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COSA E' IL "BORGHESE"? L'ANTICIVILTA'!

 
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RomaInvictaAeterna
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MessaggioInviato: Sab Giu 09, 2012 2:42 pm    Oggetto:  COSA E' IL "BORGHESE"? L'ANTICIVILTA'!
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Pubblichiamo un ampio estratto da "S. Gatto, “IL BORGHESE”, Padova, 1941, Quaderni della “Scuola di Mistica Fascista Sandro Italico Mussolini”, Cedam"

In questo libello vi è descritta la sintesi, SPLENDIDA, delle caratteristiche ANTICIVILI che il Fascismo contrasta e incarnate da ciò che lo stesso Fascismo definisce come "spirito Borghese"!

Leggendolo noterete come NOI TUTTI, NESSUNO ESCLUSO, possiamo identificarci in alcune delle caratteristiche ivi descritte, o in tutte. Come esse abbiano fatto parte di noi, dell' "educazione sociale" che abbiamo ricevuto nella repubblica delle banane antifascista, come siano state da noi attuate in una parte della nostra vita, in tutta, o lo siano tuttora.

Il problema che vuole risolvere il Fascismo, infatti, basandosi sul fondamento della sua monumentale Dottrina Politica (che sta imprescindibilmente a monte di questo stesso scritto!) è esattamente questo: abbattere l'anticiviltà "Borghese" (secondo il significato antimaterialista e spirituale che IL FASCISMO e soltanto esso da a questo termine!).

Non possiamo dire che nessuno di noi ne sia stato o ne sia immune. Ciò va onestamente riconosciuto. L'unica cosa che possiamo e dobbiamo schiettamente domandarci però è questa: CHI VUOLE CAMBIARE?

Noi, qui su IlCovo, a questa domanda abbiamo risposto sempre in modo chiaro e netto, forti della nostra intransigente ortodossia fascista! ...vogliamo cambiare... E VOI ?

Buona lettura! ...per chi non è troppo pigro, ovviamente!

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"La mistica appunto precisa questi valori...nella loro attualità politica...e dimostra l'universalità di luogo e di tempo del Fascismo"(Giani)


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MessaggioInviato: Sab Giu 09, 2012 3:01 pm    Oggetto:  
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IL BORGHESE

Premesse
Taluni scrittori nello studio della borghesia sono caduti in una deplorevole confusione, portando sul terreno politico- morale elementi del campo storico o economico. Si sono verificati e diffusi cosi, in buona o in mala fede, nelle persone disattente o superficiali, sbanda meriti di pensiero; errate valutazioni e deviazioni dai principi dottrinari della Rivoluzione Fascista. Nella determinazione del “borghese” non si deve e non si può generalizzare. Le frasi fatte e le girandola di parole sono pericolose nelle enunciazioni politiche. Si dice spesso: “borghese è chi va contro il nuovo”. Ma una tale affermazione è per lo meno azzardata. Bisogna naturalmente distinguere, anche se il sofista che scrive di politica a questo punto si alzi e affermi che distinguere è borghese. Sarà nuovo certamente dire "andiamo a occupare il sole", ma chi lo dice non è un anti-borghese nè un rivoluzionario; se non è un pazzo,sarà uno sciocco certamente. La borghesia, che il DUCE ha identificata come nemica del fascismo è uno stato d’animo, una tendenza,, una mentalità, una categoria politico-morale, un complesso di gusti e di abitudini,un modo di vivere. Lo spirito borghese, permeando l'individuo,denuncia, chiaramente nelle diverse attività umane e sociali, la sua presenza e la sua immanenza. La mentalità borghese può affiorare e si può riscontrare in tutti gli aspetti della vita e in tutte le attività degli uomini di ogni tempo, nell'economia come nella cultura, nella morale come nella politica. È un errore, però, credere che ciò avvenga sempre, con un’assolutezza matematica e indistintamente per tutti gli atti esteriori di vita. L’essere borghese, consistendo in uno stato d'animo, si può concretare in poco o in molto, nel tutto o nella parte. Non c’è dubbio che la borghesia morale formi e possa formare una categoria sociale, per la complessità e la quantità dei suoi atteggiamenti. Essa ha infatti tendenze e gusti propri, diversi da quelli di altre categorie sociali, che si assommano negli atti e nei sentimenti costitutivi del singolo borghese. La confusione più diffusa e più pericolosa è quella che identifica la borghesia morale, quella indicata come ostile alla Rivoluzione, con la borghesia ceto economico. Un'altra confusione, meno appariscente ma non meno pericolosa, è quella che identifica la borghesia ceto economico con le idee che la borghesia, categoria morale,ha sull'economia. In altre parole nella realtà economico-sociale giocano: 1°) una borghesia economica; 2°) un complesso di vedute e sentimenti della borghesia morale nei confronti dei fatti economici. La prima può identificarsi con la borghesia morale, ma può anche non identificarsi; il secondo è l’atteggiamento economico della borghesia morale. Tanto la prima quanto il secondo non possono e non debbono essere confusi fra di loro: non dipendono e non sono interdipendenti. La borghesia economica è il ceto dei possidenti. Nel senso strettamente economico è la posizione intermedia tra il ceto capitalistico e i ceti operai. Ma il borghese morale non è per definizione l’agiato. È indifferente che tale borghese sia un possidente o meno: nella realtà sociale ci sono un capitalista borghese e un intellettuale borghese ma c’è anche un operaio moralmente borghese. Si può essere ricchi e antiborghesi, si può essere poveri e borghesi: antiborghesi e borghesi di spirito, naturalmente. Se l’agiatezza porta spesso a un modo oli concepire e vivere la vita che è moralmente borghese e se la povertà a sua volta conduce ad un modo di concepire e vivere la vita che è moralmente antiborghese ciò non autorizza certe deduzioni. La confusione è stata incoraggîata dalla constatazione che il borghese morale è genere, economicamente un soddisfatto. Il male borghese infatti è più diffuso nei ceti agiati, perché l’agiatezza generalmente non spinge alla lotta e al lavoro, mentre è meno conosciuto nei ceti non agiati per la ragione opposta. Uni proprietario, un datore di lavoro, che non sfrutta i prestatori d’ opera ma invece li assiste, che fa produrre terra e non attende le rendite dal variare delle stagioni, che non si ritiene un "unto del Signore", neppure del “signore dell’ oro “, uno che pure ha rischiato la pelle nelle squadre e non attende il foglio di mobilitazione, che vive insomma la propria vita come la vive un fascista ed è nel Partito un militante, non può e non deve essere chiamato e definito un borghese nemico del Fascismo, per il solo fatto che è un possidente. Evidentemente qui si confonde il borghese economico e il borghese morale, con conseguenze di ordine politico incalcolabili. A un certo punto, su questo terreno, a furia di affermazioni antiborghesi non controllate e non,misurate, si potrebbe definire tranquillamente, nel comunismo, in quello teorico s’intende, perché nel fatto pratico il comunismo, almeno quello realizzato in Russia nel paradiso dei Sovieti, è cosa molto diversa. I partiti estremisti , infatti, sono stati sempre antiborghesi, perchè in genere considerano la borghesia come ceto; la loro antiborghesia ha origine generalmente dal fattore economico. La letteratura socialista da la qualifica di borghesi a tutte le società nazionali che non hanno respinto il sistema capitalistico. Gli scrittori sovietici, anche per tale motivo, considerano come movimenti borghesi le rivoluzioni fascista e nazionalsocialista. Se la confusione dei due tipi borghesia fosse possibile, il fatto che l’ uomo lavora e che comunque il lavoro lo porta a una remunerazione e talvolta a un risparmio, potrebbe,in un modo facilone e unilaterale di giudicare,condurre alla affermazione che tutti gli uomini che lavorano sono borghesi o tendenzialmente tali. In questo senso allora anche il corporativismo fascista dovrebbe condurre alla borghesia.Il che è non solo un errore grossolano, ma una contraddizione, perchè il corporativismo fascista è un superamento della borghesia come ceto economico. Nè può essere sostenuto anche nel senso strettamente economico, sulla falsariga delle idee socialiste, che la borghesia sia nata con la società capitalista e che la società capitalista dia origine alla borghesia. La borghesia economica esisteva anche prima del capitalismo: come ceto economico può non essere di ogni tempo, può scomparire o essere superata. La borghesia come categoria morale, come tendenza e come costume, è invece quella che può essere ed è di ogni tempo.Quando si afferma che i borghesi hanno fatto la rivoluzione francese ed erano a quel tempo dei rivoluzionari, così come quando si fa appello alla funzione e alla partecipazione eroica e rivoluzionaria della borghesia italiana nel risorgimento nazionale, si vuole approfittare della confusione avanti rilevata. Evidentemenete il borghese morale cerca ingenuamente, e maldestramente, difese e pezze di appoggio. In tali eventi storici, infatti, non si allude alla borghesia quale categoria morale, ma invece alla borghesia come ceto e come condizione economica. La borghesia che appare storicamente dal basso medio evo era costituita infatti da commercianti, banchieri e professionisti. Tendevano a formare, con il tempo, un nuovo ceto, insinuatosi tra la feudalità terriera e cittadina da una "parte e la plebe e i contadini dall’altra. Questo ceto che fu l’ossatura della vita comunale e altrove, assieme alla burocrazia regia divenne l’elemento creatore e amplificatore dell’illuminismo. Questo tipo di borghesia rappresentò lo svincolamento dai legami feudali e dalla soggezione ecclesiastica.La sua cultura può essere classificata storicamente tra quella cavalleresca e quella ecclesiastica. I suoi sentimenti e i suoi atteggiamenti ebbero senza dubbio notevole valore nel progresso sociale. Alcune concomitanze e apparenze, che possono essere considerate come persistenti residui o come atteggiamenti dell’uomo, continui nel tempo, non debbono trarre in inganno e suggestionare nello studio della borghesia contemporanea, come ceto economico e come categoria morale. Basterebbe solo pensare al fatto che i mezzi e i metodi di lotta, usati dai borghesi contro i feudatari e gli ecclesiastici, sono poi gli stessi di quelli che, sotto la spinta degli immortali principi, nei tempi moderni sono stati e sono usati dal proletariato contro i borghesi. Dunque una cosa è la borghesia categoria economica, un’altra cosa è la borghesia categoria morale. La borghesia che fece la rivoluzione francese e quella che decise il risorgimento italiano non sono, in senso astratto, la borghesia morale che il Fascismo combatte; non si è dimostrato e non si può affermare che il borghese morale sia in assoluto un agiato, un possidente, un uomo delle classi medie. Non solo, ma distinguendo le due borghesie, può essere sostenuto che anche la Rivoluzione fascista è genericamente borghese,chè il Fascismo sorse, e non poteva essere diversamente, dalla borghesia economica, dal ceto di mezzo, come quello che mediava il capitale e il lavoro, le esigenze dell’uno e le necessità dell’ altro, le tendenze individualistiche del primo e le aspirazioni sociali del secondo. Del resto già negli “orientamenti teorici e postulati pratici dei Fasci di combattimento“ del 1920, si affermava che “la realtà non mostra una borghesia, ma dieci borghesie”, che nella borghesia “i fascisti distinguono gli elementi parassitari dagli elementi produttori” e che “ i fasci riconoscono il valore grandissimo della borghesia del lavoro”. Mussolini ha sempre distinto borghesia da borghesia e sopratutto la borghesia produttiva. E non ha fatto confusioni. Nel 1919, Egli già scriveva, nel Popolo d’ltalia “ci sono borghesi contro altri borghesi, proletari a fianco di altri borghesi; ilvecchio dualismo classista fra borghesia e proletariato si frantuma per dar posto a un’altra antitesi non soltanto di interessi, ma soprattutto di ideali”. Nel 1931,Mussolini affermava: “ questa concezione filistea piccolo-borghese della Rivoluzione fascista è da respingere come una parodia e un insulto” e ancora più crudamente nel 1934: “un pericolo tuttavia può minacciare il regime: questo pericolo può essere rappresentato da quello che viene chiamato “spirito borghese”, spirito cioè di soddisfazione e di adattamento tendenza allo scetticismo, al compromesso, alla vita comoda, al carrierismo”. Quando si parla di borghesia, quindi, bisogna chiarire il significato e il valore di questa parola. Non sarebbe inopportuno, ad evitare confusioni, volendo definire la borghesia in senso economico, indicarla come ceto; il ceto richiama infatti il concetto di fattore economico, mentre la categoria ha più che altro una portata sociale. È certo quindi che la borghesia economica deve tessere distinta dalla borghesia morale, e che la borghesia non deve grossolanamente essere qualificata come nemica del Fascismo. In merito poi dalla seconda meno appariscente confusione, il borghese morale ha nei confronti dell’economia un complesso di sentimenti e di risentimenti che non coincide sempre, e talvolta è anzi in contrasto con quello del borghese economico. La Borghesia categoria morale tende a diventare, se non lo è, ceto economico , o a restare tale se lo è. Il Borghese Morale, anche se non è agiato, vede il danaro come la misura degli uomini. Egli non conosce e non crede alla forza dello spirito e del sentimento.Tali atteggiamenti sono del borghese morale, ma non si riscontrano sempre nel Borghese economico, a meno che egli non sia nel tempo stesso un borghese morale. Si è visto sin qui quali relazioni esistano o possano esistere, tra l’economia e la’ borghesia e si sono poste alcune indispensabili distinzioni. La Rivoluzione Fascista, al di fuori e al disopra delle contraddizioni e delle chiarificazioni, considerata nei suoi diversi piani, storico, economico e morale, è il superamento e la negazione della borghesia, di quella morale e di quella economicia. E’ il superamento nell’ ordine storico,perché il Fascismo non governa a nome di una classe, del ceto di mezzo, ma a nome di tutte le classi e categorie, in nome della Nazione. Il Fascismo ignora le divisioni sociali: la Società nazionale è un corpo unico; la divisione delle classi non ha senso e non ha valore nella vita dello Stato Fascista. E’ superamento nell’ordine economico, perché le limitazioni della proprietà privata e della iniziativa individuale son tali da avere trasformato il concetto e il valore della proprietà privata e della iniziativa individuale. Il Corporativismo, sul terreno economico, supera e nega la borghesia come ceto, ma anche la borghesia come categoria morale. La proprietà privata ha acquistato nella Rivoluzione Fascista una funzione sociale: il Fascismo si è sganciato dalla assolutezza del diritto romano. Con il corporativismo il Fascismo , ha ucciso il liberalismo economico. L’ iniziativa individuale non è più il libero arbitrio, ma l'esercizio di un diritto che non può intaccare, compromettere o diminuire gli interessi generali e collettivi che compongono la Nazione. La Rivoluzione Fascista è poi la negazione della borghesia nell’ordine morale, perché il Fascismo poggia sulla dinamica, crede nella santità e nell’ eroismo, afferma la morale guerriera, potenzia la personalità individuale. Il Fascismo è per la vita dura, per il pericolo, per il disinteresse, per il sacrificio. Il Fascismo in tutti e tre questi ordini, storico, economico, morale, vive e si impone con un segno comune, essendo il superamento e la negazione della borghesia. E’ negazione e superamento della borghesia, perché il Fascismo crede in quel “valore” che è la Nazione non come somma del popolo ma come Ente superiore agli uomini, a quelli che furono a quelli che sono e a quelli che saranno; come una realtà che chiede rinunce, abnegazione e dedizione.Lo Stato Fascista-corporativo ha infatti un valore spirituale perché, con il senso dell’interesse collettivo e generale, spinge a superare l’interesse individuale ed egoistico che è nel fondo degli uomini. La soluzione della questione sociale non è un fatto di interesse singolo o di categorie, non si risolve con una serie di provvidenze a favore di date categorie di prestatori d’opera, ma è un atto intrinseco alla Rivoluzione, è la Rivoluzione stessa in cammino verso una più alta giustizia sociale. Accorciare le distanze vuol dire, anche sul terreno economico, superare la borghesia come ceto e distruggerla come stato d’animo. L'azione che tende alla soluzione della questione sociale è generale, visibile e invisibile : può anche non apparire talvolta con fatti esterni, ma essa sostanzia tutta l’azione del regime, è l'idea che partecipa a tutti gli atti dello Stato e della Rivoluzione. Per tale aspetto profondo ma normale della azione rivoluzionaria del Fascismo, non si può dire che la soluzione della questione sociale interessi una categoria o un gruppo, una o più classi, che agisca su una parte, o tenda a modificare e a elevare gli strati più bassi della società nazionale, ma si deve affermare che essa investe tutte le categorie e tutte le classi tutti i ceti di ogni ordine e grado,in senso benefico e potenziatore. Si crea così uno spirito, un’atmosfera sociale di collaborazione che è intrinsecamente necessariamente azione. In tale atmosfera il borghese muore.
Ecco perché il borghese è l’antirivoluzione. Per combatterlo bisogna conoscerlo bene; senza equivoci e senza confusioni. Bisogna metterlo a fuoco. Lo si può riconoscere ogni giorno nel modo di pensare e nel modo di vivere. L’ azione antiborghese perciò deve essere la pratica di ogni giorno. Lo spirito borghese si combatte difendendo la personalità, chiamando al misticismo, educando all’ eroismo. La borghesia si scavalca modificando la struttura economica della società nazionale e risolvendo la questione sociale con il corporativismo.La borghesia morale e quella economica si superano coltivando il disinteressato sacrificio e la serena abnegazione del rivoluzionario. L’antiborghesia è un modo di vivere che si riconosce e si identifica nel modo di vivere fascista: l’azione antiborghese si concreta, si risolve nella dottrina e nella pratica del Fascismo. Fascismo e Borghesia sono due abiti di vita, due modi di concepire e vivere la vita, in netto contrasto tra loro. La realizzazione dell’antiborghesia nella società nazionale è un compito del Partito: è necessario che il Partito eserciti un controllo continuo anzitutto sui propri componenti , anche se l’esercizio di questo controllo sia pesante e comporti ostilità, attriti e inimicizie senza numero e senza nome. Gli uomini in genere sono portati a sedersi anche se Iddio ha dato loro le gambe per camminare. In fondo ad ogni uomo dorme la Borghesia; la vita gioca tra il quietismo e l’eroismo, tra egoismo e altruismo. Non bisogna sentirsi soddisfatti dell’ ubbidienza formale: è necessario guardare dentro, se c’è la Fede. Il borghese morale diventa ancora più pericoloso quando impara il frasario rivoluzionario dell’ “armiamoci e partite “:il borghese tende anche a questo, perché sa che le rivoluzioni che dicono una cosa e ne fanno un'altra sono spiritualmente e moralmente finite. Nella lotta contro il borghese bisogna avere l'intolleranza del credente; piena fede nel dogma. Il borghese morale è duro a morire. Egli è camaleontico e naturalmente vigliacco. Scoperto nelle comode difese, isolato, indicato al disprezzo, smascherato e messo in ridicolo il borghese morale, nel passo incalzante della Rivoluzione, se non riuscirà a rifare la sua vita, morirà di crepacuore dietro la persiana o come resterà come un trascurabile e povero paracarro ai margini della storia in cammino. La Borghesia Morale ha finalmente trovato nel Fascismo il suo affossatore: troverà inesorabilmente la sua fine nella eternità della rivoluzione continua. Via via che la Rivoluzione Fascista avanza le borghesie, l’economica e la amorale, perdono terreno, come ceto e come categoria.

Il Sentimento

L'anima per il borghese non esiste. Il problema dell'immortalità dell’anima per lui non ha alcun valore: il borghese non può credervi . E’ contro la sua natura. Tutto ciò che non può vedere e non può toccare è il nulla. Il sentimento per il borghese è una anomalia, una deviazione. Egli non sa che il sentimento costruisce, dove la ragione distrugge. La filosofia, anche come elementare spiegazione delle cose, lo scoccia prima che interessarlo. Il borghese è sempre per l'oggettività nel mondo fisico e per la soggettività nel mondo morale: è vero ciò che si vede e si tocca; è vero ciò che egli crede. È positivista: tutto ciò che non è sperimentabile per lui non esiste; Il sentimento è la vela dell'uomo d'azione e il borghese naviga a remi sulle acque stagnanti della cautela. Il sentimento è la luce del corpo ed il borghese vive invece nella penombra e nella sonnolenza dello spirito. Il sentimento per lui non è neppure accessorio: è superfluo, è un accidente, nel senso comune e in quello filosofico. L’anima è la fede, nella vita e nell’aldilà, nella bellezza del creato e nella grandezza di DIO: e il borghese è moralmente cieco, sordo e zoppo. Il sentimento guida sopra le lotte i contrasti umani, incontro all’avvenire: e il borghese è al tramonto quando è appena all’alba. Il borghese è sempre pietista: “ ma che male ti ha fatto?” Ma è anche falso: con la stessa pietosa superiorità dice : “peggio per lui , chi glielo ha fatto fare? “.Il borghese afferma che il sentimento lo annebbia. Personalizza tutto: personifica le idee e il sentimenti e dal caso particolare generalizza. Per lui una infrazione diventa la regola, una lacuna il vuoto. Non vede al di là del suo simile e non vede che il simile. Non sa spersonalizzare.Ha formidabili pezze d’appoggio: conviene con Marx che i sentimenti sono “ superstrutture “, con Nordau che sono “menzogne convenzionali “ , con Pareto che sono “residui “ , con Trotsky che sono “oppio per i popoli”.Per sostenere le sue idee parla anche a nome del diavolo con la mano immersa nell'acqua santa: egli è disonesto. Il mussoliniano “credere obbedire combattere “ è intraducibile nella lingua borghese. Il borghese è una macchina pensante con un tubo digerente.

L’Ideale

Il Borghese non ha un ideale. Non può essere nè eroe, nè santo. Egli è un metodo. Pondera sempre. L’ideale per lui coincide con il suo modo di vivere. Egli pensa a se stesso. E’ un filisteo. La vita per il borghese è bottega .L'ideale è uno stimolo alla lotta, una preparazione al sacrificio, la gioia di vivere, ed il borghese è solo costante nell’avvilimento progressivo del suo spirito e del suo corpo. Non ha miti. Non ha credenze. Il vizio di questa epoca è la borghesia. Tutto è indifferente’ per il borghese: egli è impermeabile, impenetrabile. Non tende a elevarsi, non si eleva su se stesso : il suo io è più grande di lui, le esigenze feroci del suo corpo non perdonano e non lo lasciano mai. È un sughero. è disseccato. Non ha tentazioni e perdimenti. Niente diviene: tutto è, per lui. In lui lo spirito e la materia non si bilanciano, non hanno altalene; il piatto della bilancia pende nettamente, disperatamente per la materia. Se l'interesse potesse essere un ideale, il suo ideale eccolo: è l’interesse.E’ ostinato, indurito, incallito.
Al borghese sembra di fregarti quando dice: “ io sto sul terreno dei fatti “ :egli conta sempre sugli inesorabili residui che sono nell'attuazione delle idee, dei sentimenti, delle dottrine. I “tuoi “ fatti non sono mai i “suoi” : i tuoi sono le pietre di un cammino, i “suoi “ il tentativo di dimostrare da casi spuri da lui generalizzati, che è inutile andare avanti e che o non si deve. Non può mai fare niente di grande nè parteciparvi.Il borghese lentamente si esaurisce. A lui non può mai essere detto che è un “pazzo”. La sua vita non da sorprese: è costanternente a zero; immobile sull’alba del mondo. La sua vita è quella delle specie inferiori. Per il borghese la fede non illumina la ragione: la spegne.Il borghese è contro le grane: è conformista. Il centro motore è fuori di lui. Il borghese è più vicino all’animale che all’uomo.

L’Intelligenza

Il Borghese può avere dell’ingegno, raramente dell’intelligenza. Applica quel poco di intelligenza che possiede a sfuggire la fatica, a evitare le responsabilità. La sua intelligenza non è affettiva,passionale: è funzionale, utilitaristica. Non ha idea esatta di niente. Spesso. anche sul terreno dell'ingegno è un truffatore. Il borghese non è mai un genio. Il suo ingegno è strisciante. Fa soltanto ciò che gli conviene. Il cervello è per lui niente più che glandola a secrezione interna. Non si accorge di pensare. Spesso è affetto da daltonismo intellettuale: non sa comprendere molte cose. La mediocrità dell’ intelligenza lo porta a giudicare tutto. La mancanza di curiosità lo fa pigro e plantigrado. È sospettoso. Per lui non c’è niente di nuovo sotto il sole: per questo egli non si muove mai. Il borghese ragiona sempre, vuole ragionare su tutto. Spacca il pelo in quattordici: è un cacamillesimo nato.L'intelligenza del borghese è tutta chiusa nella sua condotta :entrambe riposano. Deve catalogare sempre per forza ciò che non riesce a incasellare nei “suoi” schemi non lo capisce. Distingue subito ciò che e utile da ciò che nonlo è: in questo è forse infallibile. L’esperienza interna nel borghese non funziona è guasta, egli non ha una coscienza morale: in lui domina l'esperienza delle cose.
Il borghese nega e non riconosce l’intelligenza altrui: nessuno è più intelligente di lui. È un furbo. Egli non riconosce idee-forza. Il borghese ha degradato l'intelligenza : l'ha messa al servizio del suo ombelico; l’Intelligenza non è la luce delle sue giornate e del suo cammino.
Per lui l'intelligenza è la fredda ragione. Ama la penombra. Riposa beato e in beatitudine nella ninnananna della mediocrità. Il borghese è una rapa.

Il carattere

Il Borghese ama l'apparenza. Vuole soltanto apparire e non essere: l'essere è impegnativo, l’apparire è cangiante.Per sua tranquillità ha bisogno di sentirsi vario, liquido, duttile, malleabile, adattabile. Non ha amor proprio; È viscido, gesuitico.Non ha e non può avere carattere. La fermezza non è di sua natura. La sua spina dorsale è di gomma elastica. L’austerità e la dignità non sono il suo pane quotidiano :è un versipelle. Egli non è di alcuno. Il borghese è in fondo un degenerato : ha perduto i primitivi requisiti che lo facevano atto alla lotta. È un quietista, non è religioso: non crede in Dio.E’ un quietista fisico e morale: vuol muoversi il meno possibile, non ha idealità.Egli odia il carattere e gli uomini di carattere, che sono un eterno rimprovero per lui.Sa che il carattere è una roccaforte, che sta ai crocicchi delle grandi strade; e il guscio della sua elasticità è fragile. Egli si vendica dicendo che ” questo mondo non ama il carattere “, che “ gli uomini di carattere si rompono le ossa”, che “il carattere rovina, l'avvenire degli uomini”: nella borsa borghese il carattere non è quotato e non ha valutazione, perché non trova acquirenti. Il borghese non paga mai di persona egli è sempre ammanigliato e conveniente zavorrato. Inseguito sino nelle retrovie della coscienza,si dlifende dicendo: “ ma il mio carattere è questo”. E “il carattere non si modifica si nasce così " . Egli si addormenta inginocchiato nel fango della vigliaccheria, sul molle cuscino delle comodità . Talvolta pare che cammini dietro un altro, ma non è che apparenza: è il cammino di quell'altro che in quel momento è accanto o avanti a lui. L’altro avanza, e lui resterà fermo il tempo lo dirà.
Il Borghese è un passacarte: egli è l’inventore dell’ “ordine che viene dall’altro”. Il Borghese è per i vizi segreti.

L’adulazione

Il Borghese è adulatore per il tempo indispensabile a raggiungere e a ottenere quanto desidera. Egli non loda alcuno. L’adulazione è comunque il riconoscimento sia pure esagerato e tronifio, dell’altrui qualità e virtù: e il i borghese non riconosce altre qualità e virtù che non siano le sue proprie personali. Il borghese può far tutto teoricamente. Lo si sorprende spesso a dire: “se io fossi il Duce “, “se io fossi il Ministro”, “ se io fossi il federale” : egli si pone sullo stesso piano e anche al disopra . Non può per costituzione essere adulatore.
Egli non vede distanze morali e intellettuali è tutto e potrebbe fare qualunque cosa. La gerarchia per il borghese non esiste. Ogni altro uomo, dovunque stia e qualunque cosa sia,è uguale a lui; lodarlo significa riconoscersi inferiore: per questo lodare, per il borghese, non è un abitudine ma un mezzo per conseguire uno scopo ed è limitato nel tempo.
Il borghese è accostante: adora la stretta di mano. Ama accoratamente di essere adulato. E’ un perdimento sentirsi rincalducciato e coccolato, come un fiore di serra. Si rimpinza di adulazioni,non per muovere all'assalto o vincere la sua inerzia, ma per appesantirsi più nelle sue credenze e snelle sue abitudini.
Il borghese è sempre soddisfatto del suo lavoro.
Il venticello dell’adulazione suona alle sue orecchie come il canto delle sirene: lo snerva,lo incanta , lo annulla, lo india. Il borghese si sente su un trono: si esalta e si affonda nel trono della mediocrità.

L’ambizione

Il borghese non è ambizioso nel senso comune:lo è in senso astratto. L’ambizione è irrequietezza,desiderio d'essere superiore, volontà di distinguersi. L’ambizione porta a muoversi, a combattere, ad agire e il borghese non vuole scomodarsi. La sua ambizione non è quella del lavoro, dell’andare più avanti, di conquistare strade nuove e terre sconosciute. Il borghese e esibizionista: in senso morale s’intende, perché lavorare non vuole. È dominato dall’ambizione astratta di essere additato come esempio, elevato a simbolo: la sua ambizione è quella di sapersi in un rettangolo di cornice, adorato, onorato’, ammirato, senza che per questo egli debba lasciare la accogliente poltrona, il silenzio della coscienza, la monotonia delle giornate.
Egli è ancora per il “tubo di stufa “ : il cilindro lo circonfonde di incenso.
Più che ambizioso egli è inanemente vanitoso. La sua incontentabilità è contemplativa, passiva.
Egli non è neppure abulico, è aldilà dell’abulia; non solo non vuole eseguire: non lo desidera neppure.ll Borghese è amorfo: non sa esattamente mai ciò che vuole; una sola cosa è certa per lui: non vuole essere scomodato né fisicamente nè intellettualmente. Egli è un orologio scarico. La sua sedia è la poltrona. Il borghese è una tartaruga.

La Disciplina

Il borghese non è disciplinato. Non ubbidisce con naturalezza e facilità. Appare tale perchè si sottomette. È un lavativo. La disciplina non è un atto formale: è soprattutto un atteggiamento dello spirito e il borghese è meccanico, inanimato. Esegue perchè ha paura della punizione e fa di malavoglia come un assente. Quando ubbidisce è un automa. Non è umile è debole; sono due cose diverse: l'umiltà è cosa interiore, la sottomissione esteriore. Il borghese è contro il militarismo: egli si sfoga contro l'aria di caserma. Odia l'esercito: perché livella e costringe a fare. Non può capire e non può spiegarsi la necessità di lavorare e di limitarsi per il fatto che vi sono altri uomini. La solidarietà e la socialità, che sono alla base della disciplina, non esistono in lui: sacrificarsi comunque per altri è illogico per il borghese. Non comprende neppure che la sua esistenza fisica e possibile soltanto perchè un numero infinito di altri uomini si sacrifica e lavora per lui. Il borghese è un individualista: per lui l'individuo non è in funzione della società, ma la società in funzione dell'individuo. Crede nel contratto sociale, però è un dissenziente: ritiene che il contratto sia stato violato a suo danno e si apparta. L‘ ubbidienza cieca non è del borghese: egli non conosce la luce profonda che deriva da essa. La disciplina è sempre ingrata per lui.
Preferisce affidare ogni cosa al tempo. Il borghese ama il carabiniere perché si sente sicuro sapendolo vicino, ma la sua vista lo offende: dice che c'è aria di intimidazione. Egli vuole essere difeso, ma non vuole sentire lo Stato. Non fa mai il proprio dovere in quanto tale. Il borghese ubbidisce sotto la sferza.

Il Destino

Il borghese crede fermamente nel destino. “Era scritto”, “doveva avvenire così“, sono alcune sue giustificazioni supreme. Non fa niente per conoscere il suo destino, per prevenirlo, per modificarlo: si assoggetta, è succube. Si rassegna. Tutto è irrevocabile per lui. Trova nel destino la giustificazione morale alla inazione, alla sottomissione, alla acefalia. Il borghese si piega davanti al destino. Non ha curiosità: è così, doveva essere così. Il borghese subisce sempre, ma senza sentire la schiavitù: l'aria che si respira non si sente. Il borghese non è attivista: non lotta per vivere. Egli indugia, differisce. Si conforta tuffandosi nella corrente che fa dell'uomo una povera piccola foglia sbattuta dal vento della vita. Il borghese non è fermo per trascendenza: lo è per paura. La sua vita è una serie di circostanze. La volontà in lui non esiste: è passiva, è resiststente, è negativa. Egli è un disperato. Affida ogni soluzione al tempo. Il mondo per lui è così come va, bisogna prenderlo come viene: il borghese non fa niente per arricchirlo per migliorarlo per perfezionarlo. Ritiene inutile qualsiasi tentativo: la perfezione è lui. I santi e i pazzi sono uguali per lui. La scienzai borghese gli ha pure insegnato che il genio non è rivelazione di Dio ma un ramo della pazzia. Se il genio è una variazione della pazzia, il borghese ama disperatamente di essere, una mezza cartuccia.

Il coraggio

Il coraggio non è del borghese. ll borghese non osa mai. Non vede più in là del suo naso, non fa mai il passo più lungo della gamba.Non crede nel successo. Il borghese simula molte cose, ma non può dare ad intendere mai che è coraggioso. ll coraggio non consiste nelle parole, ma nei fatti,e i fatti non sono gradevoli al borghese. Il borghese è panciafichista, adiposo e bagolone. Il borghese è pusillanime e senza misericordia. Non solo non ha il coraggio dell'azione, ma neppure il coraggio di pensare che può agire: questa insensibilità è in lui organica. Neppure il tentativo fa parte del suo costume: tentare è dei forti. Il coraggio è per lui pazzia e temerarietà ed il borghese non esce mai dal giusto mezzo e dal mezzo della strada. La ruggine lo consuma; Il borghese svicola sempre. È sempre già scoraggiato. È un dimissionario per aspirazione e per costume. Il sangue gli da alla testa e gli fa nausea. Le sue giornate sono un lento pasto condito di paura. Non vuole fermamente mai: la volontà in lui non esiste, anche il quieto vivere è in lui allo stato di desiderio. È un rammollito, un invertebrato. Egli dice: “ma che bisogno c'è di menare le mani?”. Conviene con Demostene che “chi fugge può combattere un'altra volta “. Il borghese non si batte. L'arma del borghese è la barzelletta. Nell'ombra tesse e ritesse malinconiche giaculatorie. Si illude di prendere parte alla lotta. È un vociferatore. È il tipo che tira la pietra e nasconde la mano. lddio gli ha concesso la facoltà della parola, ed egli la usa senza ritegno. È il calunniatore nato. È un maldicente sempre; ha sempre un segreto da raccontarvi. Non sa ridere: è pesante, pensante, preoccupante. Non è mai un uomo di spirito. Il borghese è un mormoratore. È un pianto greco.
Per lui tutto va male. Non si accorge mai delle cose che vanno bene. Non vede le cose che prima non andavano e ora vanno. Nota esclusivamente ciò che secondo lui e per lui non va. Egli ha i paraocchi. Quando è a corto di argomenti e non vuole confessarsi convinto, esce in un sospiro e dice: “speriamo bene “, “ Dio ce la mandi buona”: è l'ultima condiscendenza che può farvi.ll borghese è catastrofico.

L'azione

Il borghese è per la vita placida. Propende per la statica. Per non muoversi ha sempre una riserva di pregiudiziali. È bizantino. E' un dottrinario: il parlare non impegna ad agire. È seguace del “punto di vista”. Nel borghese non bisogna guardare a ciò he dice, ma a ciò che fa; meglio a cio che non fa. Egli è l'ipertrofia della quiete. Non è mai attore: talvolta è un testimone, spesso un assente. È un disertore: un rinunciatario. ll borghese è per la immobilità: ama farsi crescere il prezzemolo nell'ombelico. L'azione è sua nemica. L azione è dimostrazione e volontà di vita, ed il borghese è contro il moto. È il tipo del “ tirare a campare “. Egli gongola nelle parole: i fatti lo stordiscono e lo impauriscono. È passivo, subisce: non agisce. lngrassa legato alla legge dell'inerzia. È appanciuto. Il borghese non sbaglia. mai, perché non fa nulla. Cammina e riflette e non si accorge che lo impegna alla educazione e alla preparazione politica e sportiva. Lo sport del borghese anziano è la pesca quello del giovane borghese è il tennis da tavola.Egli è un paralitico, un arteriosclerotico. Il borghese odia il passo romano. Non è mai padrone del suo corpo. Non ama la velocità. Quando non ne può fare a meno passeggia. È nemico del viaggiare. Non è mai un marciatore. È pienamente consapevole soltanto della sua fragilità.
Il borghese porta a spasso il suo cadavere.

La guerra

Il borghese è contro la guerra. Non ama il pericolo. Il destino degli uomini non è per lui la lotta e nella lotta. La vita eroica per lui non ha senso. È un imboscato. ll borghese non è mai in prima linea. È rollandista per posizione e per definizione: sta al di sopra della battaglia: può farvi la condiscendenza di assistere. Non partecipa mai. La guerra è una prova fisica, ma anche una prova morale e il borghese ha divinizzato il suo corpo a spese dello spirito. Egli non sa che il credente è illuminato soltanto quando ha in mano un randello. Non è mai un interventista. A lui piace vivere in panciolle. Non è né vigilante né intrepido, gli ripugna il combattimento. Ha una paura pazza della guerra. ll colpo di pistola lo disturba. È contro le provocazioni: non le accetta. Preferisce conservare le penne. Il borghese non è un trincerista. È cagoista: si cala sempre le braghe. Non si difende mai, retrocede sempre. Non è guerriero. È contro il garibaldinismo : lo ama nella letteratura, al caminetto nelle fredde sere d'inverno. ll borghese è un fifone. È un disfattista . E'patriota soltanto sulle piazze. Egli mugula: “ma dobbiamo vivere sempre come se si stesse in guerra? “. Non è mai un volontario. Non è per il confronto: è nemico dell'agonismo. Vuol vivere e vive senza contraddittorio. Parla soltanto a gente che è del suo parere. Ha le orecchie caste: non può sentire toni violenti e propositi forti. Quando i popoli sono scossi dalle tempeste,
il borghese è l'acqua stagnante: non resiste segue, è trascinato, non si oppone, è passivo, attende “tempi migliori “. L’arma del borghese è l'ombrello.

La Patria

ll borghese non ha patria. Nasce per uno strano caso con una patria. La sua patria è la pancia. Egli ha dei diritti non dei doveri. La sua patria è dove si possono affondare le radici. Egli è sempre esterofilo. Il borghese è cosmopolita; per questo l'ebreo è sempre un borghese. Il borghese non ha razza: per questo è pietista. Se gli ottentotti vivessero nell'abbandono e nell'inerzia, egli vorrebbe essere nato ottentotto. La patria si conquista; si difende, si fa potente: ma al borghese non gliene importa niente. Egli è codardo. La patria del borghese è la sua casa: i suoi confini stanno nelle quattro mura: la latitudine e la longitudine non hanno significato se la casa è comoda. Egli non ha coscienza sociale. Al più è campanilista. Il divenire della nazione lo irrita: egli è per la pace. È neutrale anche quando la patria è in guerra. È antimperialista, antiespansionista. È sempre per il non intervento è contro la politica di avventura. È per il piede di casa. Le ragioni della patria spesso non coincidono con quelle del borghese: allora peggio per la patria. La patria, per il borghese, sono le tasse. La monarchia per il borghese è la lista civile. Ama la pace perpetua. È per la pace a qualunque costo. Espressione della mediocrità, il borghese è contro l’lmpero: comporta troppi rischi e responsabilità. ll borghese è per il disonore: almeno non se ne parla più.

La Politica

ll borghese non crede nella politica. Per lui è un trucco, un inganno: egli ha scacciato la morale dalla politica, per questo non capisce e non può capire niente. Egli la considera un intrigo. Poichè la politica è lotta ed egli non vuol lottare, asserisce che la politica è femmina e che le femmine sono traditrici. Nella incertezza preferisce star fermo. Dice: “ non fidarti, la politica è incostante”, “la politica è cosa sudicia “. Egli se ne tiene lontano. La politica è vivere nel proprio tempo ed egli è un rudero, una soprastruttura. E’ anacronistico. Il borghese non crede nella politica, perché la politica è varia, si evolve, si perfeziona, cammina e avanza con gli uomini e con la società, ed egli è fermo, ha bisogno di essere fermo,vuole essere sicuro. Egli è accademico, conservatore, legalitario, platonico. Il borghese aspetta all'angolo della strada per prenderti sottobraccio e dirti mestamente : “ma chi te lo ha fatto fare?”, “vedi come ti trattano?”, “pensa piuttosto alle tue cose”,”tu sei un idealista”, “guarda tizio guarda caio “, egli non si accorge di essere sporco e immorale, di essere un maiale e una vescica.Non immagina neppure che così dicendo pronuncia la più alta offesa all'uomo e compie la sua stessa autodegradazione. Il capostipite della filosofia borghese ferma infatti la politica allo stadio dell’economia. L'interesse è il biometro del borghese. Egli ha sempre pronto da presentare un preventivo e un consuntivo della sua vita. Ritiene che essere uomo politico sia la cosa più facile di questo mondo. Egli dice “simula, dissimula”. Il borghese non si accorge che giudica tenendo per modello qualche altro borghese che nella politica è riuscito a farla franca. Egli non è mai un insofferente. Aderisce all'ordine costituito. Non è mai un rivoluzionario: perchè borghese e rivoluzionario sono termini inconciliabili. Egli è ostile alle riforme politiche ed economiche. È formalista: guarda più alla esteriorità che alla sostanza, scambia le parole con le cose. È un “moderato”. Il borghese credeva che Mussolini scherzasse quando disse salendo al potere: “io non sono venuto solo per mettere ordine . Avrebbe voluto Mussolini come Garibaldi: lottare, combattere, mettere ordine e ritirarsi a Caprera. Egli è idiosincratico: denuncia sempre gli effetti strani. La sua formula politica è il “si stava meglio quando si stava peggio”.

La Liberal-Democrazia

Il Borghese è per la maggioranza. E’ genericamente per il popolo, perché il popolo è numero Dentro il numero scompare: il popolo lo assorbe: egli può continuare a dormire coscienziosamente, Non si appoggia sulla maggioranza, vuole che vi poggino gli altri. Egli è per la libertà: con essa può fare il proprio comodo. E’ per la libertà teorica; della vera libertà il borghese non sa che farsene: vuole la libertà di non fare niente o soltanto ciò che gli aggrada. Le minoranze sono audaci, pugnaci, aggressive, teste calde, irriducibili, isolate, intolleranti ed egli è senza sangue, ha ferocemente paura, è organicamente malleabile, vive a temperatura costante, naviga nell’intrigo. Il Borghese sente che quando è con la moltitudine non ha alcuna responsabilità: il borghese segue, è trascintato: il torpore della sua coscienza diventa callo. E’ un’ombra, ma acquista il diritto di parlare a nome del popolo. La qualità non si conta. Soltanto in questo senso, quando proprio non riesce a farne a meno, il borghese è democratico. Crede così nella democrazia e nel liberalismo: ecco perché è filo-francese e filo-inglese. E non a caso il liberalismo e la democrazia ignorano come partiti il lavoro: il borghese non vuole che lo Stato intervenga nei rapporti economici. Egli non apporta niente alla qualifica di democratico: il borghese sa che tale qualifica gli dà soltanto fascino e prestigio. Egli parla a nome dell’umanità. Il Governo per lui è una comodità, un mezzo per far quattrini. Dice “se ci fossi io”, ma in realtà non aspira al governo dello Stato. Egli sente che il governo è sacrificio: sa che sarebbe il suo suicidio. Se da inspiegabili eventi il borghese è stato trascinato al governo, ogni volta è crollato “nutrendo fiducia”, sempre più convinto della fragilità delle cose umane e della intrattabilità dei suoi simili. Il governo del borghese è l’amministrazione, l’ordinaria amministrazione: la strada del miglioramento morale per lui non esiste. In fondo, il fine ultimo del socialismo era conforme alla morale borghese: il soddisfacimento dei bisogni materiali. Egli non crede nello Stato volitivo e Morale. Gli immortali principi stanno ancora a sua guardia. Il borghese vuole andare d’accordo con tutti: non avendo principi, ritiene che sia facile conciliare il diavolo con l’acqua santa e vestirlo di verde.

Il Parlamento

Il Parlamento è una invenzione borghese. Il Parlamento non serve per decidere, ma per discutere. Il borghese si gonfia nella parola, si esalta nella parola. E’ un commemoratore, un parolaio.Per il borghese la parola è tutto. La parola serve per coprire il contrabbando. Non per l'Inghilterra fu detta la madre dei parlamenti. Il borghese ha sempre una questione pregiudiziale da presentare. È sempre per l’antecedente e per l'aggiornamento. E’ centrista. Il Parlamento è la irresponsabilità elevata a legge, la morfina della vita politica. ll borghese giuoca tutta la vita a scaricabarile. Egli diffida dello Stato, dell’autorità, dei diritti dello Stato: il Parlamento è il sistema borghese con il quale si controlla, si sminuisce, si mortifica lo Stato. Lo Stato costituzionale e la divisione dei poteri sono postulati fissi della politica borghese. Egli è portato a vedere le spine non le rose dell’ordinamento sociale, gli impedimenti non le facilitazioni, le limitazioni non le tutele. Il borghese per il Parlamento ci fa una malattia: la medaglietta è la sua stella. Egli è ancora fermo all’ ”onorevole” . Il parlamento è il circolo perfetto, e i circoli e i circoletti sono una raffinatezza borghese. Il Parlamento è fatto apposta per poter fare il contrario di quello che si dice; l’onestà della parola non è una virtù borghese: - Cicerone è il primo esemplare del borghese parlamentare. Il borghese è girondino: è per le paci impossibili. Il Parlamento è la tomba delle buone intenzioni e il borghese ne è il boia.

La Cultura

Il borghese e attaccato alla tradizione. È superficiale. La cultura è spesso il mezzo con il quale egli ammazza il grand’uomo. Non guarda alle idee, ai motivi, ai sentimenti, ma soltanto alle cose e agli atti degli uomini nel loro valore e nei loro risultati. Ha scisso l’economia, la scienza e l'arte dalla morale. L’uomo per la cultura borghese, infatti, non è un tutto unitario e organico, ma una combinazione di saracinesche e una armonia di compartimenti stagni, dirette e regolate dall’utilitarismo. La cultura per lui non è un modo per avanzare più sveltamente e per agire più celermente, ma un peso, una catena, un freno. Il borghese colto non guarda alla bellezza dell’opera d'arte e delle cose del suo tempo: egli ricerca minutamente la lacuna, l’errore, il piccolo difetto e soltanto quando scopre dei difetti e trionfante. È pedante, cattedratico bibliotecario, numeratore. È bigio. ll passato è sempre più grande, perché egli non può credere nel presente e vuole vegetare. Il passato per il borghese non è fermento di vita. Poeta è Dante, artista è Michelangelo, non perché egli li conosca e li comprenda, ma perché sono la tradizione, perché da secoli è così ; perchè i secoli e la tradizione sono cose più grandi di lui, che gli danno forza e gli danno prestigio e lo circonfondono di un’aureola infallibilità e di cultura; Il passato è un fatto compiuto, è il certo egli non ha necessità di penetrarlo: Il borghese crede di non dice mai delle bestialità. La sua cultura è un atteggiamento nostalgico. È un ruminante; un rimasticatore.Il borghese’. è per la minima fatica. Non vuole fare sforzi intellettuali. Gli basta quello che ha imparato a scuola: è fermo alla cultura ufficiale.”Ma, questa cultura a cosa mi serve? “. Non legge libri nè giornali. Di rado segue costantemente un quotidiano, e allora lo segue per tutta la vita. Pare che non sappia leggere una testata diversa e diversi caratteri da quelli del quotidiano prescelto. La veritià rivelata sta nel giornale che compra, che di regola non è di idee e di orientamento, ma cronaca e di notizie. La cultura per il borghese è un oggetto di ornamento, Egli ha già risposto alle tre domande della filosofia: cosa sono? cosa debbo fare? cosa debbo pensare?; la sua risposta è sempre la stessa; niente. Il borghese non fa storia. Si serve della storia per appoggiarvisi come su un bastone, per camminare più lentamente e fermarsi più a lungo. Egli è ignorante in geografia.Il borghese è per il darvinismo: per lui è l’uomo che viene dalla scimmia, non viceversa. La medicina per lui è, soltanto nell’anatomia, la letteratura soltanto nel classicismo, le scienze morali soltanto nella logica. Egli crede nella evoluzione della scienza sino alla perfezione portata alle estreme conseguenze: la teoria dell'uomo avvenire tutto cervello è borghese. Non senza ragione il borghese ha sul suo tavolo di studio una testa da morto. La sua scienza è il vocabolario. Nel vocabolario ci. sono tutte le parole che hanno composto e compongono le opere d'arte e la vita. La cultura del borghese è sostanziata di proverbi. lnfiora i suoi scritti di citazioni latine e straniere, specialmente francesi e inglesi non perchè servano, ma perché vuol fare sapere che conosce il latino, il francese e l'inglese. Ma anche queste povere citazioni sono di seconda mano: non conosce nè il latino, nè il francese. ne l'inglese. Il borghese non si riconosce da se; ritiene di non avere difetti, di essere superiore ai suoi difetti stessi. Egli è portato a frugare nelle tombe, sempre.Il borghese è una iena.

La Morale

Il borghese è moralmente sordo. Egli è sostanzialmente un cinico: vuol vivere secondo natura. È per la materia non per lo spirito; per il prezzo delle cose non per il loro valore. La morale del borghese è la sabbia mobile: su di essa non si può costruire alcunché. Egli è moralmente arbitrario. ll borghese non si domanda mai se ha compiuto il suo dovere. Il dovere non è oggettivo per lui il dovere è ciò che egli ha fatto e che fa. Il borgbese non ha coscienza. Tutto è realizzato in lui sin dalla nascita; niente e nessuno possono aggiungere qualcosa dentro di lui. È un vaso interrato. La coscienza è il più fitto setaccio degli intendimenti, ma per, il borghese è un setaccio senza fondo. Crede per questo alla elasticità della coscienza: si assolve ed è assolto anzitempo. La coscienza è il giudice interiore, il regolatore delle azioni e il borghese non ha problemi di coscienza, perchè in lui e per lui la verità è rivelata, La coscienza per il borghese è il tribunale chiuso. La sua bussola indica ostinatamente sempre il polo dell’interesse e la sua bussola egli la porta nel carro armato dell’esperienza. ll borghese non è un uomo morale: non è perfettibile. In lui non c’è gradazione morale: c’è il fuoco fisso dell’interesse. Egli è dinanzi agli altri moralista e moraleggiante, ma anzitutto è un sofista. Non viola le leggi che ordinano di non fare trova sempre un mezzo per violare quelle che ordinano di fare. Non si meraviglia e non sa meravigliarsi di niente ha gli occhi chiusi alle meraviglie del mondo morale e di quello fisico. Per lui tutto è normale e deve essere normale. Ciò che è fuori del comune non può essere nè santo, né bello, né nobile; ’ queste sono cose, inesistenti, per lui sono contro natura, sono da pazzi e da esaltati. Egli e indifferente. Non è mai un fanatico. Per lui il prestigio morale non esiste; la forza morale è’ una debolezza; la perfezione morale non conta: egli è in stato di analgesia morale. Il borghese è in fondo un rassegnato. La vita per lui non è movimento. Egli passa il tempo. Non’ è un contemplativo: è cieco.L’uomo si esalta e vive nella umanità e il borghese è disumano. Non ha volontà. La vita per lui è senza scopo: non è lotta e non è il tentativo di rompere il proprio destino. Il borghese è moralmente u biglietto di banca usato: tutti se lo passano di mano in mano, ma nessuno lo tiene volentieri. La morale del borghese riposa.

La giustizia

Il borghese ha della giustizia un senso personale: egli è esclusivo. Per gli altri la giustizia è obbiettiva: egli solo può fare il suo comodo. Il borghese non ha doveri morali. Sostanzialmente non crede nella giustizia: è l’inventore della formula “ la giustizia è eguale per tutti”, dove quel “tutti” si pronuncia sottovoce. Per il borghese è giusto soltanto quello che è stabilito: egli è legalitario: si conforma alla legge positiva. È sempre perla legge scritta: perché ha i carabinieri a suo sostegno e perché è scritta: non’ può sopportare ed evita le fatiche morali. Egli dice e accetta l’evangelico “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te “ : perche lo interpreta come un non fare e non essere costretto a fare. La giustizia è fermezza e volontà, e il borghese tende a mollare sempre. La giustizia è anche intolleranza: ma il borghese scende sempre a patti. La giustizia fa appello alla coscienza e il borghese non ne ha. È anche reciprocità e il borghese non vuole mai fare. Egli è reciproco soltanto nel non farei: per apatia, non per sete di giustizia. La giustizia è imparzialità, e borghese non è imparziale mai: il giusto è soltanto lui e in lui. Ama la giustizia disarmata: la giustizia che ha il potere e lo tira fuori dalla tana egli non la riconosce come tale: la legge che lo condanna a fare è per il borghese la più alta delle ingiustizie. Il borghese si dà le arie del martire.

DIO

Il borghese non crede in Dio. E’ incredulo. Dinanzi agli uomini, dinanzi a tutto, al finito o all’infinito, egli non può pensare che esiste qualcosa di eterno, di superiore, di sovrumano, di mistico, di celestiale. Non è religioso: è ateo. La fede in Dio è fede in sé stessi, e negli altri uomini, e il borghese è diffidente e scettico. Non sa che si può vedere la lampada soltanto alla luce della lampada. L’imprevisto, l’enorme, l’incalcolabile, è per lui il caso; il radioso e il sublime per lui non esistono. Egli non è solare. E’ portato a guardare in giù, mai in su, vicino mai lontano. Il borghese naviga tra il buddismo e il fatalismo: da entrambi ha preso soltanto quello che gli garantisce la poltroneria. Il borghese è antropolatro: adora sé stesso. Non ama le cose più grandi di lui: non gli piacciono le grandi cose: non ama i grandi uomini. E’ minimizzatore. Tende a livellare. L’immensurabile e l’imperscrutabile sono per lui allegre invenzioni di visionari; l’indimostrabile non esiste; l’insopprimibile non ha senso: la sua misura non giunge a tanto e dove non giunge il suo metro non arriva la sua ragione. Egli vuole ragionare sempre: non è mai un mistico. Coltiva la perpetuità del vuoto. Egli può pensare solo a un Dio fatto a sua immagine e somiglianza, docile e obbediente ai suoi ordini, da tenere a portata di mano nel taschino del panciotto e sul comodino da notte, come una lampadina elettrica, per i casi di necessità: è rimasto all’antropomorfismo. Il borghese è anticlericale: in religione è faceto, non sa guardare oltre gli episodi ed elevarsi. Va a messa la domenica, non perché crede, ma perché non si sa mai se ci siano veramente da fare i conti nell’aldilà. Per il borghese non vi sono misteri: sa e conosce tutto. L’instancabilità del pensiero e della creazione in lui non esistono. Poiché egli sa tutto, la fede dentro di lui è morta. Ignora che soltanto la fede gli da ragione dell’irragionevole, spiegazione dell’inspiegabile, notizia dell’inconoscibile. Non crede in niente: è una vela afflosciata. Il regno umano del borghese è limitato, umile, contenuto: giunge appena a spaziare tra la natura e i sensi, tra ciò che vede e ciò che sente. Il borghese è infelice. Attende sempre. Attende sempre che un facchino sconosciuto da una stazione sconosciuta gli porti una valigia colma del nettare della felicità. Non sa che la luce è e può essere soltanto in lui. La vita è per il borghese un frutto acerbo: egli rimanda sempre e non lo coglie mai. Diffida di tutto e di tutti. “ A me non mi fregano” dice il borghese, ma non si accorge, povero fesso, che è nato fregato. Iddio, per il borghese, è il benessere terreno. Il borghese vive nel bailamme della carne.

La morte

Il borghese ha paura della morte. Non pensa e non teme che la morte.Il borghese se ne frega della posterità. Egli non può morire che nel letto. Tiene alla sua vita così com'è. Vive imbalsamato. La morte incombe su di lui. È un roditore: si consuma nella paura. Il suo morale è sempre basso.Il borghese sa che morendo, egli è morto veramente. Vorrebbe rendere immobile la natura. Non credendo nella perfezione morale, il pensiero della morte è per lui una progressiva degradazione morale. Non avendo fede, la sua vita è un lento morire. Infondo per il borghese l’uomo e l’animale si equivalgono. Il santo, l’eroe,l’uomo d'azione non temono la morte: essi la disprezzano. Il borghese è senza speranza; ha l’unica speranza che teme:quella di morire. Il borghese muore senza dignità perche vive senza dignità. L’aldilà è senza premio per lui. La conservazione individuale per il borghese non è un istinto, è una legge. La teoria che niente si crea e niente si distrugge e tutti si trasforma in natura , il borghese la ritiene una fregatura. Non crede alla legge della continuità; egli non muta : muore. Non ha dentro di sè niente di misterioso. Il borghese non vive perchè pensa continuamente alla morte. Egli vuole vivere serenamente.È per il mondo fisico: non crede e non può credete che qualcosa sopravviva. Non sa morire. Egli ha tagliato a pezzi l"uomo e non vi ha trovato l’anima. Il borghese non è immortale.

Fonti e punti di riferimento antiborghesi: La Vita, gli Scritti e i discorsi di Benito Mussolini.

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MessaggioInviato: Dom Giu 10, 2012 12:52 pm    Oggetto:  
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Un trattatello pieno di definizioni a dir poco memorabili, scritte peraltro con un lessico sempre puntuale e incisivo, oltre che italianamente perfetto, la qual cosa sarebbe incomprensibile ai moderni.

Peccato per l'inutile e offensiva allusione/condanna generalizzata agli ebrei "sempre borghesi". E' pur vero che questo libello è stato scritto nel 1941, a guerra in corso e antisemitismo deliberato, ma ciò sta a significare anche che, a quella data, l'idea etica del Fascismo era già definitivamente tramontata.

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MessaggioInviato: Dom Giu 10, 2012 3:48 pm    Oggetto:  
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Rispondi citando

Citazione:

Peccato per l'inutile e offensiva allusione/condanna generalizzata agli ebrei "sempre borghesi". E' pur vero che questo libello è stato scritto nel 1941, a guerra in corso e antisemitismo deliberato, ma ciò sta a significare anche che, a quella data, l'idea etica del Fascismo era già definitivamente tramontata.



Invece credo l'esatto contrario.

Posto che nelle premesse si è detto CHIARAMENTE che il "borghese morale" NON HA CETO E RAZZA E CREDO. Perchè il borghese morale solo "incidentalmente" coincide con una categoria sociale, politica, economica, religiosa.

Borghese può esserlo chiunque, dunque anche l'ebreo! Il cattolico (anzi! Nel libello si allude proprio al "cattolico borghese", che pratica il culto solo esternamente, perchè borghese!), l'islamico, l'ateo.
Nel libello c'è scritto chiaramente quali condizioni determinino la presenza o meno del borghese. Il "cosmopolitismo" ebraico è una caratteristica che l'autore fa risalire ad un generico "spirito borghese" dell' Ebreo.

Ma, ovviamente, non può negare tutto ciò che ha scritto prima e dopo. Certamente l'accento su questo "spirito borghese ebraico" non sarebbe stato messo in questi termini se non fosse derivato dalla campagna antiebraica in corso.

Ma, a mio avviso, questo scritto evidenzia invece l'esatto opposto del razzismo: chiunque infatti può "slegarsi" dallo spirito borghese. Esattamente come detto nelle premesse del libello.

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Penso d'aver capito cosa s'intendesse contestualizzando l'affermazione nell'essere "senza patria", anche se ciò sembrerebbe partire dal postulato -sicuramente, e infaustamente, diffuso all'epoca- che un ebreo sia assolutamente incapace di essere patriota... mentre, fortunatamente, nella realtà dei fatti di patrioti ebrei ce ne abbiamo avuti tanti. Ma ormai, nel 1941, la meritocrazia era andata a farsi benedire per i motivi che tutti conoscono, e la questione della razza aveva offuscato anche le menti più prolifiche...

Citazione:
l'ateo.

Su questo non sarei d'accordo. Dal testo si evince (è ribadito più e più volte) che l'ateo è sempre e comunque un pavido borghese, poiché non crede nella divinità (quale che essa sia) e nell'immortalità dell'anima.

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MessaggioInviato: Lun Giu 11, 2012 10:53 am    Oggetto:  
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Per quanto sia indubbio l'errore delle cd "leggi razziali", esse vennero inserite proprio all'interno della "campagna antiborghese", insita nella Dottrina stessa del Fascismo. Vennero inserite in questo contesto, proprio per cercare di evitare le inevitabili associaizoni di idee rispetto alla politca ESTERA italiana. E soprattutto per cercare di evitare l'associazione del fascismo a concezioni RAZZIALI che davvero col fascismo non hanno nulla a che vedere.

Infatti nelle stesse leggi, esiste la "discriminazione per benemerenza", all'interno della quale l'ebreo "perdeva le caratteristiche anti-sociali" (!), che presumibilmente lo "separavano" dagli altri cittadini... Discriminazione MOLTO AMPIA, che certo non mitiga il giudizio morale NEGATIVO nei confronti delle leggi stesse, che sono state palesemente un espediente di politica estera che ha sacrificato INDEBITAMENTE una parte della cittadinanza che non aveva fatto NESSUN TORTO al Regime. ANZI.

In ogni caso il libello definisce chiaramente, soprattutto nelle premesse, che il "borghese" viene "abolito" dall'adesione alla nuova Civiltà Fascista. CHE LO SUPERA E LO NEGA. Per cui, intrinsecamente, sebbene il fastidio di quella frase "generalizzatrice" sia innegabile, il suo "superamento" è lampante.

Riguardo il "naturale" borghesismo dell' Ateo, il piano è il medismo di cui sopra. L'Ateo che aderisce alla Civiltà fascista, non è borghese (si comporterebbe da "credente" pur non essendolo formalmente). Come non lo è il "possidente" fascista. Come non lo è l'Operaio Fascsita. E via di seguito.

Il fine del libello è proprio questo. Superare e negare lo Spirito Borghese. E dice anche con quali strumenti: la disciplina fascista, il controllo, l'obbedienza e l'abnegazione nel rispetto della legge: "l’azione antiborghese si concreta, si risolve nella dottrina e nella pratica del Fascismo" (Op. Cit.).

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"La mistica appunto precisa questi valori...nella loro attualità politica...e dimostra l'universalità di luogo e di tempo del Fascismo"(Giani)
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MessaggioInviato: Mar Giu 12, 2012 10:35 pm    Oggetto:  
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Ricordo di aver letta la discussione in cui si parlava delle leggi razziali, e se ne faceva una seria e approfondita esegesi. Era sicuramente una spiegazione valida, anche se ricordo che serviva prevalentemente a dimostrare che oggettivamente il razzismo nazionalsocialista era biologico e concreto, mentre quello fascista era "sociale" e "astratto", nonché quasi "eludibile". Ciò non toglie, ovviamente, l'aberrazione del fatto.

Comunque, tornando allo scritto in oggetto, la domanda è: secondo lo scrivente chiunque è antiborghese è automaticamente fascista? Mi sembra che questo sia anche il tuo parere. Ma si può essere davvero sicuri che non ci possano essere antiborghesi non fascisti? Aveva lo scrivente autorità per dire queste cose? E se sì, quale?

Sull'ateo di nuovo non ci troviamo d'accordo, o meglio: sull'interpretazione di quanto scritto a riguardo. Non puoi fare il paragone con il possidente e con l'operaio, poiché il disdegnare la vita comoda, il prediligere l'operosità e il profondere energie nell'automiglioramento concreto, non sono esattamente come il credere in un'esistenza ultraterrena.
E' chiaro che all'ateo si chiede di credere all'immortalità dell'anima e delle opere compiute, così come ciò vien chiesto a chiunque voglia essere antiborghese (e dunque, secondo lo scrivente, automaticamente fascista?). Vero è che il materialismo più bieco è proprio e spesso quello di chi crede che con la morte tutto finisca e perciò si deve godere nella breve vita dei piaceri e delle ricchezze terrene. Su quale leva si potrebbe mai agire per convincerlo che invece il lavoro e le opere perdurano nel tempo oltre i confini dell'esistenza umana? Sui figli, forse? Ma quand'anche l'ateo borghese fosse convinto di dover bene campare per il futuro della figliolanza (che -per lui- post mortem non vedrà né dal cielo né da sottoterra), non sarebbe sempre e comunque un incamerare ricchezze individualisticamente (i figli sarebbero una "proiezione" di lui stesso). Come si fa a convincere un "a-spirituale" che c'è qualcosa di più, che attiene non soltanto alla patria ma al mondo? E come ci si farebbe mai a fidare di un "a-spirituale" quando pure egli si professasse antiborghese (il dubbio mi resta)? Io non mi fiderei.

Se sono diventati borghesi tanti fascisti nella seconda metà del ventennio, perché non dovrebbero diventarlo genti materialiste molto più inclini alla vita comoda e fiacca?
Forse avrò fatto troppe domande, certo questo trattatello un po' iperbolico non ha l'ambizione di spiegare tutto questo, tuttavia l'impressione che da' -e che tu stesso hai implicitamente ammesso, dicendo che ognuno si ritroverebbe in molti dei difetti "borghesi" elencati- è che egli voglia creare l'utopico modello assoluto di antiborghese, che si crede possa esistere, ma che nella realtà dei fatti è raro a plasmarsi. Non so cosa spingesse lo scrivente ad avere tanta fiducia che il Fascismo potesse sconfiggere il borghesismo (riassumibile forse in inopia morale, pressapochismo, vigliaccheria e miopia sociale), dal momento che era chiaro ed evidente che la natura degli uomini non può essere radicalmente e in massa cambiata. Lo dice stesso lui quando afferma "In fondo ad ogni uomo dorme la Borghesia", e allora di che stiamo parlando? Pura utopia.
Se poi la risposta è che davvero il Fascismo, alla data del 1941, aveva sconfitto il borghesismo, allora io dico che è vero quanto è vero che il Comunismo aveva ottenuto l'uguaglianza per tutti in Unione Sovietica nel 1950. Se è vero, come è vero, che nel 1941 molta parte delle gerarchie (ma non solo) fasciste che avrebbero dovuto dare "così grande buon esempio" si erano borghesizzate, se è vero, come è vero, che la tanto decantata MVSN (fiore all'occhiello della "rivoluzione fascista"?!?) due anni dopo si sarebbe sciolta come neve al sole alla notizia dell'arresto del Duce (leggasi paragrafo "Il Coraggio" del presente libello), se è vero, come è vero, che forse Mussolini stesso si era imborghesito (ma io credo si fosse imborghesito almeno già dal 1938), se è vero, come è vero, che l'abominio -umano prima che giuridico- delle leggi razziali aveva dimostrato che: 1) tutte le storie sulla coesione sociale nel nome dell'appartenenza nazionale erano cancellabili con un colpo di spugna; 2) e che il popolo stesso (o la maggioranza), accettando bovinamente le inique leggi a danno di una minoranza italiana, ora religiosamente discriminata, aveva mostrato di rispecchiare perfettamente il punto del trattatello in oggetto allorché dice: "La giustizia fa appello alla coscienza e il borghese non ne ha"; ma del resto se tale legge proveniva dal Governo ormai borghesizzato ("vigliacchizzato" renderebbe meglio l'idea), il quale avrebbe dovuto rappresentare la "summa" dell'antiborghesismo (antiborghesismo=fascismo?), che mai doveva fare il popolino...?
Ebbene, se tutto questo è vero (e lo è), allora bisogna ammettere che il Fascismo aveva fallito (proprio come avevo scritto nella mia prima risposta) nel suo compito etico di educare la gente all'antiborghesismo, e che tutti i buoni propositi sono rimasti lettera morta.

Applaudiamo il tentativo, ma tiriamo il sipario. Le luci si sono spente, e in sala è sceso il silenzio: non è rimasto altro che uno scenografo che, al tremulo lume di candela, bisbigliando legge e rilegge affannosamente il testo di un'opera incompiuta.

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MessaggioInviato: Mer Giu 13, 2012 12:06 pm    Oggetto:  
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...in realtà il libretto in questione, pubblicato dalla Scuola di Mistica Fascista, sostiene esattamente il contrario, ovvero che "CHIUNQUE E' DAVVERO FASCISTA AUTOMATICAMENTE E' ANTIBORGHESE", non a caso infatti viene specificato alla fine del documento che le "fonti ed i punti di riferimento di tale concezione antiborghese sono esclusivamente la Vita, gli Scritti e i discorsi di Benito Mussolini". Solo alla luce di questa affermazione si può realisticamente comprendere perché il cittadino fascista di qualunque estrazione sociale, persino quello che impropriamente si qualificasse quale "ateo", di fatto sarebbe comunque antiborghese. Ovviamente lo scrivente, come tutti i mistici, come lo stesso Mussolini, sapevano perfettamente che il compito di costruire l'Italiano Nuovo era ancora ben lungi dall'essere completato...lungi, ma certamente avviato dal Regime Fascista. Va ricordato che proprio la Scuola di Giani fu letteralmente decimata dal fatto che la quasi totalità dei suoi membri coerentemente con i principi espressi dalla Dottrina Fascista, parti volontaria su tutti i fronti della Guerra Fascista antiplutocratica e non di rado vi trovò morte eroica ( vedi appunto Giani, Pallotta, Roddolo solo per citare tre nomi). Tali esempi, a cui ne andrebbero sommati molti altri ancora visto che l'arruolamento volontario degli italiani nella Seconda Guerra Mondiale fu più elevato che nella Prima, non solo testimoniano che il Fascismo si avviava a realizzare il suo peculiare nuovo modello di Civiltà, ma anche che molto di quanto negli ultimi decenni è stato spacciato come verità storica dall'antifascismo di fatto non è vero, come il fatto che esso dopo il 25 luglio 1943 si sarebbe " sciolto come neve al sole", un'affermazione ridicola che persino secondo lo storico antifascista Emilio Gentile non spiegherebbe affatto perché nel settembre dello stesso anno oltre un milione di italiani si sarebbe arruolato nei ranghi della RSI (ben più di coloro che si diedero alla macchia come partigiani e di coloro che combatterono nelle fila del regio esercito badogliano al seguito degli Alleati) che nel 1946 sarebbe nato all'interno della repubblica antifascista un partito politico dichiaratamente ( almeno a parole!) erede del Fascismo con un seguito di milioni di elettori. Noi di certo, che non siamo ultra sessantenni, ma che nella Dottrina Fascista ci riconosciamo integralmente, non saremmo qui a discuterne se ritenessimo che sul Fascismo è arrivato il momento di tirare giù il sipario ...anzi crediamo fermamente che sia giunta l'ora di RIAPRIRLO! Ovviamente solo per mano di chi se ne fa promotore avendone davvero compreso il contenuto e la portata rivoluzionaria del suo messaggio politico. La difficoltà del compito che ci siamo autoimposti è tutta qua.
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" Forse che non conoscendo a fondo il pensiero del Duce si può affermare di essere fascisti? Noi diciamo di no! Che il fascismo non è istinto ma educazione e perciò è conoscenza della sua mistica,che è conoscenza di Mussolini" (N. Giani)
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