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Carlo Silvestri e la verità sul delitto Matteotti

 
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MessaggioInviato: Lun Nov 07, 2011 6:50 pm    Oggetto:  Carlo Silvestri e la verità sul delitto Matteotti
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Il delitto Matteotti e l'assassinio di Canalini
Bruno Rassu

All'epoca del delitto Matteotti fra i tanti accusatori di Mussolini, vi erano Turati, Amendola, Salandra, grande accusatore fu anche Carlo Silvestri, allora a capo della redazione romana del "Corriere della Sera".

Silvestri, giornalista e uomo di pura fede socialista, amico fraterno di Filippo Turati, indicò Mussolini come mandante di quel delitto avvenuto a Roma il 10 giugno 1924.
Tutta la campagna "pro Aventino", che sostenne la rinuncia di quasi tutta l'opposizione al governo Mussolini ai lavori della Camera (esclusi i 19 deputati comunisti che continuarono a frequentare il Parlamento come nulla fosse accaduto), fu impostata sulla documentata denuncia del giornalista milanese. Il comitato delle opposizioni aventiniane fu presieduto dal deputato trentino on. Alcide De Gasperi e volle come segretario proprio Carlo Silvestri dimostrando così l'importanza anche politica dell'accusatore di Mussolini.
La battaglia giornalistica e l'incarico politico dovevano costare a Silvestri il sacrificio di una decina di anni di confino nelle isole di Ustica, Lipari e Ponza. Fu proprio in quelle isole che il socialista Silvestri continuò a documentarsi sulla morte di Matteotti ascoltando vari personaggi politici anche loro confinati dal regime.
Le prove raccolte contro Mussolini non ebbero quei riscontri che si attendeva e, in una coscienza libera e pura come la sua, si insinuarono perplessità e dubbi.
Lo dichiara chiaramente nel libro da lui scritto nel 1947 "Matteotti-Mussolini e il dramma italiano, il delitto che ha mutato il corso della storia" C. Silvestri, Ruffolo editore.
Proprio in quel libro, Silvestri ricorda che in un incontro con Carlo Rosselli, come lui confinato, esprimendo i dubbi sulle reali responsabilità di Mussolini fu redarguito a mantenere l'impegno preso e a non comunicare a nessuno le sue perplessità.
Silvestri mantenne la parola e per tutto il periodo del ventennio non parlò a nessuno di questi dubbi rimanendo estraneo a qualsiasi cedimento al regime fascista.
Fu solo dopo l'otto settembre del 1943, nata la Repubblica Sociale, che Carlo Silvestri riuscì ad incontrare Mussolini con l'appoggio del ministro della Giustizia Pisenti e di Carlo Bigini, ministro della Cultura, entrambi definiti «socialisti mussoliniani» (in realtà fascisti che non avevano mai troncato i rapporti coi vecchi “compagni” socialisti).
Anche Petacco nel libro "Nicola Bombacci, un comunista in camicia nera" lo conferma.
In quell'occasione Silvestri si adoperò a salvare molti antifascisti (lo afferma anche Giuseppe Niccolai in "Rosso e Nero" pag. 156, edito nel 1980) tra i quali Lombardi, Parri ed altri, con la sua "Croce rossa Silvestri" e con il sostegno del capo della RSI.
Il primo incontro avvenne a Gargnano il 2 dicembre 1943. Erano presenti il prefetto Gatti e Bombacci (entrambi i loro cadaveri saranno esposti a piazzale Loreto), uomini fedeli a Mussolini ed intenzionati a portare avanti un sincero tentativo del Duce di trovare punti di accordo con la parte del «mondo» socialista che era stato anche suo. A tal fine vollero affermare (con un voluminoso "Dossier", visto coi propri occhi, ma non letto, da Silvestri), l'estraneità al delitto Matteotti di Mussolini e del fascismo.
Il delitto fu compiuto da Dumini, Volpi, Viola, Poveruomo, Malacria, sul Lungo Tevere Arnaldo da Brescia dove il Matteotti fu rapito (si mormorò allora di responsabilità di Marinelli, segretario amministrativo a Roma del partito fascista, e della benevolenza del sottosegretario agli Interni Finzi (già “Volatore su Vienna” con D’Annunzio); lo stesso fu dimissionato, sembra, dallo stesso Mussolini, per il mormorio di accuse che non furono mai provate.
Finzi morirà poi nella tremenda carneficina delle Fosse Ardeatine, giunta come rappresaglia al vergognoso ed inutile attentato di via Rasella).
Questi uomini tutti arditi nella 1ª guerra mondiale, ritirarono un auto in una autorimessa dando la propria reale identità e attesero Matteotti con l'intenzione di «dargli una lezione». Questi però si difese coraggiosamente e, dopo una violenta colluttazione, fu colpito a morte con una vecchia lima di ferro.
Il corpo del deputato socialista fu poi sepolto nel bosco della Quartarella in maniera superficiale, ad ulteriore prova della rozzezza e dell'improvvisazione di quello scellerato delitto.
Non poteva essere considerato un assassinio di Stato come scrive anche Renzo De Felice nel libro "Mussolini il fascista 1921-1925", Einaudi, Torino.
Significativa ed importante la dichiarazione di Mussolini nell'occasione dell'incontro del 2/12/1943 riportata nel libro di Silvestri: «Alle origini dell'assassinio di Matteotti vi fu un putrido ambiente di finanza equivoca di capitalismo corrotto e corruttore privò di ogni scrupolo e di torbido affarismo legato anche ad interessi... reali.
L'idea di catturare Matteotti sorse anche in quel becero ambiente della destra, ogni volta che riprendeva a circolare la voce di una possibile collaborazione tra me e i socialisti si manifestava una reazione che chiamerei feroce.
Il discorso del 7 giugno 1924 -prosegue Mussolini- fece temere che io mi fossi orientato nel senso di offrire ad alcuni socialisti la partecipazione al Ministero».

Ed infatti Mussolini era chiaramente intenzionato ad «aprire» a sinistra il suo governo, lo conferma ancora una volta Carlo Silvestri nel suo libro del 1947, riportando anche i nomi dei possibili ministri socialisti confidatogli dal Duce: D'Aragona, Baldesi, Caldara (ex sindaco di Milano), Rigola, Buozzi, sindacalisti di grande prestigio e grandi nomi del mondo della sinistra di allora.
I due processi contro i responsabili del delitto Matteotti, celebrati nel 1947, riconobbero la totale estraneità di Mussolini quale mandante (bisogna anche ricordare che la vedova Matteotti, Veglia Ruffo, malgrado fosse osteggiata da Turati, già volle incontrare Mussolini in quel tragico 1924, dimostrando così di credere all'innocenza del Capo del Governo).
Per le sue coraggiose deposizioni processuali sull’innocenza di Mussolini, Silvestri fu messo alla gogna nel dopoguerra e accusato, dai suoi ex compagni, in puro stile stalinista, di ogni nefandezza: famoso fu il duro attacco di Paietta. Addirittura Nenni si augurava pubblicamente la sua morte. Silvestri in quell'occasione dichiarò: «io mi rendo conto che se confermassi la mia vecchia deposizione il caso Matteotti sarebbe facilmente risolto. I giornali del conformismo antifascista mi farebbero fare un figurone ...»
Ma Carlo Silvestri era un uomo vero e pulito e il suo passato lo confermava.
La verità sul delitto Matteotti era indicato in quel "dossier" che Nicola Bombacci aveva quando fu fucilato.
Carlo Silvestri fu volutamente ignorato e boicottato, la sua carriera politica e giornalistica troncata (lui che aveva fatto 10 anni di confino!): Mussolini doveva essere demonizzato per forza.
Silvestri, qualche anno dopo i due processi del dopoguerra, con le sue verità e il suo dolore di persona onesta, morirà di crepacuore.

Non si può però dimenticare che in quell'anno 1924 fu ucciso anche l'on. Armando Casalini per vendicare Matteotti. Casalini era stato nominato, proprio in quel periodo, vicesegretario Generale delle Corporazioni, non era uno sconosciuto deputato fascista come lo definirono Amendola e altri personaggi antifascisti.
L'assassinio di Casalini avvenne per mano di un tale Giovanni Corvi, in tram a Roma con tre colpi di rivoltella, due alla testa. Il deputato fascista era accompagnato dalla figlia Lidia, ancora bambina, che miracolosamente non subì ferite e morte.
Mettere sullo stesso piano i due delitti fu impossibile, Giolitti, Salandra, Amendola e i tanti antifascisti non pronunciarono mai una frase di esecrazione per l'assassinio di Casalini.
Casalini nacque a Forlì nel 1883, proveniente da idee mazziniane e socialiste, già fraterno amico di Nenni, nel 1922 fonda l'Unione Mazziniana filo-mussoliniana e viene eletto deputato nel «listone» fascista; era conosciuto e ricordato in Romagna come «il mite ed onesto deputato».
Casalini fu assassinato il 12 settembre 1924. Nacque in quella tragica circostanza una canzonaccia piena di odio e di faziosità per esaltare l'uccisione del deputato fascista da parte antifascista e comunista...
A conferma di ciò il materiale della mostra fotografico-documentaria del 1979 a Forlì, in palazzo Albertini dal titolo "I comunisti in Romagna" e la citazione del compianto Daniele Gaudenzi nel suo libro "Album di famiglia", edizioni Filograf, Forlì, giugno 1991.
Ecco parte del testo della canzonaccia:
«Viva quel comunista che la fece così bella impugnò la rivoltella contro Casalini... Applausi noi faremo a quell'eroe di comunista che ci levò dal mondo l'infamia di un fascista»…
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MessaggioInviato: Lun Nov 07, 2011 8:05 pm    Oggetto:  
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Silvestri ha anche visto il Carteggio. Lo ha anche riportato sul suo libro, fatto sparire! Se non fosse morto, ce ne sarebbe stato di clamore! Silvestri è un esempio di italianità splendido! L'Italia di Mussolini, avrebbe avuto bisogno di Italiani come lui...E, ironia della sorte, non faccio un azzardo a dire che uno "formalmente" antifascista, era un fascista nell'animo..
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"La mistica appunto precisa questi valori...nella loro attualità politica...e dimostra l'universalità di luogo e di tempo del Fascismo"(Giani)
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MessaggioInviato: Lun Nov 07, 2011 9:42 pm    Oggetto:  
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RomaInvicta ha scritto:
Silvestri ha anche visto il Carteggio. Lo ha anche riportato sul suo libro, fatto sparire! Se non fosse morto, ce ne sarebbe stato di clamore! Silvestri è un esempio di italianità splendido! L'Italia di Mussolini, avrebbe avuto bisogno di Italiani come lui...E, ironia della sorte, non faccio un azzardo a dire che uno "formalmente" antifascista, era un fascista nell'animo..


Certo, come Bombacci... è un fatto che questi antifascisti, quando hanno scoperto la verità, sono diventati fascisti, o simpatizzanti o cmq hanno ritenuto di onorare la verità, e quindi...uccisi o boicottati dai loro ex amici... Gente troppo pulita cmq per far parte del nuovo regime "democratico" massonico mafioso plutopartitocratico...
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MessaggioInviato: Mer Giu 01, 2016 2:04 am    Oggetto:  
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Delitto Matteotti: ecco il vero retroscena

Con il noto discorso del 3 gennaio 1925 Benito Mussolini si era assunto la responsabilità del delitto Matteotti e, osserva Giorgio Galli, «questa assunzione di responsabilità fu, da allora, interpretata come un’ammissione di colpevolezza per l’assassinio di Matteotti». Attorno a questa interpretazione ruotano ancora oggi le principali ipotesi storiografiche tutte incentrate sulla vendetta politica e sul complotto affaristico ma tutte decontestualizzate dalla situazione politica del tempo. Novant’anni dopo è però possibile ricomprendere il delitto Matteotti calando la drammatica vicenda nel contesto storico e politico in cui essa maturò a cominciare dalle famose elezioni del 1924.

Alle elezioni del 6 aprile 1924 i partiti della sinistra avevano conseguito un notevole risultato, tenuto conto del nuovo sistema elettorale e delle violenze che avevano colpito la campagna per il voto. I socialisti unitari di Giacomo Matteotti avevano ottenuto ventiquattro seggi, ventidue i socialisti massimalisti, diciannove i comunisti, sette i repubblicani. Il voto complessivo conseguito dai partiti della sinistra segnava la sconfitta di Mussolini e del suo tentativo di "fascistizzare" le masse operaie e contadine; il risultato elettorale fascista, nonostante le lusinghe di Mussolini ai lavoratori, era decisamente sbilanciato a destra verso i datori di lavoro, gli agrari e gli industriali.

Matteotti aveva vinto a sinistra, Mussolini aveva trionfato a destra; ma entrambi avevano adesso un problema. Mussolini intendeva sganciarsi dalla destra economica; Matteotti intendeva bloccare la concorrenza a sinistra dei comunisti che, peraltro, insieme ai massimalisti di Giacinto Menotti Serrati potevano contare una forza parlamentare che raddoppiava quella dei socialisti unitari. Il governo Mussolini, con l'avallo di economisti come Luigi Einaudi, stava orientando la sua politica economica verso una richiesta di consistenti prestiti agli Stati Uniti d’America. Mussolini intendeva trattare prestiti a lungo termine con finanziamenti erogati direttamente al governo o alle aziende senza il tramite delle banche, al fine di ricondurre l'economia nazionale al controllo politico sottraendola così al potere bancario. Giuseppe Toepliz, amministratore delegato della potente Banca Commerciale Italiana, insieme agli industriali gravitanti nella sua orbita e interessati agli appalti dello Stato, erano invece decisamente contrari che i prestiti fossero gestiti direttamente dal governo. Nel governo, il sottosegretario al ministero degli Interni Aldo Finzi, genero del potente banchiere romano Clementi e legato a Toeplitz, tutelava gli interessi della filiera bancario-industriale. Per Mussolini, dunque, sganciarsi dalla destra economica significava liberarsi dall'opposizione del sistema bancario alla sua politica economica, ma per fare questo era necessario spostare a sinistra L'asse del governo.

A questo punto il problema di Mussolini si aggroviglia con quello di Matteotti. A sinistra, infatti, i socialisti di Matteotti avevano dimostrato durante la campagna elettorale un certo vitalismo, riuscendo a intercettare il voto anche del ceto medio specie nel settentrione. Analizzando questo dato e ponendolo in relazione al diniego del PSU di aggregarsi al <fronte unico> proposto alla vigilia delle elezioni dai comunisti e respinto da Matteotti, il comunista Palmiro Togliatti affermava che <gli unitari vengono a costituire niente altro che una forza di riserva della borghesia, un'ala del Fascismo>.

L'accusa di filofascismo formulata da Togliatti metteva in difficoltà il partito di Matteotti nella competizione con i comunisti e i massimalisti e di fronte al proletariato italiano. Matteotti doveva reagire. E lo fece con il famoso discorso del 30 maggio 1924 con il quale chiese I' invalidamento delle elezioni accusando i fascisti di violenze e brogli elettorali. Quel discorso - ha scritto De Felice - intendeva dimostrare <<un nuovo modo di stare all’opposizione, più aggressivo, più intransigente, violento addirittura ma se si tiene conto del quadro politico complessivo, allora le parole di Matteotti non erano rivolte soltanto contro i fascisti ma anche contro i comunisti. Il nuovo modo di fare opposizione inaugurato da Matteotti con il suo discorso, insomma, aveva un duplice scopo: chiarire la posizione dei socialisti unitari di fronte al Fascismo e contemporaneamente svuotare di ogni significato l'accusa di filofascismo lanciata dai comunisti. Ancora De Felice sostiene che con il discorso del 30 maggio Matteotti bloccava L'ennesimo tentativo compiuto da Mussolini dopo il 6 aprile di aggregare i socialisti unitari e i confederali al suo nuovo governo. Tuttavia, rileggendo attentamente il testo, si nota che dopo un micidiale attacco al Partito Nazionale Fascista e alla sua condotta elettorale, quel discorso si conclude con un severo appello al governo; rivolgendosi direttamente a Mussolini, infatti, Matteotti afferma: <Noi sentiamo tutto il male che all'Italia apporta il sistema della violenza; abbiamo lungamente scontato anche noi pur minori e occasionali eccessi dei nostri. Ma appunto per ciò, noi domandiamo alla maggioranza che essa ritorni all’osservanza del diritto. Voi che oggi avete in mano il potere e la forza, voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di fare osservare la legge da parte di tutti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l ‘autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo, altrimenti voi, sì, veramente rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione>. E' in questo brano il vero significato politico dell'intero discorso. Matteotti, infatti, realisticamente non chiede le dimissioni del governo bensì si appella a esso sfidandolo a ristabilire l’autorità dello Stato e a salvare la ragione morale della Nazione.

Mussolini accetta la sfida e replica a Matteotti con il noto discorso del 7 giugno 1924 nel quale, dopo una formale difesa d'ufficio dello squadrismo, si rivolge direttamente ai socialisti unitari affermando:
"non si può rimanere sempre estranei; qualche cosa, bene o male, bisogna dire o fare, una collaborazione positiva o negativa deve esserci (...) E' un quesito che pongo alla vostra coscienza; voi lo risolverete; non tocca a me risolverlo".
Questo è il momento culminante dell'intera vicenda. Le intenzioni di Mussolini di proseguire nella ricerca della collaborazione con i socialisti unitari anche nel 1924 sono state ricostruite da Renzo De Felice nella sua biografia del capo del Fascismo. Ovviamente le intenzioni di Mussolini erano state intercettate da quei settori interni al Fascismo legati al mondo finanziario e ostili alla collaborazione tra il governo e i socialisti unitari. Si tratta degli stessi settori che avevano tentato di sabotare nei primi del 1924 il riconoscimento della Russia bolscevica da parte dell'Italia, ratificato da Mussolini il 2 febbraio; tentativi falliti perché smascherati dal deputato comunista Nicola Bombacci il quale, documenta Petacco, li denunciò in aula intervenendo a favore del riconoscimento e del trattato commerciale con la Russia che - disse - avrebbero contribuito a <difendere la nostra economia e liberarla dalla schiavitù delle grandi compagnie petrolifere>. E' questo un elemento da tenere in considerazione nel contesto politico della vicenda: nel 1924 le relazioni con la Russia consentivano a Mussolini di non impensierirsi più di tanto per i comunisti italiani i quali, semmai, insieme ai socialisti massimalisti, potevano costituire un problema per i socialisti unitari se avessero accettato la collaborazione col governo. Ma quale atteggiamento avrebbero assunto i comunisti, i massimalisti e il proletariato italiano se questa collaborazione fosse nata in seguito ad un radicale mutamento di tutta la politica mussoliniana determinata da una clamorosa azione politica provocata dai socialisti unitari? Ecco un ipotesi che non è mai stata considerata dalla storiografia: cosa sarebbe accaduto se Matteotti, che già il 30 maggio aveva sfidato il governo a ristabilire I 'autorità dello Stato, avesse denunciato al governo il coinvolgimento di settori identificati del Fascismo e dello Stato in un losco traffico di corruzione? Si sarebbe inevitabilmente creata una situazione d'emergenza. A quel punto il governo sarebbe stato costretto a intervenire chiedendo la collaborazione straordinaria di quelle personalità e di quelle forze che avevano contribuito a smascherare i corrotti all'interno del Fascismo e dello Stato. La collaborazione tra Matteotti e Mussolini, determinata così da una situazione emergenziale, sarebbe stata allora giustificata di fronte all’opinione pubblica nazionale e internazionale, davanti al proletariato e in faccia ai comunisti, ai massimalisti,'ai fascisti e agli antifascisti che sarebbero stati costretti a valutare il fatto nuovo e a prendere una posizione.

Tutto questo presuppone una questione che la storiografia non ha mai osato affrontare: Matteotti e Mussolini potevano organizzare insieme il determinarsi di una situazione d'emergenza che avesse giustificato la loro collaborazione al governo della Nazione? C'è da considerare, innanzitutto, su quali elementi storici dovrebbe reggersi tale nuova questione.
Il primo elemento è costituito dal rapporto politico tra i due protagonisti: Matteotti e Mussolini. Sul numero di gennaio di questa rivista (vedi <Matteotti e Mussolini, vite parallele,, su Storia In Rete> n. 99) si è già visto che i due uomini politici avevano alle spalle una comune militanza socialista segnata da divergenze pratiche ma da convergenze teoriche e che pur schierati su fronti avversi, avevano collaborato nei momenti straordinari della storia del Socialismo italiano; i due ex compagni, carissimi nemici, avrebbero potuto certamente ritrovarsi ancora una volta insieme di fronte ad una straordinaria emergenza che riguardava la Nazione.
Il secondo elemento è rappresentato dalla politica di collaborazione perseguita da Mussolini tra il 1922 e il 1924 e avversata da Matteotti.
Nel 1924, però, il quadro politico che faceva da sfondo era cambiato rispetto al t9zz. Mussolini adesso era presidente del Consiglio con una maggioranza ampia e che, grazie al sistema maggioritario, si estendeva ben oltre i confini del suo partito.
Alla Camera e al Senato c'era un’opposizione costituzionale che sovente collaborava con il governo. Matteotti, in quanto segretario del maggior partito della sinistra, era il nuovo Leader della minoranza. Matteotti però, avverte Mimmo Franzinelli, adesso era anche un uomo solo: <segretario di un partito i cui dirigenti propendono - tranne poche eccezioni - per una linea di compromesso>; una condizione rilevata anche da Mauro Canali il quale ha osservato che l'avversione alla collaborazione (<aveva finito per rendere politicamente precaria la sua carica alla segreteria del partito, perché gli aveva inimicato ampi settori di esso, urtando personaggi, come gli organizzatori sindacali, tutti collaborazionisti, che godevano d un indiscusso potere>. Lo stato d'animo in cui si trovava il deputato socialista in quel frangente, mai tenuto in considerazione dalla storiografia, non può non avere influito nelle sue riflessioni sulla situazione politica personale e complessiva. E' possibile che un uomo politico come Matteotti, nelle condizioni anche intime in cui si trovava dentro e fuori il suo partito, non abbia tenuto conto di tutte le possibili soluzioni tese a superare il suo isolamento e a definire I 'assetto politico italiano compreso la scelta della collaborazione, nel 1924 ancora circolante all'interno del suo partito e del sindacalismo confederale?
Il terzo elemento riguarda la natura del delitto e si ricava dalla trama stessa dell'intera vicenda così com'è stata ricostruita dagli atti processuali e dalla storiografia: il delitto fu politico, ispirato dalla vendetta e dettato dall'esigenza di bloccare la denuncia di un colossale scandalo affaristico che coinvolgeva una parte del mondo politico e di quello finanziario. E' pero necessario riesaminare la natura del crimine da una prospettiva diversa da quella in cui fin qui è stata osservata. Il delitto fu politico ma non va collocato nell'ambito del conflitto tra Fascismo e Antifascismo bensì nel più ampio contesto della lotta combattuta in quel momento tra quelle forze politiche ed economiche che auspicavano un radicale mutamento della scena politica nazionale, e quelle che invece intendevano lasciare immutato lo scenario italiano; e questi due schieramenti erano trasversali al Fascismo e all’Antifascismo. Il delitto fu ispirato dalla vendetta ma non del fascista Mussolini contro l'antifascista Matteotti bensì dalla vendetta dei gruppi fascisti contrari alla svolta, contro lo stesso Mussolini che quella svolta intendeva praticare. Erano gli stessi gruppi che nel 1922 avevano sequestrato il repubblicano Torquato Nanni, amico di Mussolini e di autorevoli esponenti socialisti, per eliminare, spiega De Felice, <un tramite tra Mussolini ed i riformisti> nello stesso momento in cui erano in corso le trattative per una collaborazione dei socialisti con il governo nato dalla marcia su Roma. Del resto, se nel caso della morte di Piero Gobetti per esempio, , esiste una prova documentale della responsabilità di Mussolini, che consiste nel telegramma da questo inviato al prefetto di Torino per rendere <impossibile la vita> all'intellettuale liberale, nel caso di Matteotti non esiste alcuna prova concreta né di un eventuale ordine scritto né di un eventuale ordine a voce. Le frasi incriminate attribuite a Mussolini dagli atti processuali e dalla storiografia provengono dai memoriali di alcuni imputati ma i memoriali, come insegnava Marc Bloch, non costituiscono una fonte storica attendibile.
Il delitto fu dettato quindi dalla necessità di impedire a Matteotti di rivelare i loschi affari di quella che è stata definita <la banda del Viminale>. Anche qui è stato chiamato in causa Benito Mussolini e addirittura il fratello Arnaldo, arruolati tra i mandanti sulla base dei soliti memoriali e di tutta una serie di congetture a cominciare dalle presunte tangenti che sarebbero state intascate dai fratelli Mussolini. Tuttavia, a oggi, non esiste una prova concreta del coinvolgimento dei fratelli Mussolini nel malaffare che intendeva svelare Matteotti. Lo stesso deputato socialista, del resto, né per iscritto né a voce ha mai potuto rivelare i nomi dei corrotti, mentre ha anticipato e indicato I 'identità del corruttore nella compagnia petrolifera americana Sinclair Oll. Che <Il Popolo d'Italia> e i fratelli Mussolini fossero sovvenzionati, è stato storiograficamente accertato e documentato; in proposito, però, analizzando le sovvenzioni ottenute dal giornale fascista tra il ry24 e il 1928, Marcello Staglieno ha evidenziato che non figura alcun finanziamento erogato o riconducibile alla Sinclair Oil. La vicenda dei rapporti tra Mussolini e la Sinclair Oil, del resto, mostra uno schema molto più articolato e complicato di quello adottato dalla storiografia. Al primo punto si trova la necessità dell'Italia di perseguire negli anni Venti una seria politica dei petroli attraverso un altrettanto necessario approvvigionamento dall’estero per coprire il fabbisogno nazionale. Al secondo punto compare la possibilità alternativa del trivellamento sul territorio nazionale il cui costo è pero stimato, in una relazione del 18 luglio 1923 presentata a Mussolini dal ministro dell’Agricoltura Giuseppe De Capitani, nella somma di 200 milioni. Al terzo punto la proposta De Capitani s'infrange sul macigno del deficit di bilancio dello Stato italiano. Al quarto punto compare finalmente la Sinclair OiI, venuta fuori dai contatti tra l’ambasciatore italiano in America Gelasio Caetani e il direttore dell'Ufficio delle Miniere americano Forster Bain. I contatti cominciano in America nel gennaio 1923 e s'intensificano con il coinvolgimento di emissari della Sinclair. Con il successivo coinvolgimento del ministro De Capitani, i contatti mutano in vere e proprie trattative: incoraggiate dai comunicati stampa di Cesare Rossi, il responsabile della comunicazione della Presidenza del Consiglio, sostenute dal quotidiano <Il Corriere italiano> di Filippo Filippelli e perorate anche dal giornalista Filippo Naldi. E' a questo punto che entra in scena Mussolini il quale nel febbraio 1924, tanto inaspettatamente quanto energicamente, tronca ogni trattativa con la Sinclair Oil e decide, aggiunge Staglieno, di avocare <<a sé ogni decisione sulle concessioni petrolifere>.
Ci sono due eventi che concorrono a spiegare la decisione presa dal Capo del governo. Il primo è costituito dal fatto che proprio nel febbraio 1924, come già scritto, Mussolini riconosce de jure l'Unione Sovietica; e il riconoscimento segna una svolta non soltanto nella politica estera e commerciale ma anche nella politica italiana dei petroli. Come documenta Carlo Lozzi, infatti, nei primi quindici mesi in cui fu in vigore il trattato, l'Italia aveva importato dalla Russia <per 19 milioni di lire, principalmente petrolio e prodotti petroliferi>. Il secondo si svolge proprio in occasione della politica di avvicinamento all'Unione Sovietica, quando Mussolini scopre un difetto negli ingranaggi della sua macchina governativa. Il deputato comunista Bombacci, come già scritto, aveva denunciato in aula un complotto all'interno del governo per impedire il trattato; rivolgendosi a Mussolini, insinuo: <Lei sa, signor presidente, che proprio la settimana scorsa a Mosca sono state presentate delle precise condizioni per concludere il trattato? Io temo che non lo sappia. Io temo che lei non venga informato con soverchia sollecitudine. Io temo che l'Italia non abbia le mani libere per trattare!>. Mussolini, scrive Petacco, avvio subito delle indagini e scoprì che i documenti inviati da Mosca, cui accennava Bombacci, erano stati effettivamente occultati; evidentemente, chi intendeva sabotare la trattativa era in grado di manomettere la documentazione destinata al Capo del governo. L’intera vicenda fornisce una chiave di lettura - fin qui sottovalutata dalla storiografia - delle dinamiche politiche ed economiche che si svolgono nel 1924, e cioè che la politica mussoliniana verso la sinistra, nazionale e internazionale, era effettivamente tenuta sotto controllo e ostacolata attraverso un'infiltrazione operante persino all'interno di Palazzo Chigi.

Allo stato dei fatti non esiste una prova formale e definitiva che identifichi in Benito Mussolini il mandante dell'assassinio di Giacomo Matteotti. Che il <cerchio magico intorno a Mussolini fosse profondamente inserito in un vorticoso giro di tangenti non significa, fino a prova contraria, che Mussolini ne fosse coinvolto. Che il famigerato Dumini fosse stato arrestato a Trieste per traffico d'armi verso la Jugoslavia e Mussolini sia intervenuto in suo favore per chiudere la faccenda, nello stesso momento in cui egli era impegnato nelle trattative con la Jugoslavia per definire la questione di Fiume, non prova alcuna complicità ma dimostra l'esigenza di bloccare quello scandalo che poteva compromettere l'accordo tra i due Stati poi firmato a Roma nel gennaio 1924. Che dei faccendieri versino somme a quella presidenza del Consiglio infiltrata e sottoposta a controllo, non significa che il beneficiario fosse il Capo del governo e non chi, invece, agiva alle sue spalle. Ha ragione, dunque, lo storico Pierre Milza quando sull'intera vicenda scrive: <per quanto serie siano le presunzioni di colpevolezza avanzate da Mauro Canali, non mi pare che si possa decidere con certezza, in mancanza di una prova formale e definitiva>. Se ancora oggi si è nel campo delle presunzioni e delle ipotesi, allora è possibile presumere e ipotizzare una diversa versione dei fatti non in contrasto con gli elementi che compongono la vicenda.

Alla luce di questa nuova prospettiva è possibile quindi ipotizzare che le cose siano andate così: è presumibile che Mussolini abbia pensato nel r94 di chiedere la collaborazione di Matteotti e che le carte dell'affare Sinclair, se rese pubbliche, avrebbero potuto giustificare davanti all’opinione pubblica la collaborazione tra i due ex compagni. Canali scrive che Matteotti comincio a interessarsi dell'affare Sinclair durante il suo breve viaggio segreto in Inghilterra, nell'aprile 1924; il deputato socialista, dunque, ricavava le sue informazioni nello stesso momento in cui I'ex socialista Mussolini e il laburista Ramsay Macdonald, primo ministro britannico, dialogavano per dirimere la questione dell'Oltregiuba (la striscia di territorio fra Somalia e Kenya ceduta dagli inglesi alla colonia italiana NdR) e del Dodecaneso: è presumibile che in tale frangente si sia verificato un passaggio d'informazioni, se non di documentazioni, sulla questione petrolifera italiana che interessava anche agli inglesi (su questo punto si veda anche l'articolo successivo, alle pp. 24-35 NdR). Potrebbe sembrare impossibile una collaborazione fra Matteotti e Mussolini nel 1924, eppure un precedente esiste e risale al febbraio 1923 quando Gregorio Nofri, del comitato centrale del PSU e amministratore del giornale del partito <La Giustizia>, avviò trattative con Sandro Giuliani, capo redattore de (Il Popolo d'Italia> e uomo di fiducia di Mussolini, su una possibile intesa tra il Duce e i socialisti unitari. Filippo Turati, come Mussolini era al corrente di tali contatti e, spiega De Felice, <il che non solo era vero, come dimostra la corrispondenza di quei giorni tra Turati e la Kuliscioff (dalla quale appare che lo stesso Matteotti aveva consentito all'incontro Nofri-Giuliani), ma era ancora solo una parte della verità. Da una lettera della Kuliscioff del 13 febbraio 1923 si arguisce infatti che il contatto, sollecitato dai fascisti, doveva stare molto a cuore a Mussolini che pare si fosse dimostrato disposto a recarsi in segreto a Milano in aereo, probabilmente per trattare personalmente e a piu alto livello>. Quel dettaglio sul consenso di Matteotti alle trattative, posto tra parentesi da De Felice, rende presumibile che quei contatti, interrotti nel 1923, fossero ripresi nella primavera del rgz4, in un contesto politico cambiato nel quale, sulla base della questione morale, sarebbe stato possibile raggiungere I'intesa sulla collaborazione tra Matteotti e Mussolini.

E' presumibile anche che Velia Matteotti fosse al corrente della collaborazione tra il marito e Mussolini e questo giustificherebbe il suo comportamento dopo il crimine.
Velia rimase in Italia con i figli, non seguì gli antifascisti nell'esilio, e la famiglia Matteotti ricevette segretamente e costantemente da Mussolini un consistente sostegno economico. Mauro Canali ha documentato tali finanziamenti criticando il comportamento della vedova. Quelle somme, però, non servirono a pagare il silenzio di Velia Matteotti com'è stato affermato; dimostrano, semmai, che lei mai ritenne Mussolini responsabile del delitto perché probabilmente sapeva qualcosa che escludeva Mussolini da ogni responsabilità. Posto che questo straordinario <qualcosa> fosse la collaborazione tra Matteotti e Mussolini, e che Mussolini avrebbe ottenuto dalla collaborazione un risultato storico sul piano nazionale e internazionale, cosa sarebbe rimasto a Matteotti? Anch'egli avrebbe conseguito un eccezionale risultato storico, sul piano del Socialismo italiano e mondiale; 1o spiega lo stesso Mussolini quando dichiara, negli anni Trenta, al giornalista Yvonne De Begnac: <noi avevamo interesse a che l'onorevole Matteotti, il più solido fra gli anticomunisti italiani, proseguisse la lotta per l'autonomia e per la riunificazione del Socialismo italiano>. Un governo formato dalla collaborazione tra Matteotti e Mussolini e nato dalla questione morale, mentre I’Italia era in sintonia con l'Unione Sovietica così come con la Gran Bretagna laburista, e mentre in Francia il Socialismo vinceva le elezioni e in Belgio si apprestava a vincerle, avrebbe consentito al Socialismo italiano riunificato di indicare una nuova via a quello europeo e una nuova relazione tra il Socialismo occidentale quello orientale della Russia. Matteotti sarebbe stato l'artefice del rinnovamento del Socialismo internazionale e colui che avrebbe costretto il Fascismo italiano a una svolta a sinistra mentre nascevano in Europa altri movimenti ispirati al Fascismo. Davvero, dunque, la collaborazione con i socialisti, come sosteneva Mussolini, avrebbe determinato una svolta storica nella politica italiana e nella politica internazionale.Velia Titta
La mancata collaborazione tra Matteotti e Mussolini, resa possibile dall'eliminazione del deputato socialista, creò una situazione d'emergenza tanto straordinaria quanto quella che sarebbe stata determinata da una possibile collaborazione. Gli esiti, naturalmente, furono diversi e in un certo senso sciagurati per l'Italia. Turati, leader dell' Aventino, aveva in mano dei documenti ma non li utilizzò. E' certo, e anche inquietante, che Mussolini, a proposito di Turati, confiderà a De Begnac: <mi ha considerato mandante del delitto Matteotti, pur conoscendo la mia assoluta estraneità a quel turpe episodio>. Nel 1934 molti di quei socialisti che dieci anni prima erano stati vicini a Matteotti e lo avevano pianto, da Caldara a Romita, ritentarono la carta della collaborazione con Mussolini ma furono ostacolati e respinti dai soliti ambienti fascisti e, tranne poche eccezioni, dal fuoriuscitismo antifascista. Ci fu, tra quei socialisti che nel 1934 chiesero la collaborazione a Mussolini, un ripensamento sui fatti terribili del 1924?

Michelangelo Ingrassia (Università di Palermo), Storia in Rete giugno 2014
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MessaggioInviato: Gio Giu 09, 2016 11:40 pm    Oggetto:  
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Ricordiamo che il camerata Barozzi, come suo gentile e consueto costume, ha messo a liberamente disposizione di tutti un interessante e "riassuntivo" lavoro sul tema:

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