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Politica-Liberismo

 
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RomaInvictaAeterna
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MessaggioInviato: Gio Apr 06, 2006 7:14 pm    Oggetto:  Politica-Liberismo
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Dalle filosofie empiriste e positiviste scaturisce la scuola economica e politica liberista, antitetica alla nostra concezione in modo netto, come quella marxista. Sono entrambe materialiste ed indicano, per versi opposti, nell'economia tutta la fonte del benessere morale e materiale....

liberismo

La corrente liberista di politica economica si sviluppò a partire dalla seconda metà del sec. XVIII nell'ambito delle idee della fisiocrazia (il cui maggiore esponente, François Quesnay, creò il motto Laissez-faire, laissez passer) e successivamente dell'economia classica e neoclassica. Se nei fisiocratici aveva avuto particolare rilevanza l'interesse verso l'agricoltura, il passo decisivo per la formulazione organica del liberismo si deve a Adam Smith, sostenitore della necessità della libertà di produzione e di scambio e dei vantaggi derivanti dalla divisione del lavoro. Ripreso e affinato da David Ricardo e John Stuart Mill, il liberismo si scontrò sino alla metà del sec. XIX con la politica rigidamente protezionista degli stati europei. Solo lo sviluppo della grande industria, l'aumento della popolazione e la rivoluzione nei mezzi di trasporto costrinsero i governi a una progressiva (ma mai integrale) applicazione del liberismo.
La dottrina liberista, richiamandosi al principio filosofico dell'esistenza di un ordine naturale immanente della realtà o ai principi utilitaristici teorizzati da Jeremy Bentham, sosteneva che la ricerca dell'interesse egoistico liberamente perseguito dall'individuo avrebbe condotto, grazie al gioco della concorrenza, al massimo vantaggio per la collettività. Il libero gioco del mercato concorrenziale è infatti ritenuto il meccanismo equilibratore dell'attività economica. Ne consegue che lo Stato non deve intervenire nell'economia, lasciando all'iniziativa privata piena libertà d'agire nelle diverse sfere della produzione e dello scambio, sia sul piano interno che internazionale (liberoscambismo).

Copyright © 2002 Motta Editore

Smith, Adam

Considerato da molti il fondatore della moderna economia, lo scozzese Adam Smith (1723-1790) fu anche un filosofo di ampie vedute. La sua opera più famosa, Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), ha avuto una influenza determinante sullo sviluppo della nostra civiltà.
L'attività intellettuale di Smith copre diversi campi. La sua prima opera fu un importante trattato filosofico, La teoria dei sentimenti morali (1759). Era ben versato negli studi scientifici e di storia, e contava fra i suoi amici il filosofo David Hume e l'inventore James Watt. Studiò nelle Università di Glasgow e Oxford, fu lettore presso l'Università di Edimburgo, e nel 1751 divenne professore all'Università di Glasgow. Tra il 1764 e il 1766 fece un lungo giro in Europa come tutore del duca di Buccleugh.
La tesi principale svolta da Smith nella Ricchezza delle nazioni è questa: eccetto che per alcune limitate funzioni (la difesa, la giustizia, le opere pubbliche) lo Stato dovrebbe astenersi dall'interferire nella vita economica di un paese (v. laissez faire). Tuttavia Smith non vedeva con favore le motivazioni degli uomini d'affari e dei mercanti. Scriveva: "La gente del medesimo commercio raramente s'incontra, neppure per visite mondane o per riempire il tempo libero; la loro conversazione finisce sempre per essere una cospirazione contro il pubblico, o un qualche espediente per alzare i prezzi". Ma riteneva altresì che gli operatori economici, pur mirando a fare il proprio interesse, sono guidati "come da una mano invisibile" a promuovere il benessere della società intera: è questa l'idea secondo cui un insieme di individui che agiscono singolarmente per il proprio interesse producono un mercato autoregolantesi.
Queste idee sono sostenute, nella Ricchezza delle nazioni, attraverso un'elaborata analisi del funzionamento dei sistemi economici e del loro sviluppo nel tempo. Smith cercò di dimostrare che la concorrenza sul mercato avrebbe condotto gli agenti economici a offrire esattamente il quantitativo di beni desiderato dai consumatori, a produrre questi beni in maniera efficiente e a farli pagare esattamente ciò che valgono. Smith vedeva nel monopolio, privato o statale, il male da combattere, e sosteneva che la concorrenza è ciò che promuove gli interessi migliori nella società. Egli affermava inoltre che la crescita economica, che dipende dall'accumulazione del capitale e dalla divisione del lavoro (Smith apre la Ricchezza delle nazioni con la celebre descrizione degli effetti benefici della divisione del lavoro sull'economia), sarebbe stata meglio promossa, e i risultati sarebbero stati più soddisfacenti, dagli sforzi dei privati piuttosto che dello Stato. La gente avrebbe risparmiato e investito per il futuro per l'intrinseco desiderio di ciascuno di migliorare le condizioni di vita.
Infine, Smith criticò aspramente gli autori mercantilisti della sua epoca, che invocavano l'intervento dello Stato sul commercio internazionale per ottenere un afflusso di valute e capitali esteri. Smith sosteneva, forse in parte a torto, che il mercantilismo confondesse la moneta e la ricchezza, ignorando il fatto che l'unico vero ruolo della moneta è quello di mezzo di acquisto dei beni. Egli affermava che il libero scambio accresce la ricchezza delle nazioni, mentre le restrizioni al commercio la riducono.
Vedi anche: economia; politica economica.

Copyright © 2002 Motta Editore

laissez faire

L'espressione francese laissez faire (lasciar fare) indica in economia la dottrina secondo cui la miglior politica economica consiste nel lasciare che gli agenti economici operanti sul mercato prendano le loro decisioni senza alcuna interferenza del governo. La dottrina della non interferenza venne enunciata per la prima volta dai fisiocratici nel sec. XVIII, in reazione alle politiche restrittive del mercantilismo. Strettamente connessa al concetto di libero scambio, questa concezione fu uno dei fondamenti dell'economia politica classica di Adam Smith. Più tardi, Jeremy Bentham e John Stuart Mill applicarono la nozione economica di capitalismo del laissez faire alla teoria politica utilitaristica e individualistica, e gli economisti della scuola di Manchester John Bright e Richard Cobden la utilizzarono ampiamente a fini politici pratici.
I principi del laissez faire si affermarono ancor più nel sec. XIX; ma la crescente pratica del monopolio e i costi sociali della Rivoluzione industriale diedero adito all'intervento sempre più frequente dello Stato nell'economia. I moderni sostenitori del laissez faire pongono l'accento sull'importanza, per lo sviluppo economico, dell'incentivo al profitto e dell'imprenditore privo di vincoli. L'espressione laissez faire è stata tuttavia ampiamente soppiantata da termini quali economia di mercato o libera impresa.
Fra gli economisti del nostro secolo, John Maynard Keynes fu uno dei critici più acuti del concetto di laissez faire (il libello La fine del lasciar fare, scritto da Keynes nel 1926, ne è un esempio) e delle sue implicazioni sul non intervento dello Stato in materia economica; Milton Friedman rappresenta invece il polo opposto, ossia l'invocazione più decisa dei principi del laissez faire e della libera impresa, come una soluzione dei problemi dell'economia (Liberi di scegliere, pubblicato verso la fine degli anni Settanta, è un suo "manifesto" in tal senso).

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