resistenza e dei suoi passati crimini.
<La quiete agiografica nella quale si cullavano da anni le forze resistenziali antifasciste fu scossa violentemente un giorno del 1990. Accadde che un ex partigiano, l’ingegner Francesco Otello Montanari (“Cincino”), ricordando gli eccidi compiuti dai suoi compagni nelle giornate primaverili (e ben oltre) del 1945, lanciò appunto “quel giorno del 1990, un grido accorato: ‘Chi sa parli!’”.
Superfluo aggiungere che dopo quella denuncia intorno a Montanari fu eretta una cortina di silenzio e di omertà. Il dado, però, era tratto e l’ex partigiano voleva lavarsi completamente la coscienza. Nel 1994, venuto a sapere che lo Stato era pronto ad assegnare all’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) la somma di 20 miliardi, scrisse all’ex Presidente della Repubblica, Scalfaro minacciandolo: “Se consegnerete quei soldi, io mi brucerò vivo!”.
Sabato 17 febbraio 1996 “Cincino” Montanari affidò una lettera, che può essere considerata il suo testamento spirituale, ad un amico, l’avvocato Gustavo Raffi. Di quella lettera ricordiamo alcuni passi più significativi: <Sono certo che coloro i quali detengono le leve del potere faranno tutto il possibile per farmi passare per matto o anormale (…). Mi ammazzo perché so valutare la ‘sora’ morte nella maniera giusta, perché ho dignità, moralità, sensibilità e coraggio per cui, in questo letamaio pieno di miserie, ingiustizie e violenza – dove comandano i ladri, i delinquenti e i mafiosi – si potranno trovare bene i loro compari o le pecore, ma non il sottoscritto (…). Durante la guerra sono stato comandante partigiano (…). Non ho mai fatto scatenare terribili rappresaglie su gente innocente, non ho mai vigliaccamente giustiziato nessun fascista a guerra finita (…). Qui non c’è una sola cosa che funzioni per il verso giusto: si privilegiano gli stranieri illegali invece dei fratelli, si puniscono i ladri di galline e i piccoli evasori, ma mai i grossi: i sindacati insegnano solo i diritti (mai i doveri) (…). Provo ormai nausea a vivere in questa ripugnante società di ladri, di delinquenti e di pecore. Perciò vi dico ‘IO NON CI STO più e tolgo il disturbo!
Spero di avere sufficientemente chiarito che il mio non è un gesto inconsulto, ma un gesto di protesta nei riguardi dei principali responsabili di questo sfascio morale e materiale dell’Italia.
Vi saluto tutti, amici e nemici, e vi prometto che, se di là si sta peggio che di qua, vi scriverò. Ma se non riceverete niente, vuol dire che si sta meglio.
Francesco Montanari”>
A maggior documentazione riporto uno stralcio di una lettera inviata a “Il Giornale” il 15 marzo 1997 dal signor Italo Tassinari di Padova che aveva fatto parte della stessa brigata partigiana di Montanari: "Ero amico intimo di Francesco “Cincino” Montanari, amico sino a recensire il suo ultimo libro “Qui il più pulito ha la rogna” (…). Anche Cincino Montanari era un capo partigiano che combatteva per una Resistenza diversa e che non indusse mai ad atti come quello di Codevigo, dove la 28^ Brigata Garibaldi del Pci, comandata dal cosiddetto “eroe rosso” Boldrini, medaglia d’oro al Vm (figuriamoci) senatore della Repubblica per meriti resistenziali, passò per le armi circa 300 giovani nelle “radiose giornate” 10, 11 e 12 maggio 1945, cioè dopo la fine della guerra (…). Cincino, prima di suicidarsi, venne a trovarmi di domenica nella mia casa di Bellaria, in quel di Rimini, per salutarmi. Un addio semplice: “Caro amico Italo – mi disse – ti porto dieci copie del mio libro, diffondilo. Mi ucciderò mercoledì prossimo, perché in questo merdaio di grassatori e tangetocrati non voglio più vivere (…). Questa Italia nata dalla Resistenza, un parto che forse era meglio fosse stato aborto…”>
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