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"Come finirono i Borboni di Napoli"

 
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tribvnvs
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Registrato: 04/04/06 23:22
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MessaggioInviato: Gio Mar 22, 2012 1:49 am    Oggetto:  "Come finirono i Borboni di Napoli"
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A 150 anni da questa unità molto mal riuscita, ritengo giusto ricordare questo studio (il titolo) dello storico napoletano Michele Topa pubblicato la prima volta nel 1939 e poi 21 anni dopo in occasione del centenario dell'unità.
E' un saggio notevole, che spiega con molta schiettezza e semplicità le modalità reali - non propagandistiche savoiarde - con cui il Regno delle Due Sicilie venne annesso al Piemonte (come mai Vittorio Emanuele II di Sardegna non decise di chiamarsi Primo re d'Italia?...).
Topa mette in luce il complotto inglese che desiderava la scomparsa del Regno del sud perchè la potente flotta commerciale napoletana disturbava i suoi traffici nel Mediterraneo, gli aspetti spesso superiori dell'economia napoletana su quella sabauda, i tremendi limiti di efficienza e saldezza, anche morale, dell'amministrazione statale borbonica rispetto a quella piemontese, le capacità dell'esercito borbonico frustrate non da una oggettiva inferiorità ma da una classe dirigente incapace (fino alla battaglia del Volturno) tanto nell'amministrazione militare che, spesso, in quella civile, la figura ingiustamente sminuita dalla propaganda sabauda (che è diventata storia) di re "Franceschiello" che invece seppe affrontare con coraggio e dignità il proprio destino e il doppio-giochismo dei suoi parenti piemontesi (come disse "sono più Savoia io di loro" riferendosi al fatto che i Carignano sono un ramo collaterale) e si seppe battere bene quando - troppo tardi - il suo esercito si depurò delle scorie d'alto livello e lui dai cattivi ministri.
Topa ha anche il merito di mettere in risalto le divisioni nel campo insurrezionale, con i garibaldini che stanno dietro al Dittatore Garibaldi divisi tra loro: mazziniani, repubblicani, federalisti e moderati filo-Savoia, tutti incerti nella strada da percorrere e spesso ostili gli uni agli altri; col capo che invece sa bene affrontare la situazione militare ma è incapace di assumere un ruolo politico che non sia passivo o velleitario.
Mazzini, "il profeta delle genti", che è in realtà il profeta più inascoltato della storia.
La monarchia sabauda che con l'abile Cavour sa sfruttare freddamente e lucidamente le occasioni che altri gli pone su un piatto d'argento, rischiando addirittura una duplice guerra civile che non vi sarà perchè il leader militare degli insorti non ha spessore politico e peraltro insegue, in maniera un po' miope, una unità purchè sia e talvolta si illude di poter essere più ascoltato di un Cavour.
Infine i camorristi e i mafiosi che allora come nel 1943 si schierarono subito con l'invasore per trarne tutti i vantaggi possibili.
Insomma un quadro lucido e veritiero, senza guardare in faccia a nessuno, questo il merito del saggio di Topa.
Soprattutto leggendolo, mi veniva da ridere pensando ai paradossi che l'attuale squallore pseudo-italiano ci pone davanti.
Abbiamo un Capo dello Stato ex comunista che fino a ieri osteggiava l'unità nazionale come tutti i suoi compari (terre orientali date agli slavi), e che oggi, proprio lui napoletano (oltre che Napolitano), difende a spada tratta la pappardella unitaria nella sua vulgata più integralista (non basta già quella resistenziale...).
Il paradosso insomma è che queste istituzioni difendono per partito preso non principi o idee, ma vuoti slogan e motti, che però sono a livello pratico il fondamento "legale" delle loro poltrone e prebende.
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RomaInvictaAeterna
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MessaggioInviato: Ven Mar 23, 2012 10:31 am    Oggetto:  
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Inultile dire che sono perfettamente d'accordo.

Citazione:

Il paradosso insomma è che queste istituzioni difendono per partito preso non principi o idee, ma vuoti slogan e motti, che però sono a livello pratico il fondamento "legale" delle loro poltrone e prebende.



Da incorniciare.

Infatti il "risorgimento" NON C'E' STATO. La vera Unità ed indipendenza d'Italia non c'è stata. E l'espansione del Piemonte non l'ha certo messa in atto!

L' "evento" dell' "unità formale" d'Italia, così come si è svolto, è stato frutto dell'ennesima influenza straniera e massonica. I veri moti indipendentisti ed unitari (ad es: Mazziniani e Giobertiani), le vere spinte unitarie e ideali, sono state frustrate. Anche dall'incapacità politica e strategica.

Infatti non a caso il Fascismo si proponeva di UNIRE l'Italia. Cosa che purtroppo anche oggi è di scottante attualità. Anzi, è peggiorata.

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"La mistica appunto precisa questi valori...nella loro attualità politica...e dimostra l'universalità di luogo e di tempo del Fascismo"(Giani)
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Ardito
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MessaggioInviato: Mar Mar 27, 2012 6:22 pm    Oggetto:  
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RomaInvicta ha scritto:

Infatti il "risorgimento" NON C'E' STATO. La vera Unità ed indipendenza d'Italia non c'è stata. E l'espansione del Piemonte non l'ha certo messa in atto!

L' "evento" dell' "unità formale" d'Italia, così come si è svolto, è stato frutto dell'ennesima influenza straniera e massonica. I veri moti indipendentisti ed unitari (ad es: Mazziniani e Giobertiani), le vere spinte unitarie e ideali, sono state frustrate. Anche dall'incapacità politica e strategica.

Infatti non a caso il Fascismo si proponeva di UNIRE l'Italia. Cosa che purtroppo anche oggi è di scottante attualità. Anzi, è peggiorata.

L'unità d'Italia non è stato nient'altro che un crimine contro il sud e la sua gente. Alla fine i briganti avevano tutte le loro ragioni di insorgere contro gli occupanti piemontesi.
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tribvnvs
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MessaggioInviato: Mar Apr 03, 2012 4:32 am    Oggetto:  
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Ardito ha scritto:


Alla fine i briganti avevano tutte le loro ragioni di insorgere contro gli occupanti piemontesi.


Spesso non erano "briganti" nel senso comune del termine, ma gente esasperata e derubata del poco che aveva e "costretta" a combattere un invasore (altro che compatriota!).

Basti pensare alla storia dell'emigrazione italiana. Se vi leggete su qualche testo serio l'emigrazione italiana esplode alla fine dell'800 nel sud ma anche nel nord appena annesso.
Addirittura il 50% di questa emigrazione era dal nord, contrariamente a quanto si pensa, di cui la metà dal solo Veneto. Un 40% era dal sud. Questa emigrazione andò crescendo esponenzialmente fino alla prima guerra mondiale.

L'Unità d'Italia, per il Meridione, significò il crollo della sua agricoltura e quello delle sue industrie -già più sviluppate e floride di quelle del Nord - con conseguenze che si fecero sempre più gravi e tragiche per le popolazioni. L'Unità portò anzitutto alla completa rovina dei contadini, considerati sino alla conquista legalmente inamovibili dalle terre feudali, ecclesiastiche e comunali da loro coltivate, nonché proprietari di quelle coloniche; contadini praticamente esenti da doppie imposizioni e tributi, e da qualsiasi servitù militari. L'incameramento di queste terre, in ossequio ai nuovi principî, da parte del demanio piemontese, la loro messa in vendita, il loro acquisto, furono il trionfo degli speculatori, degli usurai, dei manipolatori di ogni specie, locali e piovuti dal Nord, i quali - sotto la protezione di un esercito di occupazione forte di 120 mila uomini e che, in 10 anni, bruciando paesi e paesani, massacrò 20 mila contadini in lotta per il pane, gabbandoli per briganti -diventarono, con l'ausilio di leggi non meno infami di coloro che le applicavano, i padroni inesorabili del contadino. Questi, messo nell'impossibilità materiale di pagare le tasse e i balzelli imposti da un Piemonte in eterno disavanzo finanziario, si vide portare via le scorte, gli attrezzi, la capanna, il campo; e ciò non da un feudatario "spietato", ma dal borghese "liberale". Così il contadino dell'ex reame delle Due Sicilie, il quale dal 1830 al 1860 aveva fruito di una condizione economica assai migliore di quella dei lavoratori della terra del resto della Penisola, si vide con l'Unità depredato addirittura anche del lavoro. E questo in quanto i nuovi proprietari della terra - introducendo colture industriali (agrumi e ulivo) in sostituzione di quelle che coprivano il fabbisogno alimentare e tessile delle popolazioni locali, contadine e cittadine - non ebbero che una preoccupazione: quella di realizzare sempre maggiori profitti finanziari, pure a totale scapito del lavoro (l'industrializzazione di quei tempi!). Così le campagne del Mezzogiorno, sacrificate all'industrializzazione agricola locale e tradite dalla politica per lo sviluppo delle manifatture del Nord, non furono più nella possibilità materiale, come lo erano state nei secoli, di assicurare alla popolazione del Sud, anche delle città, neppure la propria alimentazione. E fu lo sfacelo [1]. Si interruppe in conseguenza - tra l'altro - la corrente migratoria della mano d'opera, che sino allora si era spostata dal Nord al Sud, mentre i contadini meridionali, cacciati per fame dalle loro terre, furono costretti alla fuga verso il Nord e l'estero. Fenomeno che non tardò a trasformare l'intera Penisola in una immane colonia di sfruttamento umano, dove nuovi negrieri razziavano ogni anno, non più africani, ma un crescente contingente di disperati bianchi, il cui numero salì progressivamente da 107 mila - media annua del periodo 1876 -1880 - a 310 mila, media annua del periodo 1896 -1900, a 554 mila, media annua del periodo 1901-1905, a 651 mila, media annua del periodo 1906-1910, a 711 mila nell'anno 1912, a 872 mila nell'anno 1913, anno di vigilia della prima guerra mondiale, che troncò questa tratta, sino alla fine delle ostilità, per fornire carne da cannone, in abbondanza, alle offensive, negazione della strategia, di un altro piemontese. Nessun documento meglio di queste cifre potrebbe illustrare i risultati economici, sociali e umani della politica della borghesia italiana "liberale" di quegli anni. Borghesia che doveva trovare in Giovanni Giolitti il suo personaggio più rappresentativo, diventato direttamente o - per pochi mesi - tramite i suoi luogotenenti Fortis e Luzzato, dal 1903 al marzo 1914 capo del governo e, attraverso la burocrazia e la corruzione, padrone assoluto del Paese. Politica che costrinse, nell'ultimo biennio dell'era giolittiana, oltre un milione e mezzo di italiani a emigrare; più della metà dei quali oltre Atlantico, verso l'inferno delle fazende brasiliane, delle miniere e ferriere della Pennsylvania, dei mattatoi di Chicago, degli angiporti e dei bassifondi di Buenos Aires e di New York; caricata per maggior utile degli armatori del Nord, in condizioni di poco meno disumane di quelle fatte all'inizio del secolo scorso dai negrieri agli schiavi portati sui mercati delle due Americhe.

L'emigrazione è ancora considerevole ma minore, tra il il 1920 e il 1925.
I 600000 morti e le centinaia di migliaia di invalidi "lasciano qualche posto di lavoro in più", ma tra il 1921 e il 1926 ancora 1380000 italiani lasciano la penisola.
Ma qualcosa sta cambiando: questo dato ancora ampiamente negativo tra il 1926 e il 1930 si riduce a sole 376000 unità: il dato più basso dal 1861.
COSA E' CAMBIATO IN ITALIA PER GIUSTIFICARE QUESTA CONSISTENTE E RAPIDA INVERSIONE DI TENDENZA?
IL SEGNALE PIù CLAMOROSO CHE QUALCOSA DOPO 65 ANNI DI UNITà STA CAMBIANDO è PROPRIO LA FINE, LETTERALE, DELL'EMIGRAZIONE. COL REGIME FASCISTA IL FENOMENO SI RIDUCE PROGRESSIVAMENTE FINO AD ESSERE SOPPIANTATO DA UN FENOMENO NUOVO: I RITORNI.
IL SALDO TRA EMIGRANTI ED IMMIGRANTI (ITALIANI CHE RITORNANO IN UNA PATRIA CHE EVIDENTEMENTE OFFRE OPPORTUNITA' E SPERANZE PRIMA NEGATE) TRA IL 1931 E IL 1940 E' + 200000!!!
COL FASCISMO GLI ITALIANI NON EMIGRANO PIU', ANZI TORNANO!!!!
QUESTI SONO DATI STATISTICI NON CONTESTABILI ED INEQUIVOCABILI. PER QUESTO TACIUTI O IGNORATI DALLA VULGATA RESISTENZIALE pseudo-italiana. IL FASCISMO STAVA FACENDO L'UNITA' MORALE ED ECONOMICA E QUESTI DATI STATISTICI SONO UNA CHIAVE INTERPRETATIVA NETTA.

Non solo, ma durante il fascismo anche i flussi migratori interni si riducono, segnale che c'è uno sviluppo più omogeneo all'interno del paese.

Guardacaso l'emigrazione riprende dopo la guerra, e addirittura cresce col passare degli anni. Anche i flussi migratori interni sono enormi, specie dal sud al nord. Tra il 1956 e il 1960, in pieno boom industriale, ben 822000 italiani emigrano, il dato peggiore dal 1926.
L'emigrazione andrà poi progressivamente a ridursi dall'inizio degli anni '70 fino a cessare verso la metà degli anni '80, per poi ricominciare alla fine degli anni '90 e crescere esponenzialmente nel decennio successivo. Mentre ondate sempre più consistenti di italiani scappano, vaste orde di immigrati spesso irregolari e chiaramente più disperati degli autoctoni che fuggono entrano nel paese. Ma in verità anche gli stranieri sono in calo nell'ultimo quinquennio...
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Safra




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MessaggioInviato: Mar Apr 03, 2012 7:29 am    Oggetto:  
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Grazie Tribunus...Questo tuo inserto e' di grande aiuto,la questione "emigrazione" infatti e' spesso usata contro il Fascismo.... questi dati sono davvero interessanti.
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"Ho tolto la libertà. Si, ho tolto quel veleno che i popoli poveri ingoiano stupidamente con entusiasmo. Ho fatto versare il sangue del mio popolo. Sì, ogni conquista ha il suo prezzo." Mussolini si confessa alle stelle.
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Marcus
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MessaggioInviato: Mar Apr 03, 2012 1:50 pm    Oggetto:  
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...in verità l'Italia era davvero "La Grande Proletaria" descritta dal Pascoli nel 1911, che nel 1940 era però diventata PROLETARIA E FASCISTA, osando addirittura mettere in discussione con le armi gli equilibri politici ed economici globali instaurati dalle plutocrazie reazionarie dell'occidente!
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" Forse che non conoscendo a fondo il pensiero del Duce si può affermare di essere fascisti? Noi diciamo di no! Che il fascismo non è istinto ma educazione e perciò è conoscenza della sua mistica,che è conoscenza di Mussolini" (N. Giani)
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Settimio Severo



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MessaggioInviato: Mar Apr 03, 2012 2:42 pm    Oggetto:  
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Questi sono dati che d'ora in avanti faranno sempre bella figura tra i miei appunti!! Grazie!
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tribvnvs
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MessaggioInviato: Gio Apr 19, 2012 11:57 am    Oggetto:  
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Non dimetichiamoci poi i Fasci Italiani all'estero.
Questo successo nell'eliminazione dell'emigrazione italiana non fu un caso: fu una precisa scelta politica e l'ennesimo successo del Regime. Mussolini nel 1923 definì l'emigrazione "una vergogna di stato" che doveva finire.
Per questo scopo, oltre a tutto il resto, vennero creati i fasci italiani all'estero che avevano innanzitutto scopi assistenziali materiali, ma accompagnati da assistenza morale, etica, psicologica, patriottica e culturale. Gli italiani all'estero dovevano andare fieri della loro Patria risorta, e possibilmente decidere di tornarvi.
In ogni caso dovevano sapere che la nuova Italia non li avrebbe abbandonati e lasciati: anche lontani avrebbero avuto una casa che li avrebbe accolti ed aiutati, sia moralmente che materialmente: il fascio all'etero.
Molti fascisti italiani all'estero vennero massacrati da compatioti e stranieri antifascisti e anti-italiani, un episodio dimenticato della causa della rivoluzione che non troverete mai su nessuno studio pseudo-italiano: dovete andare a rileggervi le vecchie pubblicazioni del PNF.

 

Per rendere più evidente il contrasto con l'attuale merdocrazia, pensate al voto degli italiani all'estero, l'unico fatto che attualmente costuisca il legame tra pseudo-italia e i suoi cittadini emigrati. Prima questi dovevano tornare in patria a votare, e sicuramente il senatore Tremaglia era in buona fede nella sua proposta di legge che poi è stata attuata nella relativa riforma costituzionale.
Ma la repubblica pseudo-italiana l'ha adottata per i suoi luridi scopi, non certo per un valore di italianità all'estero che non esiste minimamente.
Peccato infatti che questo diritto di voto all'estero coinvolga persone e discendenti di emigranti che, nella più parte, non abbiano alcun reale interesse nei ludi elettorali pseudo-italiani, forse anche meno di quanto ne abbiamo noi.
Il risultato - confermato da fatti acclarati e ben noti - è che i voti degli italiani all'estero sono in vendita. La scheda elettorale all'estero è, ancora più che qui, spesso un assegno da trasformare in contanti. Ed è più difficile che l'opinione pubblica nazionale, o la magistratura, se ne accorga, proprio perchè l'operazione avviene all'estero e lontano da possibili riflettori.
Non è un caso che quasi tutti, se non tutti, i deputati e senatori eletti all'estero siano plutocrati e affaristi che si sono comprati l'elezione per conto e per interessi di lobby e logge, ovvero sono dei pupazzi della mafia e della criminalità organizzata (che come ben sapete è da sempre ben radicata all'estero specie dove vi sono storiche comunità di emigranti italiani) che ne approfitta per aumentare il numero dei propri rappresentanti nel parlatoio.
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